
Un intervento si sofferma sugli effetti dell’esposizione a radon. Il gas radon, la sorveglianza sanitaria con strumenti diagnostici e le sfide future per progredire nella diagnosi precoce dei tumori polmonari.
Torniamo a parlare del gas radon che, come indicato anche nell’articolo “ Rischio radon: come entra il radon nelle nostre abitazioni?” riguarda sia i luoghi di vita sia i luoghi di lavoro.
Radon che, ricordiamolo, è un agente cancerogeno, “classificato dal WHO nel gruppo 1 IARC”. E l’eventuale “associazione tra l’esposizione al radon e il consumo di tabacco aumenta da 15 a 20 volte il rischio di insorgenza di carcinoma polmonare rispetto ai non fumatori”.
Non esiste poi “in assoluto una concentrazione «sicura» al di sotto della quale la probabilità di sviluppare il tumore è nulla”, tuttavia, “diverse organizzazioni scientifiche internazionali (OMS, CEE, e i singoli Stati) hanno fissato dei valori di riferimento per le abitazioni e per i luoghi di lavoro al di sotto del quale il rischio risulta accettabile”.
A raccontare in questi termini il rischio radon, soffermandosi specialmente sugli effetti dell’esposizione, è l’intervento “Effetti dell’esposizione a radon e organi bersaglio” che si è tenuto al seminario “Valutazione del rischio di esposizione al gas RADON negli ambienti lavorativi e residenziali” (Milano, 26 gennaio 2023). Seminario, organizzato dalla Consulta CIIP con il contributo di varie associazioni, che ha permesso di approfondire le conoscenze sulle radiazioni ionizzanti e sul gas radon anche alla luce delle modifiche apportate al Decreto Legislativo 31 luglio 2020, n. 101
L’intervento su cui ci soffermiamo oggi è a cura di Giuseppe Taino (IRCCS Istituti Clinici Scientifici Maugeri Pavia – Università di Pavia – AIRM) che riprende, nella sua relazione, vari studi con particolare riferimento alle idonee strategie di screening per la diagnosi precoce dei tumori polmonari in stadio iniziale, quindi potenzialmente curabili.
Nel presentare l’intervento l’articolo affronta i seguenti argomenti:
- Il rischio radon: gas, attività lavorative e popolazione generale
- Il rischio radon: sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti
- Il rischio radon: le sfide future per la diagnosi precoce dei tumori
Il rischio radon: gas, attività lavorative e popolazione generale
Si ricorda, nell’intervento, che il radon “è un gas inerte ed elettricamente neutro, ma radioattivo successivamente alla formazione di prodotti di decadimento o «figli» (in particolare due isotopi del Polonio, Po 218 e Po 214 ) i quali, essendo elettricamente carichi, si legano al particolato presente nell’atmosfera e possono essere inalati raggiungendo la superficie alveolare polmonare”. I prodotti di decadimento depositati sono “radioattivi ed emettono radiazioni alfa responsabili del danno cellulare”.
Si segnala poi che la fonte di Radon più significativa in natura “è rappresentata dal suolo e dalle rocce soprattutto se di origine vulcanica (tufo, granito….)”, ma anche i materiali “usati per l’edilizia contengono Radon in concentrazioni variabili”.
In particolare in Italia la situazione “è molto eterogenea con zone di livelli espositivi differenti sia a livello nazionale, sia a livello regionale, sia addirittura comunale”.
In ogni caso il gas radon “tende ad accumularsi negli ambienti confinati dove può raggiungere concentrazioni tali da rappresentare un rischio significativo per la salute degli individui esposti”.
E riguardo al mondo del lavoro gli effetti dell’esposizione al radon “sono stati evidenziati prima di tutto tra i minatori di miniere sotterranee di uranio dove le concentrazioni di radon , dove le concentrazioni di radon arrivavano a valori estremamente elevati”. E gli studi epidemiologici su queste popolazioni di lavoratori “hanno mostrato un evidente e forte aumento di incidenza di tumore polmonare nei minatori esposti ad alte concentrazioni di radon”. Ed è sulla base di questi risultati che il gas radon “è stato classificato tra i cancerogeni per l’uomo per i quali vi è la massima evidenza di cancerogenicità.
Sono stati effettuati diversi studi epidemiologici anche sulla popolazione generale esposta al radon nelle abitazioni e i “principali risultati di questi studi consentono di trarre le seguenti conclusioni:
- l’incidenza di tumore polmonare aumenta proporzionalmente con l’aumentare della concentrazione di radon: più alta è la concentrazione di radon, maggiore è il rischio di sviluppare tumore polmonare
- il rischio di tumore polmonare aumenta proporzionalmente alla durata dell’esposizione: più lunga è la durata dell’esposizione a radon, maggiore è il rischio di sviluppare tumore polmonare
- l’aumento del rischio di cancro avviene proporzionalmente rispetto alla ‘normale’ frequenza dei tumori polmonari, mantenendone quindi la distribuzione per età: i tumori polmonari sono rari fino all’età di 45 anni, poi la frequenza cresce e raggiunge i valori massimi dai 65 anni in avanti
- a parità di concentrazione di radon e durata dell’esposizione, il rischio di tumore polmonare è molto più alto (circa 25 volte) per i fumatori rispetto ai non fumatori”.
L’intervento ricorda che per persone esposte al radon per circa 30 anni, “l’analisi degli studi epidemiologici effettuati in 11 Paesi Europei, tra cui l’Italia, ha evidenziato un aumento di rischio di circa il 16% ogni 100 Bq/m3di concentrazione di radon. Quindi il rischio raddoppia per un’esposizione di circa 30 anni ad una concentrazione di circa 600 Bq/m3.
E se in Italia la gran parte della popolazione italiana è esposta ad una concentrazione media di radon inferiore a 100 Bq/m3, circa il 4% della popolazione è esposta a concentrazioni medie superiori a 200 Bq/m3e circa l’1% a concentrazioni medie superiori a 400 Bq/m3.
Riguardo alla situazione italiana l’Istituto Superiore di Sanità ha stimato che “il numero di casi di tumore polmonare attribuibili all’ esposizione al radon è compreso tra 1.000 e 5.500 ogni anno (su un totale annuale di circa 31.000 tumori polmonari ), la maggior parte dei quali tra i fumatori, a causa dell’effetto sinergico tra radon e fumo di sigaretta”.
Il rischio radon: sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti
Il relatore, che si sofferma anche sulla normativa vigente e sui livelli di riferimento, affronta poi il tema della sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti a radon che è “finalizzata alla prevenzione e diagnosi precoce del tumore polmonare”.
E riguardo alla sorveglianza sanitaria con strumenti diagnostici si indica che “i primi studi di screening, condotti con RX torace , associata o meno all’esame citologico su espettorato, non hanno rilevato una riduzione della mortalità per tumore polmonare”. Ma in anni più recenti, è stato introdotto l’utilizzo della Tomografia Computerizzata (TC) del torace a bassa dose (LDCT) che “ha permesso di rilevare un elevato numero di tumori polmonari in stadio iniziale , quindi potenzialmente curabili. Tuttavia questo non ha permesso di dimostrare una reale significativa riduzione della mortalità per carcinoma polmonare”.
Sono riportati poi vari esempio di studi di screening con TC torace a bassa dose (LDCT) e in tutti gli studi “è stato evidenziato un aumento significativo di tumori polmonari diagnosticati in fase iniziale (e quindi trattabili chirurgicamente) sia rispetto a studi con RX torace e sia all’esperienza clinica”.
Altre indicazioni:
- “in tutti questi studi anche se la TC ha rilevato tumori in fase iniziale preclinica, non è stata tuttavia osservata alcuna riduzione della mortalità specifica per tumore del polmone
- molto elevata è risultata la percentuale di noduli non maligni (fino al 50%) trattati chirurgicamente
- Per queste ragioni sono state maggiormente considerati in indagini successive gli aspetti legati alla morbilità e al rapporto costi benefici dello screening con LCDT”.
Si ricorda poi che un importante “studio randomizzato controllato pubblicato su JAMA (2007), sono stati sono stati reclutati oltre 3.000 fumatori seguiti presso l’istituto Nazionale dei Tumori di Milano e altri due centri statunitensi. Gli autori hanno utilizzato un modello matematico per predire il numero di diagnosi di tumore: tumore: dopo 5 anni sono stati diagnosticati 144 tumori anziché i 44 attesi e sono state effettuate 109 resezioni polmonari invece delle 11 attese. Quindi la diagnosi precoce è sembrata funzionare ed ha aumentato del 90% i tumori operabili”.
Si indica poi che è molto probabile “che lo screening radiologico sia in grado di diagnosticare in stadio precoce solo i tumori a lenta crescita, molti dei quali non darebbero conseguenze, ma non è in grado di prevenire, in una fase precoce, i tumori polmonari più aggressivi responsabili di metastasi a distanza”.
Dunque lo screening anticipa la diagnosi, “ma non cambia la storia della malattia”.
Dopo aver segnalato i principali problemi clinici in studi di screening LDCT , si segnala poi che la ricerca si è “spinta verso marcatori specifici per organi e tessuti, come i microRNA (miRNA), sequenze di RNA non codificante ma coinvolto in molti processi oncogenici”. I miRNA “potrebbero essere candidati ideali nello screening tumorale in fase iniziale perché agendo come messaggeri extracellulari di segnali biologici derivanti dalla comunicazione tra il tumore ed il suo microambiente circostante, consentono di individuare cambiamenti precoci relativi alla reattività biologica dell’ospite”. E l’utilizzo di “test non invasivi come quelli basati su miRNA circolanti potrebbe aiutare a ridurre il numero di falsi positivi della LDCT”.
Il rischio radon: le sfide future per la diagnosi precoce dei tumori
Rimandando alla lettura integrale dell’intervento che riporta molte altre interessanti indicazioni, ad esempio sui miRNA e su altre ricerche sulla diagnosi precoce del tumore polmonare, riportiamo le conclusioni del relatore con riferimento alle sfide future per ulteriori progressi nella diagnosi precoce del tumore polmonare in ambito occupazionale.
Il relatore indica, in conclusione, che:
- “individuare la neoplasia negli stadi inziali è sicuramente il principale obiettivo in termini di costi e benefici
- è fondamentale oggi individuare una strategia di screening che possa essere utilizzata non solo sui soggetti a rischio, ma anche sulla popolazione generale
- Idealmente il marker dovrebbe essere facile da ricercare, poco costoso e facilmente proponibile a tutti, riproducibile ovunque e con una specificità elevata
- Il principale problema è che la patologia neoplastica polmonare è eterogenea ed è difficile individuare un singolo biomarker che sia ugualmente molto sensibile ed altamente specifico
- Le strategie di screening allo stato attuale vengono proposte solo in popolazioni ad elevato rischio di sviluppo della malattia, mentre i soggetti sani vengono sottoposti a CT solo dopo l’esordio dei sintomi. In questo modo il rischio è che venga fatta la diagnosi in maniera tardiva, senza quindi beneficio in termini di mortalità
- Oggi è possibile ipotizzare in un futuro vicino la possibilità di validare patterns di biomarkers utilizzabili nella «vera» diagnosi precoce, ovvero prima che si sviluppi il nodulo polmonare
- Un altro degli obiettivi è quello di potere impiegare questi biomarkers non solo nelle popolazioni a rischio (fumatori)
- La sfida per il futuro consisterà nel portare i biomarcatori nella pratica clinica in modo che siano efficienti e pratici
- È auspicabile lo sviluppo di marcatori molecolari in grado di individuare i tumori in una fase di malattia preclinica e di identificare la diversa aggressività dei tumori polmonari, inclusi quelli che si manifestano già metastatici
- Inoltre, anticipando la diagnosi clinica di uno o due anni, potrebbe cambiare in maniera significativa il carico tumorale e migliorare l’efficacia delle terapie sistemiche
- Ad oggi il biomarcatore più promettente e in fase di standardizzazione è rappresentato dai micro RNA (MSC) associato in una fase successiva e complementare alla LCDT
- Appare possibile, in un futuro prossimo, ottimizzare questi strumenti e i rapporti costi benefici , impiegandoli anche nella sorveglianza sanitaria degli esposti a radon.
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Fonti: Puntosicuro.it, CIIP