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Il valore giuridico delle procedure, la verifica della loro applicazione ed efficacia, lo scollamento tra le procedure “ufficiali” e le prassi, le procedure necessarie non individuate. A cura di Anna Guardavilla.

La vita di un’azienda è condizionata e orientata da vari livelli di “regole”: accanto alle regole introdotte dal legislatore, ovvero alle vere e proprie “norme giuridiche”, vi sono tutta una serie di “regole” di cui si dota l’azienda stessa, in attuazione – in senso diretto o indiretto, in quanto riconducibili ad obblighi specifici o generali di tutela – delle norme giuridiche stesse, delle norme volontarie o degli standard.
Una volta introdotte, anche queste regole di cui si dota l’organizzazione (disposizioni interne, procedure etc.) divengono vincolanti per coloro che operano in azienda e, quindi, per l’azienda stessa.
Un buon sistema aziendale è un sistema nel quale vi è la consapevolezza che tutte le procedure che vengono introdotte dovranno essere attuate e quindi dovranno diventare cosa viva e non restare solo delle prescrizioni scritte sulla carta.
Le procedure introdotte dovranno essere infatti veicolate attraverso la formazione (quale “processo educativo attraverso il quale trasferire…conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi” [1]), l’informazione (ad es. sulle “procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei luoghi di lavoro” [2] etc..) e l’addestramento (quale “complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori…[anche] le procedure di lavoro” [3]).

Se si parte dall’impostazione dell’articolo 30 del testo unico sui modelli organizzativi, che, pur descrivendo un modello formalmente volontario, identifica indiscutibilmente quello che secondo il sistema giuridico è un “buon modello di gestione” (dal momento che, se idoneo, può addirittura porre al riparo l’azienda da una responsabilità di enorme rilievo quale quella amministrativa delle persone giuridiche), si ha immediatamente la percezione di quale debba essere l’approccio di un’azienda al “tema” delle procedure, allorché la norma esplicita che “il modello di organizzazione e di gestione idoneo […] deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:… f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori” e, aspetto tutt’altro che banale, “h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate”.
Dunque la norma, oltre a richiedere che venga effettuata la vigilanza (effettiva) sulle procedure, nell’esplicitare l’ultimo importantissimo requisito dell’elenco (lett. h) non fa riferimento solo alle periodiche verifiche dell’applicazione delle procedure, che è già in sé un aspetto di fondamentale rilevanza, ma anche – è bene sottolinearlo – alle periodiche verifiche dell’efficacia delle procedure adottate.
Un buon sistema di prevenzione è infatti un sistema nel quale si procede periodicamente a revisionare le procedure sul piano della loro applicazione (domandandosi, se una procedura non viene applicata: qual è la causa? È una procedura ben conosciuta e compresa da chi la deve applicare? Si vigila adeguatamente sulla sua applicazione? È una procedura da ritenersi valida rispetto allo scopo? Etc..) e della loro efficacia (domandandosi, se una procedura non è efficace: può essere migliorata? Deve essere modificata? È ancora funzionale al raggiungimento dello scopo di tutela che ci si era prefissi con quella procedura? È effettivamente aderente alla realtà lavorativa nella quale deve essere applicata? Etc..).

La giurisprudenza ci descrive e ci consegna interminabili elenchi di casi in cui, a seguito di un infortunio o di una malattia professionale, si è poi accertato che le procedure aziendali “ufficiali” non coincidevano con le prassi e con le modalità esecutive del lavoro concretamente praticate in azienda.
Val la pena qui sottolineare che l’introduzione in azienda di una procedura che resta solo parola scritta confinata all’interno dei documenti aziendali ma che poi nella prassi non prende vita, non viene trasferita ai lavoratori, non viene fatta osservare e tradotta in pratica, non dà alcun beneficio all’azienda e a coloro che ricoprono posizioni di garanzia neanche sul piano giuridico, potendo addirittura essere controproducente anche da quel punto di vista.
Questo perché procedurizzare un’attività significa “rappresentarsi” l’esistenza di un rischio e definire il modo corretto di gestirlo; se poi a quel punto non se ne fanno seguire le azioni conseguenti atte a garantire l’applicazione effettiva della procedura stessa che si è predisposta per governare tale rischio (formazione, addestramento, vigilanza etc..), in tale inerzia può essere ravvisato un livello di negligenza particolarmente qualificato, dal momento che si è agito (o meglio, “non” si è agito) nonostante la consapevolezza del rischio – e quindi dell’evento ad esso potenzialmente conseguente – che quella procedura andava a scongiurare.

La giurisprudenza fotografa poi uno scenario applicativo in cui spesso la causa dell’infortunio è costituita dalla mancata valutazione dei rischi inerenti una specifica operazione e quindi la mancata individuazione di una procedura idonea; non si dimentichi, peraltro, che a partire dal maggio del 2008 il Documento di Valutazione dei Rischi deve contenere anche “l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri”. [4]

Un paio di esempi tratti dall’ambito delle operazioni di manutenzione.

Cass. Pen. Sez. IV, 15 aprile 2010 n.14499 ha confermato la condanna di un datore di lavoro il quale “per colpa, consistita nell’avere omesso di impartire le opportune disposizioni affinché i lavori di manutenzione sulla macchina impastatrice di calcestruzzo, alla quale era addetto il lavoratore infortunatosi, fossero eseguiti a macchina ferma e messa in sicurezza, aveva causato al lavoratore gravi lesioni alla gamba sinistra.”
La dinamica dell’infortunio era stata questa: il lavoratore, dovendo sostituire alcuni pezzi all’interno del mescolatore, era entrato dentro la vasca di mescolamento di una delle due macchine presenti in officina ed aveva preso ad operare dall’interno tenendo le gambe sul fondo, a contatto con la pala mescolatrice, previamente disattivata dal circuito elettrico.
Di tale operazione aveva informato il collega, addetto al funzionamento delle impastatrici. Quest’ultimo si era allontanato e, dopo oltre due ore, mentre il lavoratore era ancora all’interno dell’impastatrice, non visibile dall’esterno, era ritornato alla postazione di comando del macchinario e a quel punto, pensando che il lavoratore avesse terminato il suo intervento, aveva azionato il comando di avviamento dell’impastatrice, subito interrotto dalle grida del lavoratore, la cui gamba era stata afferrata dall’ingranaggio.
Al datore di lavoro era stato contestato di aver fatto eseguire i lavori di manutenzione sulla macchina impastatrice senza che questa fosse stata messa in sicurezza e di non aver individuato una procedura da seguire nel corso di interventi di manutenzione dei macchinari.
Secondo l’ispettore del lavoro, tale procedura avrebbe dovuto prevedere “l’indicazione analitica delle disposizioni di sicurezza da adottare, quali:
a) la previa segnalazione dell’uomo al lavoro,
b) la messa in sicurezza della macchina con disattivazione certa del circuito elettrico,
c) l’informazione agli altri addetti della presenza dell’operaio nella vasca,
d) il coordinamento di un preposto”.
Secondo la Corte d’Appello era stata effettuata dal datore di lavoro “una impropria valutazione dei rischi inerenti la specifica operazione di manutenzione” e la causa dell’infortunio era da rinvenirsi “nell’assenza di coordinamento del personale dell’azienda durante l’esecuzione di tale operazione; ciò per la mancata previsione, da parte del datore di lavoro, di una specifica procedura di sicurezza circa gli interventi di manutenzione, sicché gli operai procedevano sulla base della loro esperienza, senza il necessario coordinamento e la dovuta informazione sui rischi.”
Secondo la Cassazione le disposizioni da prevedere per gli interventi manutentivi erano “comunque necessarie, malgrado la presenza dei dispositivi di sicurezza, in considerazione dell’eventualità di un loro mancato funzionamento. Proprio il verificarsi di una tale eventualità avrebbe dovuto esser prevista nel documento di valutazione del rischio connesso all’esecuzione di interventi di manutenzione, non potendo ritenersi appagante e decisiva la presenza dei dispositivi apposti sulla macchina, che avrebbero potuto disattivarsi per un guasto ovvero per un errato intervento umano.”

Sul tema della manutenzione si è poi pronunciata anche Cass. Pen. Sez. IV, 16 marzo 2011 n.10652, che ha affermato la responsabilità di un direttore del servizio manutenzione meccanica acciaieria e servizi generali di una S.p.a. per l’infortunio mortale occorso ad un lavoratore addetto alle operazioni di pulizia e manutenzione di un banco oscillante dell’impianto di colata continua del peso di circa 3.850 kg e delle dimensioni di m. 3 x cm. 90 x cm. 90. [5]
Il banco, che aveva la forma di un parallelepipedo, era stato appoggiato sulle forche di un carrello elevatore manovrato dal collega e trasportato all’interno di un’apposita area per essere sottoposto a lavaggio, al quale doveva provvedere la vittima con una lancia a getto d’acqua pressurizzata. Sollevato il banco, su richiesta dell’operatore, ad un’altezza di circa un metro per consentire la pulizia della parte inferiore del manufatto, questo era scivolato via dalle forche ed era piombato addosso al lavoratore che ne era rimasto schiacciato. Tra i vari profili di colpa, è stata addebitata al ricorrente la “mancata specifica valutazione dei rischi connessi con le operazioni di lavaggio” e la “mancanza di specifiche informazioni sulla più corretta procedura da seguire”.
Tali condotte sono state contestate all’imputato in quanto “costui non solo era il direttore del servizio manutenzione meccanica e servizi generali, responsabile del reparto colata continua, ma era in azienda il tecnico di riferimento, costantemente presente. Posizione e presenza che avrebbero dovuto consentirgli di accorgersi dell’assenza di puntuali disposizioni inerenti le procedure di lavaggio e del ricorso a prassi pericolose; la situazione di pericolo, peraltro […] era stata segnalata all’imputato dai rappresentanti dei lavoratori”.

Secondo la Cassazione, “l’infortunio è stato determinato dal mancato rispetto, nelle operazioni di lavaggio, di elementari regole di prudenza e diligenza”.

Tali elementari regole di prudenza e diligenza “avrebbero imposto:

a) di eseguire dette operazioni, riguardanti un manufatto tanto ingombrante e pesante, in condizioni di assoluta sicurezza, e, dunque, non tenendolo sospeso pericolosamente per aria, bensì appoggiato su elementi fissi, poco alti da terra
b) di impedire, al di là dei teorici divieti richiamati dal ricorrente, ignorati da una prassi sconsiderata, che l’addetto al lavaggio si ponesse pericolosamente vicino al carrello che sosteneva il banco, essendo tale vicinanza, oltre che formalmente vietata, chiaramente pericolosa per la prevedibile possibilità di un ribaltamento del carico, portato su e giù per consentire il lavaggio di ogni parte di esso, e per l’assenza di vie di fuga.”

E dunque “proprio all’imputato, in ragione della qualifica ricoperta, spettava anche di vigilare adeguatamente affinché fossero realmente rispettate le procedure di sicurezza e le relative direttive, senza che possano costituire un alibi le dimensioni dell’azienda o il numero dei lavoratori impiegati posto che, attraverso una corretta organizzazione ed opportune disposizioni, l’imputato ben avrebbe potuto essere costantemente informato sui temi della sicurezza e del rispetto, da parte degli stessi lavoratori, delle relative norme.”

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[1] Art. 2 c. 1 lett. aa) D.Lgs.81/08. Si veda anche art. 37 c. 1 lett. b): “Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata con particolare riferimento a:… b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.
[2] Art. 36 c. 1 lett. b) D.Lgs.81/08.
[3] Art. 2 c. 1 lett. cc) D.Lgs.81/08.
[4] Art. 28 c. 2 lett, d).
[5] Dell’incidente sono stati chiamati a rispondere, separatamente, anche il direttore generale tecnico della società e il collega della vittima.

Fonti: Puntosicuro, Anna Guardavilla