
Il datore di lavoro è responsabile se il lavoratore si infortuna in quota per carenze nei sistemi di sicurezza anche se ha agito imprudentemente?
Ai sensi dell’art. 107 del D.Lgs. 81/2008, si definisce “lavoro in quota” qualsiasi attività che esponga il lavoratore a un rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 metri rispetto a un piano stabile. Per prevenire tali eventi, la normativa vigente impone ai datori di lavoro obblighi precisi e inderogabili in materia di sicurezza: dalla valutazione dei rischi specifici all’adozione di idonei dispositivi di protezione collettiva (come parapetti, ponteggi, etc.), oltre a dispositivi di protezione individuale (DPI) come imbracature e sistemi di trattenuta. Il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC), redatto nei cantieri temporanei o mobili, gioca un ruolo centrale nella pianificazione delle misure preventive e protettive da adottare in relazione alle lavorazioni in quota.
L’inosservanza di tali obblighi può determinare, in caso di infortunio, gravi responsabilità penali per il datore di lavoro o per i soggetti con posizione di garanzia, qualora emerga un nesso causale tra la mancata adozione delle misure e il verificarsi dell’evento lesivo. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il comportamento imprudente del lavoratore non esonera il datore di lavoro dalla responsabilità, se l’evento rientra comunque nell’area di rischio che questi era tenuto a gestire.
In parole povere in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro non può invocare l’imprudenza del lavoratore come causa esclusiva dell’evento lesivo, qualora non abbia adottato le misure di sicurezza previste dalla normativa e dal PSC, anche se l’evento si verifica a seguito di una manovra azzardata dell’operaio.
Scopriamo il caso
Il procedimento giudiziario ha avuto origine da un grave infortunio sul lavoro occorso a un operaio, precipitato dal tetto di un condominio mentre era impegnato in lavori in quota. A seguito della caduta, il lavoratore ha riportato lesioni importanti, con una prognosi di 40 giorni di inabilità temporanea.
L’operaio era stato incaricato di eseguire interventi sulla copertura dell’edificio, un’attività che, per sua stessa natura, comporta un elevato rischio di caduta. Secondo quanto accertato nel corso dell’istruttoria, durante l’esecuzione del lavoro, il lavoratore ha dovuto superare un torrino situato sul tetto e per effettuare questa manovra, si è momentaneamente sganciato dal cordino di sicurezza, non avendo a disposizione un sistema a doppio cordino che avrebbe consentito il passaggio in sicurezza. Proprio in quella fase, ha perso l’equilibrio ed è caduto nel vuoto.
L’accaduto ha determinato l’avvio di un’indagine approfondita da parte degli organi di vigilanza, che hanno riscontrato gravi carenze nella gestione della sicurezza in cantiere. I controlli hanno evidenziato la mancanza di adeguati sistemi di protezione collettiva, quali parapetti e ponteggi perimetrali, previsti espressamente dal Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC). È stato inoltre rilevato che la linea vita installata non garantiva una protezione continua lungo tutto il percorso di lavoro, risultando insufficiente soprattutto in corrispondenza di ostacoli come il torrino.
Dalle verifiche è emerso che, già in precedenza, gli organi di vigilanza avevano effettuato più accessi in cantiere, accertando l’inadeguatezza delle misure di sicurezza e disponendo la sospensione delle attività in quota. Nonostante ciò, il datore di lavoro aveva ignorato le prescrizioni impartite, consentendo la prosecuzione delle operazioni senza adeguare l’organizzazione del cantiere alle normative in materia di sicurezza.
Questa condotta omissiva, aggravata dal mancato rispetto delle previsioni del PSC e dalla disattesa sospensione ordinata dagli ispettori, è stata ritenuta concausa determinante dell’incidente.
Alla luce di tali elementi, il datore di lavoro è stato perseguito penalmente per non aver garantito un ambiente di lavoro sicuro e conforme alla normativa vigente, rispondendo del reato di lesioni personali colpose con violazione delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro, ai sensi dell’art. 590 del Codice Penale, in relazione agli articoli 97 e 100 del D.Lgs. 81/2008. Il Tribunale di Padova, in primo grado, lo ha ritenuto responsabile e lo ha condannato, decisione successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Venezia.
Avverso tale sentenza, il datore di lavoro ha presentato ricorso per Cassazione, contestando la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito e sostenendo l’assenza dei presupposti per affermare la propria responsabilità penale.
Una pianificazione attenta e conforme delle misure di sicurezza in cantiere, soprattutto quando si eseguono lavori in quota non può essere affidata all’improvvisazione o alla prassi: servono strumenti tecnici precisi, aggiornati e capaci di supportare i professionisti nella redazione di PSC completi, personalizzati e pienamente conformi al D.Lgs. 81/2008.
Motivi di accusa
Il datore di lavoro è stato ritenuto responsabile per non aver:
- predisposto sistemi anticaduta adeguati (parapetti o ponteggi);
- fornito l’operaio delle necessarie dotazioni di sicurezza (imbracature, doppio cordino);
- rispettato le prescrizioni contenute nel Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC);
- dato esecuzione all’ordine di sospensione lavori.
Secondo l’accusa, il lavoro poteva essere eseguito in modo alternativo, senza esporre l’operaio al rischio di caduta e la violazione delle norme antinfortunistiche, unite alla negligenza e imperizia del datore di lavoro, hanno reso prevedibile e prevenibile l’evento lesivo.
Tuttavia, il ricorrente ha sollevato diversi motivi nella violazione di legge e vizio di motivazione, l’assenza di dolo o colpa e i trattamento sanzionatorio sproporzionato.
Cassazione
Secondo i giudici della Cassazione i presidi collettivi di sicurezza (impalcature, parapetti) sono prioritari rispetto ai dispositivi di protezione individuale (DPI), che non possono sostituirli ma solo integrarli. Il comportamento imprudente del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoro, se quest’ultimo non ha predisposto misure idonee a prevenire quel tipo di rischio. La condotta imprudente del lavoratore può essere considerata causa esclusiva dell’infortunio solo se essa è “eccentrica” rispetto all’area di rischio governata dal datore, cioè totalmente imprevedibile e fuori dal contesto lavorativo affidato.
Gli ermellini hanno evidenziato che le testimonianze dell’architetto e del funzionario dell’autorità confermavano l’inadeguatezza della linea vita e l’assenza dei parapetti perimetrali. Inoltre, il PSC prevedeva chiaramente l’adozione di parapetti o ponteggi, mai installati, così come accertato dall’organismo di vigilanza nei due accessi successivi, che portarono alla sospensione dei lavori poi disattesa.
Il comportamento del lavoratore (lo sgancio dal cordino per superare un ostacolo) non ha interrotto il nesso di causalità, poiché si collocava all’interno dell’area di rischio non adeguatamente presidiata.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25930/2025, ha rigettato il ricorso, confermando la condanna del datore di lavoro e condannandolo al pagamento delle spese processuali. La decisione ribadisce con forza il principio secondo cui la responsabilità datoriale in tema di sicurezza sul lavoro è oggettiva e non può essere elusa dall’imprudenza del lavoratore, se le misure preventive previste non sono state attuate correttamente.
Il caso analizzato dimostra quanto sia determinante una corretta gestione della sicurezza nei lavori in quota: l’assenza di sistemi anticaduta efficaci, il mancato rispetto del PSC e la sottovalutazione dei rischi hanno portato alla condanna del datore di lavoro.
qui di seguito il link alla sentenza di cassazione indicata sopra
Fonti: Olympus.uniurb.it, Biblus.acca.it