normativeNelle motivazioni della sentenza Thyssen di Cassazione, le differenze tra l’RSPP-dirigente di fatto e la “posizione di garanzia” dell’RSPP quale consulente che opera “in autonomia, nel rispetto del sapere scientifico e tecnologico”. Di Anna Guardavilla.


Quando l’RSPP è dirigente di fatto

“L’aver agito operativamente e gerarchicamente nell’organizzazione della manutenzione e dell’emergenza fa dell’imputato un dirigente di fatto, come tale titolare di posizione di garanzia.”

Così la sentenza di Cassazione sul caso Thyssenkrupp (Cass. Pen., Sez. Un., 18 settembre 2014 n.38343) sintetizza la posizione di C., l’RSPP dell’acciaieria.
La cui “posizione di garanzia deriva, al di là dell’assenza della formale qualifica di dirigente, dall’ampiezza delle funzioni e dei poteri all’interno dello stabilimento torinese.”

Vediamo sulla base di quali valutazioni.

1) L’organizzazione della manutenzione degli impianti

Il C. “era responsabile, e dotato di poteri gerarchici, in un settore che si occupava anche di organizzare il monitoraggio per la manutenzione degli impianti, con la collaborazione dell’ing. L.”

Tale ruolo risultava dalla deposizione di L. ed era stato ammesso anche dall’imputato stesso allorché aveva “riferito di aver messo a punto il programma di ispezione degli impianti eseguito da L. fino alla data delle sue dimissioni e poi passato all’ing. G.”
In particolare L., “oltre che responsabile della manutenzione”,agiva quale “collaboratore di C.C.”; dunque“l’imputato era nei fatti una figura di primo piano nel settore della sicurezza.”

Con riferimento all’evento che si è poi verificato, la sentenza sottolinea che “la corretta manutenzione degli impianti rileva nella fattispecie anche per la mancata riparazione dei due centratori del nastro sulle linee aspo 1 e aspo 2.”

2) La responsabilità dell’organizzazione del personale e dei mezzi di emergenza

Oltre ad avere un ruolo di primo piano nell’organizzazione della manutenzione, “l’imputato era responsabile dell’organizzazione del personale e dei mezzi di emergenza in caso di incendio”, come risulta dal fatto ad esempio che “da lui dipendevano i componenti delle squadre di emergenza.”
Un ruolo che, secondo la sentenza, “ha una evidente connessione con le funzioni operative di prevenzione primaria e secondaria” e che si esplicava anche mediante precise disposizioni aziendali in materia di organizzazione delle emergenze.

In particolare, “si rammenta la disposizione impartita ai capi turno di assumere su di sé anche la responsabilità dell’emergenza: disposizione che costituisce ordine gerarchico con il quale il dirigente attua le direttive del datore di lavoro.”
E, anche se “non vi è dubbio che la decisione di attribuire al capo turno anche il governo dell’emergenza fu adottata dal vertice dello stabilimento”, tuttavia“l’attuazione della statuizione costituisce tipica esplicazione del ruolo di collaborazione proprio del dirigente.”

Maggiori dettagli su questo punto venivano forniti dalla sentenza di primo grado la quale, nell’attribuire al C. l’esercizio di “poteri decisionali manifestatisi ufficialmente all’esterno”, faceva riferimento all’“ordine” […] intitolato “modifica del piano di emergenza interno, emesso proprio da C. da lui inviato a[i colleghi] del seguente tenore: “in allegato le nuove disposizioni sul piano di emergenza. Se ritenete necessario, sono disponibile ad effettuare una riunione con tutti i sorveglianti per chiarire ulteriormente le modifiche in oggetto”; in allegato a tale e-mail, troviamo la “Comunicazione interna”, avente ad oggetto appunto: “modifica del piano di emergenza interno” del seguente tenore: “A seguito delle dimissioni dei Capi turno manutenzione, è stato necessario modificare il piano di emergenza interno. In particolare è stata data la responsabilità del piano di emergenza al capo turno produzione…” [1]

In conclusione, secondo la Corte, “che egli fosse formalmente dirigente o lo fosse solo di fatto non muta lo stato delle cose, perché“resta il fatto decisivo che egli è continuamente presente nei fatti che riguardano la sicurezza”.

La differenza in termini di ruolo tra l’esercizio di fatto del ruolo di dirigente da parte di un RSPP e lo svolgimento del ruolo proprio dell’RSPP secondo la normativa prevenzionale si coglie anche dal differente modo in cui la giurisprudenza descrive ed inquadra le responsabilità dell’uno e dell’altro.
Un esempio ci viene fornito sempre dalla sentenza in analisi, che ha condannato il C., oltre che come dirigente di fatto, anche – e soprattutto – in qualità di RSPP.

Infatti “il C.C. era inoltre e soprattutto responsabile del servizio di prevenzione e protezione e tale ruolo contribuisce in modo prioritario a fondare la sua responsabilità concorrente nei reati. Si è visto, infatti, che in tale veste predispose i documenti di valutazione del rischio che trascurarono il pericolo di flash fìre e le pertinenti istruzioni ai lavoratori.”

L’RSPP riveste una “posizione di garanzia” e deve svolgere i suoi compiti “in autonomia, nel rispetto del sapere scientifico e tecnologico”

Un passaggio importante della pronuncia è quello in cui la Cassazione sottolinea che il responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione riveste una vera e propria “posizione di garanzia”, illustrando in cosa essa consista concretamente.

Allorché “la difesa contesta che egli [C.] avesse un ruolo di garante in tale qualità [di RSPP, n.d.r.]”, infatti, “la pronunzia rammenta la consolidata giurisprudenza che ravvisa la responsabilità anche in capo questa figura qualora si accerti che la mancata adozione di una misura precauzionale da parte del datore di lavoro è il frutto dell’omissione colposa di un suo compito professionale.”

La Cassazione specifica a questo punto in cosa consista la posizione di garanzia dell’RSPP, premettendo che questa “peculiare figura istituzionale del sistema prevenzionistico […], insieme al medico competente, svolge un importante ruolo di collaborazione con il datore di lavoro” e che “il servizio, ora previsto dagli artt. 31 e ss. del T.U, deve essere composto da persone munite di specifiche capacità e requisiti professionali adeguati ai bisogni dell’organizzazione; ed ha rilevanti compiti…”

E prosegue: l’RSPP “svolge una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma è priva di autonomia decisionale: essa, tuttavia coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti, con distinti ruoli e competenze. In breve, un lavoro in équipe. Alla luce di tali considerazioni è possibile rispondere alla ricorrente domanda se i componenti dell’organo possano assumere la veste di garante.”

E la risposta della Corte è positiva: i membri del Servizio di Prevenzione con l’incarico assumono una vera e propria posizione di garanzia.

Anche l’obiezione che fa presente che l’RSPP non è destinatario di sanzioni penali in via contravvenzionale, infatti, “non è risolutiva per escludere il ruolo di garante”, dal momento che “ciò che importa è che i componenti del SPP siano destinatari di obblighi giuridici; e non può esservi dubbio che, con l’assunzione dell’incarico, essi assumano l’obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni che si sono viste.”
Il soggetto che assume l’incarico di RSPP infatti, sulla base di un contratto sottoscritto con un datore di lavoro, si impegna a svolgere i compiti tassativamente previsti dall’art. 33 del D.Lgs.81/08 con la diligenza prevista dal codice civile.

La posizione di garanzia dei componenti del SPP, poi, è strettamente connessa al fatto che il “ruolo svolto da costoro è parte inscindibile di una procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro.
La loro attività può ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell’evento illecito. Si pensi al caso del SPP che manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche.”
Diversamente, aggiunge la Corte, si “rischierebbe di far gravare sul datore di lavoro una responsabilità che esula dalla sfera della sua competenza tecnico-scientifica. La responsabilità di tale figura è stata del resto ammessa da diverse pronunzie della Corte di cassazione …”

Da questo principio, in conclusione, “emerge la sicura riferibilità del ruolo di garante in capo al C.C. ; e l’obbligo conseguente di svolgere in autonomia, nel rispetto del sapere scientifico e tecnologico, il compito di informare il datore di lavoro e di dissuaderlo da scelte magari economicamente seducenti ma esiziali per la sicurezza.”

Fonti: Anna Guardavilla, Puntosicuro.it