
Un saggio si sofferma sui rischi e tutele nel reinserimento lavorativo delle persone con malattie croniche e trapiantate. Alcune riflessioni alla luce del d.lgs. n. 62/2024. Promozione della salute e valutazione dei rischi.
I dati raccolti dalle maggiori istituzioni internazionali (OMS, OCSE, Eu-Osha, Eurofound, …) mostrano che in tutto il mondo “vi è una percentuale molto elevata di persone affette da malattie croniche e sottoposte a trapianto, il cui numero è destinato ad aumentare gradualmente in futuro per effetto del progresso scientifico e tecnologico in ambito medico, ma soprattutto dell’incremento dell’aspettativa di vita e del conseguente invecchiamento della popolazione, poiché ad un aumento della longevità è più di frequente associato un peggioramento delle condizioni di salute”. E questo aumento non può che avere ricadute importanti anche sul mondo del lavoro.
A ricordare questa crescita e soffermarsi su vari aspetti connessi alle tutele dei lavoratori con malattie croniche e sottoposti a trapianto, è un saggio pubblicato sul numero 2/2024 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell’Osservatorio Olympus dell’ Università degli Studi di Urbino.
In “Rischi e tutele nel reinserimento lavorativo delle persone con malattie croniche e trapiantate: prime riflessioni alla luce del d.lgs. n. 62/2024”, a cura di Claudia Carchio (assegnista di ricerca nell’Università degli Studi di Udine) si cercano – come indicato nell’abstract – di identificare, in assenza di un’apposita definizione normativa, “le categorie dei soggetti con patologie croniche e sottoposti a trapianto. E l’autrice si sofferma sulle maggiori criticità che tali soggetti incontrano “nell’affrontare il ritorno e la permanenza al lavoro durante e dopo la malattia”.
Preso atto della “carenza di uno statuto protettivo a loro specificamente rivolto”, anche con riferimento al d.lgs. n. 62/2024 e all’accoglimento nell’ordinamento sovranazionale e nazionale della nozione biopsicosociale di disabilità – “vengono esaminate le misure che ne incentivano e supportano il reinserimento lavorativo”. L’analisi si concentra poi sugli “obblighi di adattamento del posto di lavoro, i quali rappresentano non solo un argine a derive discriminatorie, ma contribuiscono a ridefinire l’area della responsabilità datoriale per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, anche nell’interesse dello stesso datore di lavoro”.
Nel presentare questo interessante lavoro (realizzato nell’ambito del progetto di ricerca “PRIN SUNRISE – Sustainable solutions for social and work inclusion in case of chronic illness and transplantation”) ci soffermiamo sui seguenti argomenti:
- Persone con malattie croniche e trapiantate: promozione della salute
- Persone con malattie croniche e trapiantate: valutazione dei rischi
- Persone con malattie croniche e trapiantate: normativa e valutazione delle disabilità
Persone con malattie croniche e trapiantate: promozione della salute
Nel saggio si ricorda che il rapido invecchiamento della popolazione e il basso tasso di sostituzione dei lavoratori anziani da parte dei nuovi entrati nel mercato del lavoro rendono “necessario prolungare la vita lavorativa delle persone, ma anche garantire che ciò avvenga in buone condizioni di salute”.
Ed infatti, come ricordato in molti nostri articoli, promuovere la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro “non è solo un dovere derivante dalla disciplina legislativa di fonte nazionale e sovranazionale, ma rappresenta anche una leva strategica per le imprese. Queste ultime, di fronte a una forza lavoro più longeva e che spesso si trova ad affrontare condizioni patologiche croniche, devono adattare la propria organizzazione tanto per prevenire, ove possibile, l’insorgere e l’aggravarsi delle malattie, quanto per favorire la continuità occupazionale e il mantenimento del livello delle performance per coloro che già ne soffrono”.
Infatti – continua l’autrice – le malattie croniche “possono avere un impatto – più o meno elevato a seconda dei casi – sulle capacità lavorative delle persone colpite, le quali rischiano di incontrare maggiori difficoltà sia nel mantenere un impiego sia nell’eseguire le proprie mansioni. Ciò, tuttavia, non deve portare inevitabilmente alla definitiva fuoriuscita, e quindi all’esclusione, dal mercato del lavoro dei soggetti interessati, al contrario, deve suggerire l’adozione di interventi multilivello (nazionali, aziendali e individuali) che permettano loro di riuscire a rimanere nel mondo del lavoro nonostante la riduzione delle abilità lavorative, potenziando quelle residue e sfruttandole al meglio”.
Ed è importante “garantire il rientro dei lavoratori con malattie di lunga durata attraverso forme adeguate di adattamento del posto di lavoro”, garanzia che presenta dei “vantaggi anche per i datori di lavoro che possono contare su una riduzione del turnover della forza lavoro, sfruttando l’esperienza e le competenze già acquisite dai propri lavoratori, e su una diminuzione dei costi connessi all’assenteismo, alla minore produttività o allo scarso rendimento nell’esecuzione della prestazione”, “alla cessazione dei rapporti di lavoro, alle assunzioni e alla formazione del nuovo personale impiegato in sostituzione di quello cessato”.
Persone con malattie croniche e trapiantate: valutazione dei rischi
Veniamo alla tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro.
Si sottolinea che in capo ai datori di lavoro sussiste un obbligo di “garantire tanto la sicurezza quanto, più in generale, «la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro» in virtù del recepimento nell’ordinamento nazionale della direttiva n. 89/391/CEE da parte del d.lgs. n. 81/2008” (TUSL), che al contempo “dà attuazione anche all’obbligazione prevenzionistica di cui all’art. 2087 c.c.”. E nello specifico caso dei malati cronici, “per poter assolvere a tale finalità è essenziale tenere conto delle caratteristiche proprie di tali soggetti, e in particolare dei cambiamenti fisici e/o psicologici legati alla patologia da cui sono affetti, ma anche dell’efficacia e dell’invasività delle cure cui sono sottoposti e dell’evoluzione della malattia che, si ricorda, a differenza di quelle acute, si presenta come irreversibile, ha un decorso lungo e non prevedibile, si evolve con un tendenziale aggravamento ma alternando momenti critici e di miglioramento”. Oltre a tali fattori rilevano, poi, “numerosi aspetti sociali e lavorativi, come, lo status socioeconomico, il livello di istruzione, la tipologia contrattuale, le mansioni svolte (soprattutto se faticose o impegnative), la flessibilità dell’orario di lavoro, come pure le peculiarità dell’impresa e le azioni da essa adottate, per obbligo o per scelta, a sostegno dei lavoratori malati. Non meno rilevante è poi il genere dei lavoratori e delle lavoratrici, considerata la diversa incidenza delle patologie in generale, e di quelle croniche in particolare, su donne e uomini”.
Chiaramente queste specificità devono essere considerate dal datore di lavoro, in primo luogo, nell’assolvimento di uno tra i più importanti doveri prescritti dal TUSL: la valutazione dei rischi. E una corretta valutazione del rischio dovrebbe “essere condotta sulla base di una previsione personalizzata che tenga conto delle differenze esistenti tra i lavoratori e i contesti in cui operano, adeguandone il contenuto alle specifiche caratteristiche e ai bisogni individuali al fine di proteggere gli appartenenti a specifici gruppi particolarmente esposti ad alcune tipologie di pericoli. Tale attività dovrebbe, poi, essere guidata da parametri di ragionevolezza, non dovendo necessariamente portare a valutazioni del rischio individuale differenziate per il solo fatto che esse coinvolgano una persona malata o disabile, in quanto ciò potrebbe persino risolversi, a sua volta, in una forma di discriminazione”.
È insomma importante adottare un “approccio dinamico, calibrato sulla specificità di ogni singola persona e di ogni ambiente di lavoro, che si discosti da modelli standardizzati (c.d. one-size-fits-all) e si adatti agli individui e ai rischi specifici ad essi associati, ma anche al luogo e alle modalità di esecuzione della prestazione di lavoro”. È, insomma, necessaria una “disability sensitive risk assessment” (EU-OSHA, Workforce diversity and risk assessment: ensuring everyone is covered).
Persone con malattie croniche e trapiantate: normativa e valutazione delle disabilità
L’autrice, che si sofferma su molti altri aspetti connessi al tema trattato, in conclusione segnala “l’incertezza creatasi dall’assenza di norme ad hoc per la tutela dei malati cronici e sottoposti a trapianto cui solo il d.lgs. n. 62/2024 sembra poter porre rimedio”.
E “nella prolungata astinenza legislativa”, si segnala, dunque, che una fonte regolativa importante “è stata ravvisata nella normativa predisposta per i lavoratori disabili, cui è stato possibile ricondurre i malati di lunga durata inizialmente solo in via interpretativa, grazie al recepimento della nozione biopsicosociale di disabilità elaborata a livello sovranazionale a partire dalla Convenzione ONU del 2006”.
Deve, dunque, essere “accolto con favore l’intervento del legislatore che con il d.lgs. n. 62/2024 ha previsto un procedimento per la valutazione della disabilità unico e fondato su un modello sociale e dinamico di disabilità”. E da tale innovazione deriva “una serie di effetti positivi”:
- l’unitaria nozione di disabilità prescelta dal legislatore “è molto estesa e permea tutti gli ambiti di tutela previsti a favore dei disabili, divenendo il referente esclusivo per le varie discipline rivolte a tali soggetti”;
- “l’accesso da parte dei malati cronici alle varie forme di protezione diventa più agevole poiché la verifica necessaria per ricondurli nella categoria delle persone con disabilità non è più incentrato sul grado delle menomazioni o sulla definitività delle stesse, bensì, attiene all’intensità con cui queste ultime incidono sulla loro vita relazionale, limitandola e ostacolandone la partecipazione, su una base di uguaglianza, nei contesti sociali e lavorativi”;
- “l’applicazione della normativa vigente diviene più certa perché il d.lgs. n. 62/2024 sottrae all’interprete il compito (nella pratica spesso assai arduo) di individuare di volta in volta e a prescindere da una certificazione basata su una valutazione ex ante se una persona sia portatrice di disabilità e, di conseguenza, sia anche titolare del diritto a ricevere la specifica protezione prevista dall’ordinamento per i disabili”.
Si indica che, in definitiva, uno dei pregi di questo intervento legislativo sta nel “definire l’ambito di applicazione soggettivo del sistema di tutela riconosciuto ai lavoratori disabili”. Anche contenendo l’opera interpretativa giurisprudenziale – come raccontato nel saggio – che ha avuto sì “l’esito meritorio di estendere la portata applicativa delle vigenti disposizioni, ma ha talvolta comportato conseguenze eccessivamente gravose per i datori di lavoro sui quali è stato addossando l’onere, non solo di assolvere al doveroso compito di adattare la propria organizzazione alle esigenze dei disabili, ma anche di dover stabilire a monte e in assenza di parametri certi se un lavoratore è o meno portatore di disabilità”.
Tiziano Menduto
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