Il datore di lavoro è obbligato non solo al rispetto delle misure imposte da leggi e regolamenti in materia di salute e sicurezza, ma anche all’adozione di tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica del lavoratore. A cura di G. Porreca.
Cassazione Civile Lavoro – Sentenza n. 2626 del 5 febbraio 2014 – Ric. omissis.
Commento
È presa in esame dalla Corte di Cassazione in questa sentenza la violazione dell’art. 2087 del codice civile riguardante l’obbligo del datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica dovessero risultare necessarie per tutelare la integrità fisica dei lavoratori. Nella stessa sentenza è stato ribadito dalla Corte di Cassazione Civile che le misure di prevenzione degli infortuni, finalizzate ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare i lavoratori non solo dagli incidenti legati alla sua disattenzione ma anche da quelli dovuti alla loro imperizia, imprudenza e negligenza. Il datore di lavoro dal canto suo, ha ribadito la Corte di Cassazione, risponde dell’infortunio occorso ad un lavoratore dipendente non solo quando non ha adottato le misure necessarie ma anche se non ha provveduto a verificare che le misure stesse fossero messe in atto indipendentemente dal comportamento dei lavoratori a meno che questi non abbia compiuto delle abnormità e non abbia tenuto un comportamento, rispetto alle sue mansioni, esorbitante, imprevedibile e inopinabile.
Il fatto e l’iter giudiziario
Il titolare di un’azienda agricola essendo accaduto nella stessa un infortunio ad un suo dipendente, deceduto mentre prestava la propria attività lavorativa per essere stato incornato da un toro all’interno di una stalla, adiva il Tribunale chiedendo allo stesso di accertare che l’accaduto fosse avvenuto per colpa esclusiva o, quanto meno concorrente e prevalente, del lavoratore. Il Tribunale, in accoglimento della domanda del titolare dell’azienda, dichiarava l’esclusiva responsabilità del lavoratore nella causazione dell’infortunio mortale di cui era rimasto vittima. Il giudice, infatti, ha osservato che a quest’ultimo andava addebitata una mancanza di prudenza nell’esercizio della sua mansione, certamente non in linea con la comune esperienza e con quella sua personale e specifica, essendo emerso dalla incontestata ricostruzione dell’incidente che lo stesso era accaduto per avere il lavoratore assunto una posizione, addossata alla parete, che aveva consentito all’animale di vibrargli con la testa un colpo violento e mortale all’addome, fatto questo che avrebbe potuto essere evitato solo se si fosse posto, come altri e come egli stesso in precedenti occasioni aveva fatto, alla sinistra dell’animale, sì da poter sfuggire agevolmente ai movimenti dello stesso. Il Tribunale ha osservato altresì che, dalle testimonianze assunte, era emerso che nell’ambito aziendale era presente un altro tipo di impianto che avrebbe consentito, ove adoperato, di bloccare l’animale per la testa e che soltanto per una ritenuta maggiore comodità si era soliti ricorrere al box dove si era verificato il sinistro.
La Corte di Appello, accogliendo il ricorso presentato dalla moglie dell’infortunato, ha successivamente dichiarato invece che l’infortunio sul lavoro si era verificato per esclusiva responsabilità del datore di lavoro condannando in solido le eredi di quest’ultimo, nelle more deceduto, al risarcimento, in favore del’appellante, del danno biologico, del danno non patrimoniale ed alla rifusione delle spese funerarie in ragione di un terzo, determinando il tutto nella somma di complessivi €.93.242,68, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal giorno dei decesso del lavoratore ed al pagamento delle spese del doppio grado.
Il ricorso e le motivazioni
Le eredi del datore di lavoro hanno proposto ricorso per cassazione evidenziando che la Corte di Appello, nonostante fosse stato accertato dal c.t.u. che il sistema utilizzato dall’azienda per eseguire l’esame antitubercolinico sui bovini era quello generalmente adottato presso gli allevamenti zootecnici e che, come era stato evidenziato dal primo giudice, era stato il lavoratore a provocare l’infortunio mortale ponendosi tra l’animale ed il muro, aveva comunque ritenuto violato l’art. 2087 c.c. per non avere il datore di lavoro adottato tutte le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, risultassero necessarie per tutelare l’integrità fisica del lavoratore, riconoscendo così alla citata norma codicistica la natura di fonte di responsabilità oggettiva, in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza in materia. In ogni caso, hanno messo in evidenza altresì le ricorrenti, la sentenza impugnata non aveva considerato che la responsabilità del datore di lavoro viene comunque meno in presenza di comportamenti abnormi o imprevedibili o di rischio elettivo, elementi che hanno caratterizzato il caso in esame.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. Secondo la Corte suprema la sentenza impugnata è risultata rispettosa dei principi più volte affermati in materia dalla stessa Corte e dal giudice delle leggi secondo cui “seppure è vero che l’art. 2087 c.c. non introduce una responsabilità oggettiva del datore di lavoro, è altrettanto vero che, per la sua natura di norma di chiusura del sistema di sicurezza, esso obbliga il datore di lavoro non solo al rispetto delle particolari misure imposte da leggi e regolamenti in materia anti infortunistica, ma anche all’adozione di tutte le altre misure che risultino, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratore, salvi i casi di comportamenti o atti abnormi ed imprevedibili del lavoratore medesimo, ma non di colpa di quest’ultimo”. “In sostanza”, ha così proseguito la Sez. Lavoro, “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo ‘tipico’ ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento”.
La suprema Corte ha altresì messo in evidenza che nel caso in esame era stato ampiamente accertato, attraverso le qualificate testimonianze dei veterinari presenti all’infortunio, la c.t.u. espletata e le ulteriori circostanze da essa emerse, quali la presenza di strutture di immobilizzazione dell’animale o di box in tubulari metallici con aperture alle due estremità, adottate presso altri allevamenti della zona, che l’infortunio, seppure in parte dovuto ad imprudenza del lavoratore, poteva essere evitato adottando le medesime misure allestite in altri allevamenti della zona, valutando inoltre che l’art. 15 del D.P.R. n. 547\55 stabilisce che lo spazio destinato al lavoratore deve essere tale da consentire il normale movimento della persona in relazione al lavoro che essa deve compiere. Giustamente quindi, secondo la Cassazione, la Corte territoriale, sulla scorta di tali accertamenti e di tali considerazioni, aveva ritenuto sussistente la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. escludendo che la semplice imperizia o imprudenza del lavoratore fosse idonea ad escludere il nesso causale tra il verificarsi del danno e la responsabilità dell’imprenditore, imprudenza nella specie certamente da escludersi considerata la dinamica dell’incidente e le ridotte dimensioni del box.
Qui trovate riportata la sentenza
Fonti: Puntosicuro e Olympus-Università di Urbino