Le norme in materia di prevenzione degli infortuni individuano specificamente gli obblighi penalmente sanzionati dei diversi garanti della sicurezza. le responsabilità delle figure intermedie non sostituiscono mai comunque quella del datore di lavoro.
Una breve sentenza questa con la quale la Corte di Cassazione rammenta che la disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro dettata dal D. Lgs. n. 81/2008 individua specificamente gli obblighi penalmente sanzionati con riguardo alle diverse posizioni di garanzia che vengono in rilievo e che ognuno dei garanti stessi risponde delle violazioni a esso imputabili. E non ha importanza, ha aggiunto ancora la suprema Corte, se alcuni di essi hanno estinto le contravvenzioni a loro contestate, pagando l’oblazione in via amministrativa, in quanto la loro responsabilità non può sostituirsi a quella del datore di lavoro trattandosi di responsabilità, per fatto proprio, connessa alla diversa qualifica da ciascuno rivestita che va ad aggiungersi a quella gravante sul datore di lavoro, eventualmente delegabile ad altri soggetti tecnicamente competenti e dotati dei poteri decisionali e di intervento propri del delegante.
La Corte di Cassazione ha fornito tali indicazioni nel decidere sul ricorso presentato da un datore di lavoro che fra le motivazioni aveva sostenuto che era stato provveduto a nominare, a garanzia della sicurezza, tutte le figure tecniche previste dalla legge, le quali avevano concretamente svolto le loro funzioni in cantiere, e in particolare erano stati nominati il direttore tecnico dei lavori, il coordinatore della sicurezza, il preposto e gli addetti al montaggio e allo smontaggio dei ponteggi che tra l’altro, sanzionati dall’organo di vigilanza per le violazioni riscontrate, avevano pagato la sanzione amministrativa loro comminata.
La suprema Corte però, alla luce delle considerazioni suesposte, ha dichiarato inammissibile il ricorso e, dopo avere evidenziato l’errore giuridico-concettuale nel quale era incorso l’imputato, lo ha condannato al pagamento delle spese processuali e della somma a prevista favore della Cassa delle Ammende.
Il caso, la condanna del Tribunale, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
Il Tribunale, all’esito del dibattimento, ha condannato la legale rappresentante di una società alla pena di 4.000 euro di ammenda per alcune contravvenzioni alla disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestate dall’organo di vigilanza all’esito di un sopralluogo in un cantiere edile dove la società stessa stava svolgendo, con propri dipendenti, lavori di costruzione.
L’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, fra le altre motivazioni, l’inosservanza o erronea applicazione delle norme incriminatrici contestate perché era stata affermata la sua responsabilità penale in qualità di datrice di lavoro, benché fossero state nominate tutte le figure tecniche previste dalla legge a garanzia della sicurezza, con correlata delega di funzioni. In particolare, ha sottolineato la ricorrente, oltre al direttore tecnico dei lavori e agli addetti al montaggio e allo smontaggio dei ponteggi, erano stati nominati, e avevano concretamente svolto le loro funzioni in cantiere, un ingegnere quale coordinatore della sicurezza, e un dipendente come preposto i quali avevano entrambi pagato la sanzione amministrativa loro comminata dall’organo di vigilanza per le violazioni riscontrate.
Come altra motivazione la ricorrente si è lamentata per il fatto che la gran parte delle contestazioni si era rivelata inesistente e che l’unica residua, afferente alla mancanza di una sbarra dal ponteggio, era irrilevante sul piano penale e non poteva comunque essere a lei addebitata in qualità di datore di lavoro, in quanto la sbarra era stata momentaneamente tolta per ragioni contingenti. La ricorrente pertanto ha invocata l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il primo motivo di ricorso è stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Cassazione perché proposto per ragioni non consentite e perché generico e manifestamente infondato per un errore giuridico-concettuale di fondo. Posto che la disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro dettata dal D. Lgs. n. 81/2008, ha così precisato la suprema Corte, individua specificamente gli obblighi penalmente sanzionati con riguardo alle diverse posizioni di garanzia che vengono in rilievo, non v’è dubbio che ciascuno risponde delle violazioni allo stesso imputabili e che, per talune, vi è anche il concorso di responsabilità in capo a diversi garanti.
Anche per quanto riguarda le misure dettate a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili, ha aggiunto la Sezione III, sono previste nel titolo quarto del citato decreto legislativo obblighi e sanzioni per i datori di lavoro, per i coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori e per i preposti. Non rileva comunque, ha così proseguito la Sez. III, che il coordinatore e il preposto, sanzionati per le violazioni da ciascuno commesse, abbiano estinto, pagando l’oblazione in via amministrativa, le contravvenzioni loro contestate. Non si tratta, infatti, di responsabilità conseguente ad una asserita delega di funzioni del datore di lavoro, ma di responsabilità, per fatto proprio, connessa alla diversa qualifica da ciascuno rivestita, che si aggiunge, e non si sostituisce, a quella gravante sul datore di lavoro ed eventualmente delegabile, rispettando le rigorose condizioni di legge, a altri soggetti tecnicamente competenti e dotati dei poteri decisionali e di intervento propri del delegante.
Analogamente inammissibile è stato ritenuto dalla suprema Corte il secondo motivo perché generico e non consentito in sede di legittimità. La sentenza impugnata, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, aveva ritenuto provate tutte le plurime contestazioni specificamente mosse all’imputata, tanto che, senza che sul punto fosse stata proposta impugnazione, era stato riconosciuto il vincolo della continuazione tra tutte le contravvenzioni ascritte. Quindi in sentenza, ha osservato la Sezione III, non v’è traccia del fatto che la responsabilità sarebbe stata riconosciuta soltanto per la “residuale” contestazione della mancanza di una sbarra al ponteggio.
La Corte di Cassazione, in conclusione, dichiarate inammissibili anche le altre motivazioni avanzate nel ricorso, rilevata l’insussistenza nel caso in esame di elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità e tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000 n. 186, ha condannata la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it