Un operaio rimane folgorato per contatto con il cavo mono-fase di servizio ad illuminazione privata di una chiesa. La responsabilità del coordinatore. Il commento alla sentenza della Cassazione n. 27187 del 19 giugno 2019.
1. Fatto
La Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato le attenuanti generiche prevalenti e ha ridotto la pena a mesi 9 di reclusione, confermando la condanna di A.DB. per il reato di cui agli artt. 40, 113, 589, primo e secondo comma, cod.pen., perché, in cooperazione colposa con altri, nella veste di coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori, per colpa consistita nel non aver verificato con le opportune azioni di coordinamento e controllo l’applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento relative alla presenza di linee elettriche in cantiere e al rischio di elettrocuzione e per non aver verificato l’idoneità del piano di sicurezza operativo, non impediva la morte di L.DF., dipendente della Edil Group di C.F., che restava folgorato per contatto – elettrocuzione con il cavo mono-fase di servizio ad illuminazione privata della chiesa, dove si stavano svolgendo i lavori – 26 settembre 2014.
2. Diritto
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte “per pacifica giurisprudenza in tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per l’esecuzione dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio c.d. generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all’ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di più imprese; ne consegue che il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell’attività dell’impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo” (da ultimo v. Cass. n. 3288 del 27/09/2016, dep. 2017, Bellotti e altro, Rv. 269046)”.
E ancora: “[…] la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio per l’ipotesi in cui i lavori contemplino l’opera, anche non in concomitanza, di più imprese o lavoratori autonomi le cui attività siano suscettibili di sovrapposizione od interferenza, e non il sovrintendere, momento per momento, alla corretta applicazione delle prescrizioni e delle metodiche risultanti dal piano operativo di sicurezza” (Cass. n. 34869 del 12/04/2017, Leone, Rv. 270756)” fatto salvo il dovere di “sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni” ( Cass. n. 36510 del 1/09/2014).
In tal senso la giurisprudenza costante di legittimità sottolinea che «in tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dall’art. 5 del D.Lgs. n. 494 del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, ma non è tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo, previsto dall’art. 92, lett. f), delD.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate» (Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016, Battisti, Rv. 267735).
In particolare «in materia di infortuni sul lavoro, ilcoordinatore per l’esecuzione dei lavori ex art. 92 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, ha il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell’incolumità dei lavoratori nonché di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto corretta la condanna pronunciata nei confronti dei coordinatori per la sicurezza che nel corso dell’avvicendamento tra due imprese, mentre erano in corso lavori in quota, avevano omesso per alcuni giorni di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni dei piani di sicurezza, causando lesioni personali ad un lavoratore)» (Sez. 4, n.47834 del 26/04/2016, Prette e altri, Rv. 268255).
La configurazione complessiva del cantiere è compito dal lato sicurezza del coordinatore, mentre il datore di lavoro deve organizzare la quotidiana vigilanza sui propri lavoratori: «in tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza, che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori, ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità del coordinatore per la sicurezza in relazione al crollo di un’impalcatura)» (Sez. 4, n.46991 del 12/11/2015, Porterà e altri, Rv. 265661).
La sentenza che si commenta si muove lungo questo solco giurisprudenziale di legittimità, e ribadisce con forza che: “in tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori ha ad oggetto il rischio per l’ipotesi in cui i lavori contemplino l’opera, anche non in concomitanza, di più imprese o lavoratori autonomi le cui attività siano suscettibili di sovrapposizione od interferenza (Sez. 4, n.34869 del 12/04/2017 ud. – dep. 17/07/2017) e che la condotta contestata e accertata è riconducibile alla funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore, riferita anche sul rischio che deriva dall’interferenza delle imprese con un determinato luogo di lavoro”.
Nel caso di specie il giudice d’appello, in ciò successivamente confortato dalla Cassazione, ha ritenuto che sia ascrivibile al coordinatore l’infortunio “in cooperazione colposa con altri”. Infatti nella veste di coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori – come già indicato nelle parte iniziale di questo commento – “per colpa consistita nel non aver verificato con le opportune azioni di coordinamento e controllo l’applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento relative alla presenza di linee elettriche in cantiere e al rischio di elettrocuzione e per non aver verificato l’idoneità del piano di sicurezza operativo, non impediva la morte di L.DF., dipendente della Edil Group di C.F., che restava folgorato per contatto – elettrocuzione con il cavo mono-fase di servizio ad illuminazione privata della chiesa, dove si stavano svolgendo i lavori”.
Il giudice di appello ha sottolineato che “il ponteggio non era protetto dalla rete nel lato interno dove passava tangenziale la linea elettrica fino all’attacco sulla parete dell’edificio e verso la quale, ragionevolmente, il L.DF., che ragionevolmente stava trasportando un cavo arrotolato elettrico, poi trovato sul terreno in corrispondenza, si era sporto per motivi che costituiscono oggetto di ipotesi” e che “è certo che il L.DF. non ha cercato di aggirare la rete di protezione dato che in quel tratto di ponteggio non era stata allestita”.
Infine un altro punto di notevole interesse della sentenza – che si allega al commento – è che il giudice che ha condannato il coordinatore si è, peraltro del tutto legittimamente, discostato dalle valutazioni espresse dai tecnici ASL dello Spisal e dal consulente del Pubblico Ministero, utilizzando principi di comune esperienza: “in tema di istruzione dibattimentale, quando per la ricostruzione della eziologia dell’evento sia necessario svolgere indagini od acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, il giudice non può prescindere dall’apporto della perizia per avvalersi direttamente di proprie, personali, specifiche competenze scientifiche e tecniche, perché l’impiego della scienza privata costituisce una violazione del principio del contraddittorio nell’iter” di acquisizione della prova e del diritto delle parti di vedere applicato un metodo scientifico e di interloquire sulla validità dello stesso (Sez. 4, n. 54795 del 13/07/2017 ud. – dep. 06/12/2017, Rv. 271668 – 01). Tuttavia, nel caso di specie, la Corte [d’appello] si è discostata dalle ipotesi formulate dei tecnici della Spisal e del consulente della pubblica accusa non sulla base di cognizioni tecniche specialistiche, ma semplicemente sulla base dell’esame dei luoghi e degli elementi di fatto a loro disposizione, pervenendo a conclusioni diverse del tutto legittime alla luce del principio del libero convincimento, fondate sull’analisi di tutti gli elementi probatori raccolti”.
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Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it