L’ipotesi della condotta abnorme di un lavoratore infortunato va individuata anche quando lo stesso tiene un comportamento “esorbitante” rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile ed evitabile per il datore di lavoro. Di G.Porreca.
Il contenuto di questa sentenza della Corte di Cassazione lo si può inquadrare in quel processo presente in giurisprudenza in base al quale, anche nel rispetto del principio dello scalettamento delle responsabilità in materia di salute e di sicurezza sul lavoro voluto dal legislatore con l’emanazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. 9/4/2008 e s.m.i, si sta rivedendo, nel caso dell’accadimento di un infortunio sul lavoro, il peso delle eventuali responsabilità dei vari operatori di sicurezza ivi compresi gli stessi soggetti che prestano la propria attività lavorativa.
E’ nota la posizione della Corte di Cassazione per quanto riguarda la responsabilità o meno del datore di lavoro per un infortunio occorso ad un proprio dipendente nel caso di un comportamento del lavoratore imprudente e distratto ma che si è infortunato comunque mentre svolgeva le proprie mansioni in carenza di misure di sicurezza. In tal caso, ha sempre infatti sostenuto la suprema Corte, si interrompe il nesso di causalità fra la condotta colposa del datore di lavoro, legata a delle carenze riscontrate nelle misure di prevenzione dallo stesso adottate, e l’evento lesivo solo se il comportamento del lavoratore si configuri “abnorme”.
In questa sentenza viene in effetti allargato il campo delle condizioni nelle quali la condotta del lavoratore possa ritenersi imprevedibile e inevitabile sì da potere assurgere a causa unica ed autonoma dell’evento lesivo con la esclusione delle responsabilità del datore di lavoro. L’ipotesi della condotta abnorme del lavoratore infortunato, ha infatti concluso la suprema Corte, va individuata anche quando lo stesso tiene un comportamento “esorbitante” rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile ed evitabile.
Il fatto e il ricorso in Cassazione
Il Sindaco di un Comune ha fatto ricorso avverso una sentenza della Corte di Appello che, riformando quella di primo grado, aveva affermata la sua responsabilità, nella qualità datore di lavoro, per l’infortunio di un lavoratore svolgente le mansioni di stradino. Era stato accertato, all’esito del giudizio di merito, che il giorno dell’infortunio il lavoratore aveva timbrato il cartellino di entrata alle ore 8,50 ed era uscito alle 13,03, di sua iniziativa, senza che nessuno gli avesse dato l’incarico, e si era recato con il camion in dotazione del Comune in una strada interpoderale perché aveva notato che un ramo di un albero pendente impediva la circolazione delle autovetture e mentre era posizionato sulla scala, alta 2,20 m, veniva travolto dal ramo, da lui stesso tagliato, che aveva fatto sbilanciare la scala provocando la caduta del lavoratore il quale aveva subito delle lesioni gravi.
La violazione posta a carico del Sindaco è stata quella dell’art. 22 comma 1 del D. Lgs. n. 626/1994 per avere omesso, nella qualità di datore di lavoro, di assicurarsi che il lavoratore avesse ricevuto una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute. Il giudice di primo grado aveva assolto l’imputato ritenendo che la condotta del lavoratore si configurasse abnorme e tale da interrompere il nesso di causalità rispetto alle carenza riscontrabili nelle misure di prevenzione adottate dall’imputato. La Corte di merito, accogliendo l’appello del PM, aveva affermato che l’attività espletata dall’infortunato (il taglio del ramo) rientrava tra le mansioni dallo stesso svolte (individuate in quelle di “stradino”) e che nessun rilievo aveva avuto la circostanza che lo stesso avesse svolto quell’attività di propria iniziativa e fuori dell’orario di lavoro in quanto le norme antinfortunistiche sono poste a tutela di tutti coloro che si trovano a contatto degli ambienti di lavoro, a prescindere dall’orario di servizio. La responsabilità del Sindaco era stata, pertanto, fondata sulla posizione di garanzia rivestita dallo stesso il quale, nella qualità di datore di lavoro, era venuto meno all’obbligo di informare e formare il lavoratore sulle corrette modalità di esercizio delle varie mansioni, che avrebbero dovuto riguardare anche l’utilizzo di scale o altre attrezzature per effettuare i lavori in quota.
Il Sindaco ha fondato il suo ricorso sul fatto che la sentenza impugnata aveva escluso l’abnormità della condotta del lavoratore, tale da interrompere il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l’evento lesivo e che la Corte di Appello aveva trascurato di dare rilievo alle circostanze accertate dell’esclusiva ed autonoma iniziativa del dipendente di potare il ramo dell’albero al di fuori dell’orario di lavoro, dopo essersi messo alla guida di un camion di proprietà del Comune, custodito nel garage comunale, circostanze tutte rilevanti ai fini della interruzione del nesso di causalità. Lo stesso ha sostenuto ancora che non era stato compiuto alcun accertamento sulla proprietà della quercia e che, pertanto, non era stato affrontato il tema se nelle mansioni dello stradino muratore rientrasse anche quella di potare e tagliare i rami degli alberi anche se fossero di proprietà di terzi.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. I giudici di merito, ha fatto notare la Sez. IV, hanno fondato la responsabilità dell’imputato, oltre che sulla posizione di garanzia dallo stesso ricoperta nella qualità di datore di lavoro, sulla violazione dell’art. 22 comma 1 del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626 secondo il quale il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni (ora art. 37 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 richiamato dall’art. 18 lettera. l che lo prevede tra gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente). Per cui non vi è stato dubbio da parte dei giudici di merito sulla sussistenza della posizione di garanzia da parte del sindaco, nella qualità di datore di lavoro, nei confronti del dipendente comunale infortunato svolgente le mansioni di “stradino”.
La questione da trattare nel caso in esame, ha sostenuto la Sez. IV, era quella di verificare se sussistessero le condizioni per ritenere che la condotta posta in essere dal lavoratore si collocasse al di fuori dell’area di rischio propria della prestazione lavorativa svolta dallo stesso in quanto solo in questa prospettiva la violazione dell’obbligo di formazione astrattamente contestata al datore di lavoro poteva assumere concretezza e fondare la responsabilità per colpa del datore di lavoro per essere venuto meno all’obbligo di “governare” il rischio afferente lo svolgimento della prestazione lavorativa.
“E’ principio, infatti, consolidato nella giurisprudenza di legittimità”, ha così proseguito la suprema Corte, “quello secondo cui le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro hanno la funzione di evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica intrinsecamente connaturali all’esercizio di talune attività lavorative, anche nell’ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale imprudenza e disattenzione dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele. Una diversa soluzione rischierebbe di far gravare sul datore di lavoro una responsabilità oggettiva fondata esclusivamente sulla posizione di garanzia”.
In più occasioni, ha fatto presente la Sez. IV, è stata affrontata dalla Corte di Cassazione la questione, posta anche nel ricorso, di stabilire in che termini ed a quali condizioni la condotta del lavoratore possa ritenersi imprevedibile ed inevitabile, sì da poter assurgere a causa unica ed autonoma dell’evento lesivo, con esclusione della responsabilità del datore di lavoro e sul punto è stato, innanzitutto, affermato che ciò può verificarsi in presenza di comportamenti “abnormi” del lavoratore, come tali non suscettibili di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. “L’ipotesi tipica di condotta “abnorme”, ha così proseguito la sez. IV, “è stata individuata in quella del lavoratore che provochi l’infortunio ponendo in essere, colposamente, un’attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento “esorbitante” rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro (come, ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi ad un’altra macchina o ad un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite in esclusiva ad altro lavoratore)”
Con la sentenza della Sezione IV del 10 novembre 2009, parte civile I. ed altro in proc. B. ed altri è stato esteso il concetto di “abnormità”, ammettendo che questo possa ravvisarsi anche in situazioni e in comportamenti “connessi” con lo svolgimento delle mansioni lavorative. In quella occasione, la Corte di legittimità, riprendendo alcuni spunti giurisprudenziali (cfr. Sezione 4, 3 giugno 2004, Giustiniani; nonché, Sezione 4, 27 novembre 1996, Maestrini), ha puntualmente precisato che “il carattere dell’abnormità può essere attribuito non solo alla condotta tenuta in ‘un ambito estraneo alle mansioni’ affidate al lavoratore e, pertanto, concettualmente al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro, ma anche a quella che pur ‘rientrando nelle mansioni proprie’ del lavoratore sia consistita in qualcosa di radicalmente, ontologicamente lontano dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro. Per converso è stato escluso che presenti le caratteristiche dell’abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l’osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore, trattandosi di comportamento “connesso” all’attività lavorativa o da essa non esorbitante e, pertanto, non imprevedibile”.
Ciò che conta, in sostanza, ha quindi sintetizzato la Corte di Cassazione, è la considerazione della prevedibilità/imprevedibilità della condotta del lavoratore, che può presentarsi negli stessi termini anche quando si discuta di attività strettamente connesse con lo svolgimento dell’attività lavorativa e, vista da una angolazione più aderente al caso in esame in cui era in discussione l’ambito delle mansioni svolte dal dipendente comunale, strettamente connesso al contenuto dell’ obbligo di formazione imposto al datore di lavoro, “La condotta abnorme del lavoratore può ritenersi interruttiva del nesso di condizionamento”, ha affermato la Sez. IV, “quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è “interruttivo” non perché eccezionale ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a ‘governare’”. Bisogna quindi evitare, secondo la Sez. IV, “di trasformare la posizione di garanzia in una sorta di fonte automatica di responsabilità oggettiva, basata solo sulla “posizione” giuridica del soggetto, e consentire, nel contempo, di attribuire il giusto rilievo alla nozione del ‘comportamento abnorme’ del lavoratore che, come tale, non può che essere concettualmente “residuale” ed eccezionale proprio perché rilevante per recidere il nesso di causalità ex art. 41 c.p., comma 2”.
Alla luce dei principi suesposti la Corte di Cassazione ha ritenuto che nel caso in esame la Corte di Appello non avesse congruamente motivato il giudizio di responsabilità. Del tutto apoditticamente, infatti, la Corte di merito ha ritenuto che il taglio del ramo effettuato dallo lavoratore infortunato rientrasse tra le mansioni di “stradino” dallo stesso esercitate e che lo stesso non aveva ricevuto la necessaria informazione e formazione, così che, intervenendo a svolgere un compito che rientrava nelle sue funzioni, vi provvedeva con modalità non idonee in quanto non adeguatamente informato e formato sulle procedure da adottare e sulle attrezzature da utilizzare per un corretto esercizio di quelle attività, così come del tutto apoditticamente è stato affermato l’inadempimento dell’obbligo di formazione da parte del datore di lavoro, essendo, all’evidenza, tale obbligo strettamente correlato alle attività svolte dal lavoratore ed all’area di rischio alla stessa inerente. Né rilevante, ai fini della configurabilità dell’abnormità/eccentricità della condotta del lavoratore, è stata la circostanza che l’attività sia stata posta in essere al di fuori dell’orario di lavoro.
Per quanto sopra detto la Corte di Cassazione ha quindi deciso di annullare la sentenza di cui al ricorso con rinvio per nuovo esame del caso alla luce dei principi sopra esposti.