Incidenti-domestici
La tutela prevenzionistica non è richiesta solo in presenza di un rapporto di lavoro subordinato poiché quel che conta, anche nel caso di una impresa familiare, è il rapporto di fatto che si instaura fra chi gestisce il rischio e chi vi è esposto. Di G.Po

E’ un richiamo, quello che si legge in questa sentenza, alla lettura della definizione di datore di lavoro che dello stesso dà il D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 ai fini dell’applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Tale definizione è stata nella circostanza riferita alla organizzazione di un’impresa familiare avendo subito un componente della stessa un infortunio sul lavoro in un cantiere edile. La tutela prevenzionistica, ha precisato la suprema Corte, non è richiesta solo in presenza di un rapporto di lavoro subordinato poiché quel che conta, anche nel caso di una impresa familiare, è il rapporto di fatto che si instaura fra chi gestisce il rischio e chi vi è esposto. Anche se non è individuabile, ha sostenuto ancora la Corte di Cassazione, in un’impresa familiare il componente che riveste la figura del datore di lavoro giuridico rispetto agli altri, da considerarsi a questi subordinato, tale figura deve essere riscontrata in quel componente che assume la responsabilità di impresa con poteri decisionali e di spesa e che è quindi debitore degli obblighi in materia antinfortunistica.
Il fatto, la condanna e il ricorso in Cassazione
La Corte di Appello ha riformata la pronuncia emessa dal Tribunale nei confronti di un componente di un’impresa familiare che era stato ritenuto responsabile dell’infortunio sul lavoro occorso ad un altro componente della stessa impresa. Questi, mentre si trovava sulla copertura di un capannone intento a riparare le lastre che la componevano, a causa del cedimento di una lastra e della mancanza di dispositivi di sicurezza, precipitava al suolo riportando un politrauma. All’imputato era stato ascritto di non aver dotato l’infortunato, componente della comune impresa familiare, di idonei dispositivi di sicurezza individuali (art. 21 del D. Lgs. n. 81/2008) e di aver omesso di predisporre il piano operativo di sicurezza di cui all’art. 96 lettera g) dello stesso D. Lgs. n. 81/2008, ancorché datore di lavoro.

La Corte di Appello ha mandato assolto l’imputato escludendo che questi potesse essere qualificato datore di lavoro dell’infortunato perché i collaboratori familiari dell’imprenditore non assumono la veste di lavoratori subordinati e perché nella concreta fattispecie non sussisteva un rapporto di subordinazione tra l’imputato e l’infortunato, non potendo lo stesso desumersi dalla circostanza che al primo fosse stata attribuita, in sede di costituzione dell’impresa, una quota di utili pari al 51% né essendo emersa tale qualità da altre evidenze processuali.

Avverso tale decisione ha ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello deducendo violazione di legge in relazione all’art. 96 del D. Lgs. n. 81/2008. Lo stesso ha rilevato che nell’ambito dell’impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c. i componenti della stessa non assumono la veste di dipendenti ed é pertanto inutile soffermarsi su eventuali indicatori di un vincolo di subordinazione perché questo é escluso a priori dalla caratteristica disciplina dell’istituto il quale, secondo la ricostruzione concorde della dottrina e della giurisprudenza, propone un titolare con poteri di organizzazione e direzione, munito di poteri di rappresentanza esterna ed i familiari coadiutori tutti posti tra loro in un rapporto paritario e solidaristico.

La domanda da farsi, secondo il Procuratore Generale, era se la normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro dovesse trovare applicazione anche in favore dei familiari collaboratori dell’impresa. La risposta al quesito è negativa in forza dell’art. 21 del D. Lgs. n. 81/2008 quando l’impresa ed i suoi componenti prestano attività all’interno della sede abituale, che talora costituisce anche il centro della comunione di vita di tutti o di alcuni membri del gruppo familiare. L’art. 96 però, ha posto in evidenza il Procuratore Generale, ha riservata una diversa disciplina per il caso in cui l’ impresa familiare sia impegnata fuori dalla propria sede, presso cantieri nei quali si effettuano lavori edili. Tale norma, infatti, attribuisce la qualifica soggettiva di datore di lavoro anche al titolare dell’impresa familiare, con la conseguenza che i beneficiari della tutela apprestata dal POS sono non solo eventuali lavoratori subordinati dell’impresa familiare ma anche i componenti della medesima. Il POS, quindi, ha così concluso l’esponente, operando il coordinamento tra l’art. 96 e l’art. 21, ha la funzione di porre i collaboratori familiari nelle condizioni di ottemperare all’obbligo di munirsi di idonee attrezzature da lavoro e dei dispositivi di protezione appropriati. Nel caso in esame quindi il ricorrente non ha avuto alcun dubbio che l’imputato fosse il titolare dell’impresa familiare e pertanto tenuto a redigere il POS la cui mancanza è stata posta quale causale dell’infortunio occorso all’altro componente dell’impresa né ha ritenuto accettabile la posizione evidenziata dal difensore di fiducia dell’imputato secondo la quale l’impresa familiare in argomento era caratterizzata dall’assenza di rapporto di subordinazione tra i componenti e di una posizione di garanzia di uno di essi nei confronti degli altri con l’effetto di non potere applicare la previsione dell’art. 96 del D. Lgs. n. 81/2008.

Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso é stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. L’impresa familiare, ha precisato la suprema Corte, é presa in considerazione dal D. Lgs. n. 81/2008 in pochi articoli. L’art. 3 comma 12 dispone che nei confronti dei componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis c.c. si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21. Tal ultima norma prevede che i componenti dell’impresa familiare devono utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III; munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III; munirsi di apposita tessera di riconoscimento qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto. Gli stessi, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico hanno facoltà di beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali; partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.

Un riferimento, invero non di immediata comprensione, all’impresa familiare lo ha operato poi, secondo la Sez. IV, l’art. 96 laddove ha posto una serie di obblighi in capo ai datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, tra cui quello di redigere il POS anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti, salvo che si tratti di mere forniture di materiali o attrezzature nel qual caso trovano comunque applicazione le disposizioni di cui all’articolo 26.

All’indomani dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 626/94 in verità, ha fatto notare la Sez IV, il Ministero del Lavoro, valorizzando l’assenza di un vincolo di subordinazione del collaboratore familiare, si era espresso nel senso di escluderlo dalla tutela apprestata dal D. Lgs. n. 626/94, a meno che, in concreto, quel vincolo non fosse accertato e ciò sulla scorta della definizione di lavoratore valevole ai fini dell’applicazione della disciplina antinfortunistica di cui al D. Lgs. n. 626/94, imperniata proprio sull’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Tale interpretazione però, secondo la Sez. IV, non ha trovato corrispondenza a quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione ad avviso della quale il D. Lgs. n. 626/94 ha tutelata la sicurezza di tutte le forme di lavoro anche quando non sussistesse un formale rapporto di lavoro e quindi anche con riguardo a chi collaborasse saltuariamente in un’impresa familiare.

Le norme che il D. Lgs. n. 81/2008 ha dedicato all’impresa familiare però, ha fatto ancora notare la Corte di Cassazione, hanno successivamente reso evidente che l’impresa familiare è divenuta destinataria di talune previsioni, ma anche che l’ambito delle norme prevenzionistiche ad essa applicabili non corrisponde a quello degli altri lavoratori, risultando limitato dall’art. 21, al quale fa riferimento l’art. 3 comma 12. Non vi è quindi, dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 81/2008. una tutela ad ampio spettro ma ve ne è una specifica e peculiare nei contenuti, emergente dalla modulazione di un ridotto numero di doveri (utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III; munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III; munirsi di apposita tessera di riconoscimento qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto) e di facoltà (in tema di sorveglianza sanitaria e di formazione).

La Corte di Cassazione ha quindi ribadito che “la tutela prevenzionistica non presuppone l’indefettibile presenza di un rapporto di lavoro subordinato (questa Corte ha ritenuto beneficiario della tutela anche colui che svolge il lavoro per mero favore: Cass. 4, 4 marzo 1982, n. 2232; Cass. 4, 7 marzo 1990 n. 3273; senza dimenticare la copiosa giurisprudenza concernente i terzi estranei all’impresa: da ultimo cfr. Sez. 4, n. 43168 del 17/06/2014 – dep. 15/10/2014, Cinque, Rv. 260947); quel che rileva é la relazione di fatto che si instaura tra chi gestisce il rischio derivante dal lavoro e chi ad esso vi é esposto”. La sentenza impugnata, ha così concluso la suprema Corte, ha quindi operata una errata applicazione delle disposizioni del D. Lgs. n. 81/2008 appena richiamate perché ha valorizzato un parametro del tutto inconferente rispetto alla questione della riconoscibilità o meno di una operatività dell’obbligo di redazione del POS in presenza di impresa familiare, ovvero l’esistenza di un vincolo di subordinazione del prestatore d’opera, operatività che, ancora errando, nega quando l’impresa familiare non abbia lavoratori subordinati.

La Corte di Cassazione pertanto, nell’accogliere il ricorso del Procuratore Generale, ha annullata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di provenienza affinché accertasse, alla luce dei principi sopra esposti, se l’imputato avesse assunto il ruolo di datore di lavoro dell’infortunato.

Gerardo Porreca

Corte di Cassazione – Penale Sezione IV – Sentenza n. 38346 del 21 settembre 2015

 

Fonti: Puntosicuto.it, osservatoriopenale.it