L’impossibilità di procedere al pagamento della sanzione amministrativa non costituisce causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato espletamento della procedura estintiva in materia di infortuni sul lavoro prevista dal d. lgs. n. 758/1994.

Siamo alla soglia dei trenta anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. 19/12/1994 n. 758, contenente le modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro, e dobbiamo constatare che su di esso si discute ancora nei Tribunali e che lo stesso è ancora oggetto di ricorsi alla suprema Corte di Cassazione la quale sistematicamente interviene a fornire chiarimenti e precisazioni sulla sua corretta applicazione.

Questa volta a ricorrere alla suprema Corte è stato il contravventore di una norma antinfortunistica condannato dal Tribunale alla pena dell’ammenda perché, dopo aver ottemperato a una prescrizione in materia di sicurezza sul lavoro impartita dall’organo di vigilanza e dopo essere stato ammesso, in base alla procedura imposta dal citato D. Lgs. m. 758/1994, al pagamento ridotto della sanzione amministrativa il cui versamento avrebbe consentita l’estinzione del reato contestatogli, ha dichiarato di non essere nelle condizioni finanziarie di potere assolvere a tale adempimento presentando come prova un estratto conto dal quale emergeva la indisponibilità della somma da versare e facendo intervenire un testimone che ha dichiarato che nell’anno della visita ispettiva da parte dell’organo di vigilanza nella sua azienda non era stata svolta alcuna attività e che nell’apposita dichiarazione non era emerso alcun reddito.

La Corte di Cassazione ha però dichiarato inammissibile il ricorso e, dopo avere richiamata la tassativa procedura di estinzione dei reati prevista dal D. Lgs. n. 758/1994, ha precisato quanto già sostenuto anche in precedenti analoghi ricorsi e cioè che l’impossibilità di procedere al pagamento della sanzione amministrativa non costituisce causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato espletamento della procedura estintiva prevista in materia di infortuni sul lavoro dal citato decreto legislativo. La stessa Corte ha voluto precisare altresì che nelle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro ricorre un’ipotesi di forza maggiore tale da scusare l’inosservanza degli adempimenti cui, ad esito della procedura di cui all’art. 24 del D. Lgs. n. 758/1994, è condizionata l’estinzione dei reati solo ed esclusivamente nel caso, diverso da quello in esame, in cui l’interessato versi in uno stato patologico di tale gravità da determinarne, per tutta la durata, un’assoluta incapacità di intendere e di volere, in grado di impedirgli anche solo di dare disposizioni ad altri per l’adempimento.

L’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

Il Tribunale ha condannato un imputato in relazione al reato di cui all’art. 159 comma 2 lett. a) del D. Lgs. 81/2008, così dichiarando di riqualificare il fatto come contestato e lo ha condannato alla pena dell’ammenda. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo alcuni motivi di impugnazione.

Con un primo motivo ha dedotto il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. nonché il vizio di mancanza di motivazione in ordine alla intervenuta riqualificazione del fatto contestato. La riqualificazione sarebbe, infatti, avvenuta in relazione ad una norma, quale l’art. 159 del D. Lgs. n. 81/2008, che prevede solo la sanzione e non il precetto, per cui la stessa non avrebbe permesso di comprendere con precisione l’addebito, anche perché il richiamato art. 159 comma 2 cita diverse disposizioni in tema di normativa antinfortunistica rendendo incerta la imputazione e impossibile, in difetto di ogni motivazione, comprendere la volontà del giudicante.

Con un secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 27 della Costituzione e 533 cod. proc. pen. e il vizio di mancanza e illogicità della motivazione con riferimento all’elemento soggettivo del reato oltre al travisamento della prova. La valutazione da parte del giudice della documentazione prodotta dalla difesa, per dimostrare la sua impossibilità di procedere al pagamento della sanzione amministrativa, sarebbe stato incompatibile con la ricostruzione presente in sentenza con riguardo all’elemento soggettivo del reato sia perché l’estratto conto prodotto ed esaminato avrebbe dato contezza, diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale, della indisponibilità della somma necessaria al pagamento della sanzione amministrativa sia perché sarebbe risultato agli atti, diversamente da quanto ritenuto dal giudice, la prova della avvenuta trasmissione della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e dell’Irap. Il Tribunale inoltre, secondo il ricorrente, avrebbe anche omesso di considerare una prova significativa quale la dichiarazione di un testimone nella parte in cui ha rappresentato che nell’anno in questione non era stata svolta alcuna attività e che per quell’anno di imposta la dichiarazione dei redditi per la sua ditta era stata pari a zero.

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

I motivi addotti dal ricorrente sono stati ritenuti inammissibili dalla Corte di Cassazione.. Al di là della non corretta espressione utilizzata dal giudice in termini di riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 159 comma 2 lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008, ha osservato la suprema Corte, lo stesso si è solo limitato a richiamare la norma che dispone la sanzione per il fatto come contestato e riconosciuto espressamente in sentenza, nel quadro di una motivazione con cui si dà atto dell’avvenuto accertamento della mancata adozione di iniziative corrispondenti a quelle illustrate nell’art. 122 del D. Lgs. n. 81/2008 di cui al capo di imputazione, come anche della intervenuta adozione di corrispondenti prescrizioni, poi ottemperate dall’imputato, diversamente dall’adempimento, cui il ricorrente era stato successivamente ammesso, consistente nel pagamento di una somma in sede amministrativa, diretto ad estinguere la contravvenzione per cui, secondo la Corte, non c’è stata nessuna violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. a fronte della motivata condanna corrispondente ai fatti addebitati.

Con riferimento al secondo motivo, inoltre, la Corte di Cassazione ha ricordato che, secondo la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, introdotta dagli artt. 19 e seguenti del D. Lgs. n. 758/1994, il Giudice, prima di pronunciare una sentenza di condanna per un a delle violazioni ivi previste, deve accertare che si siano regolarmente svolti tutti i passaggi della procedura stessa, costituente condizione di procedibilità dell’azione penale. Nel caso concreto, l’organo di vigilanza aveva impartito al contravventore le apposite prescrizioni fissando il termine per adempiere e successivamente aveva constatato che la violazione era stata eliminata secondo le modalità imposte; indi, aveva invitato il contravventore al pagamento della sanzione amministrativa. La mancata corresponsione della somma necessaria a titolo di oblazione aveva determinata la conseguenza che il procedimento riprendesse il suo corso, atteso che è solo con il congiunto adempimento da parte del contravventore di entrambi gli incombenti, ovverosia l’eliminazione delle violazioni per effetto della successiva regolarizzazione ed il successivo pagamento della sanzione amministrativa, che il reato si estingue. In altri termini a fronte del reato, consumato, il pagamento della sanzione in sede amministrativa partecipa solo della fase, sopravvenuta ed eventuale, di estinzione del reato.

La deduzione di una impossibilità di procedere al pagamento in questione, ha aggiunto per completezza la suprema Corte, non può di per sé scusare, per cui anche se rapportata al tema della mera estinzione del reato la censura proposta, fondata su una asserita incapienza dell’imputato, integra una questione giuridica manifestamente infondata. Occorre in particolare sottolineare, ha così aggiunto la suprema Corte, che nelle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, ricorre un’ipotesi di forza maggiore, che scusa l’inosservanza degli adempimenti cui è condizionata l’estinzione del reato ad esito della procedura di cui all’art. 24 del D. Lgs. n. 758/1994, esclusivamente nel caso, diverso da quello dedotto, in cui l’interessato versi in uno stato patologico di tale gravità da determinarne, per tutta la durata, un’assoluta incapacità di intendere e di volere, in grado di impedirgli anche solo di dare disposizioni ad altri per l’adempimento.

Il sopravvenuto stato di liquidazione societaria, ha altresì precisato la Sezione III, nemmeno se determinato da difficoltà finanziarie costituisce causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato adempimento alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza nell’ambito della procedura di estinzione prevista, in materia di infortuni sul lavoro, dal D. Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758. e che la sopravvenuta dichiarazione di fallimento del contravventore, ammesso alla procedura di estinzione dei reati antinfortunistici o in materia di igiene del lavoro (art. 24 del D. Lgs. n. 758/1994), non costituisce impedimento rilevante, idoneo a giustificare il mancato espletamento della procedura estintiva.

Sulla base delle considerazioni sopraindicate, in conclusione, la Corte di cassazione ha pertanto ritenuto che il ricorso dovesse essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi conto infine della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, ha disposto che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.

Corte di Cassazione Penale Sezione III – Sentenza n. 45433 del 30 novembre 2022 (u.p. 16 novembre 2023) – Pres. Ramacci – Est. Noviello – Ric. B.A.. – L’impossibilità di procedere al pagamento della sanzione amministrativa non costituisce causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato espletamento della procedura estintiva in materia di infortuni sul lavoro prevista dal d. lgs. n. 758/1994.

Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it