sanita_2Un breve saggio raccoglie alcune riflessioni sul tema dell’obbligatorietà della vaccinazione per gli operatori sanitari. Il Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale, il Testo Unico, le misure profilattiche vaccinali obbligatorie e le nuove proposte.

Ci siamo soffermati in precedenti articoli sull’esposizione degli addetti alla sanità ai rischi derivanti dall’uso di strumenti taglienti o appuntiti e, più in generale, sui rischi biologici occupazionali nel comparto sanità, di natura infettiva, allergica, tossica e cancerogena.
Tuttavia se a causa della loro attività, gli operatori sanitari, “venendo a contatto con pazienti e con materiale potenzialmente infetti, sono esposti al rischio di contrarre patologie infettive anche gravi”, alcune di queste patologie sono “facilmente prevenibili con trattamento vaccinale”.

Per affrontare il tema della vaccinazione degli operatori sanitari, torniamo a presentare un Working Paper pubblicato da Olympus il 15 settembre 2015 e dal titolo “ Il rischio biologico nel comparto sanitario. Le infezioni occupazionali”.
Nella presentazione del breve saggio ci siamo già soffermati sulla normativa europea e nazionale (con riferimento alla direttiva 2010/32/UE e al D.Lgs. n. 19/2014 di recepimento) e sui dispositivi con meccanismo di protezione e di sicurezza.
Tuttavia il documento, a cura di Maurizio Sisti (ricercatore di Igiene generale e applicata presso il Dipartimento di Scienze Biomolecolari dell’ Università di Urbino “Carlo Bo”), raccoglie anche interessanti riflessioni sull’obbligatorietà della vaccinazione per gli operatori sanitari.

Il ricercatore indica che il raggiungimento dell’obiettivo di un adeguato intervento di profilassi immunitaria per il personale sanitario è “di fondamentale importanza per la prevenzione primaria e il controllo delle infezioni occupazionali non solo, come già detto, a tutela della salute degli stessi operatori sanitari, ma anche per la prevenzione della trasmissione degli agenti infettivi ai pazienti, ad altri operatori, familiari e in generale alla collettività”. Si pensi ad esempio – continua il working paper – “alla vaccinazione antitubercolare, a protezione principalmente dell’operatore sanitario, o a quella antinfluenzale che riveste un ruolo fondamentale non solo per l’operatore, ma soprattutto a garanzia dei pazienti, ai quali l’operatore potrebbe trasmettere gli agenti patogeni, aggravando il loro stato di salute, già sensibilmente compromesso dalla malattia”.

E il raggiungimento di questo obiettivo di profilassi per il personale sanitario è auspicato anche dal Ministero della Salute che, nel redigere il Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale (PNPV) per il triennio 2012-2014, “tra le altre voci ha riportato una specifica sezione dedicata alle vaccinazioni per tutti gli operatori sanitari e gli studenti dei corsi di laurea e di diploma dell’area sanitaria, unitamente alle indicazioni per la predisposizione di documenti informativi a contenuto tecnico, utili ad orientare il lavoro dei servizi di prevenzione e a comunicare in modo appropriato con i destinatari degli interventi vaccinali”.

Tra l’altro si ricordano anche ledisposizioni legislative che regolano la pratica degli interventi di immunizzazione in ambito lavorativo e che sono riportate nel D.Lgs. 81/2008 (T.U.) dove all’art. 279 (Prevenzione e controllo) si afferma che ‘qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41’. E si indica che ‘il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali: a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente’.

Insomma, con riferimento anche all’art. 2087 c.c, il trattamento vaccinale obbligatorio e non, “rappresenta una delle misure fondamentali per la tutela della salute in particolari ambiti lavorativi, unitamente e in ‘posizione sussidiaria’, all’eliminazione del rischio alla fonte”.

Si ricordano poi le misure profilattiche vaccinali rese obbligatorie per alcune determinate categorie di lavoratori, in base alle varie tipologia del rischio biologico, ad esempio:
– la vaccinazione antitetanica: “in base alla legge 5 marzo 1963, n. 292 è obbligatoria per i lavoratori agricoli, pastori, allevatori di bestiame, stallieri, fantini, conciatori, spazzini, cantonieri, operai addetti alla manipolazione delle immondizie, operai addetti alla fabbricazione della carta e dei cartoni, lavoratori del legno, metallurgici e metalmeccanici, sportivi affiliati al CONI, ecc. Il d.P.R. n. 464 del 7 novembre 2001 ha successivamente modificato la cadenza con la quale effettuare i richiami periodici della vaccinazione: ad intervalli decennali anziché quinquennali. In questo elenco non figurano gli operatori sanitari in quanto ritenuti non (particolarmente) soggetti a rischio d’infezione tetanica in ambito lavorativo, mancando il contagio interumano”;
– la vaccinazione antitubercolare (d.P.R. n. 465 del 7 novembre 2001, emanato ai sensi della legge 23 dicembre 2000, art. 93) “è obbligatoria per il personale sanitario, studenti in medicina, allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo, operi in ambienti sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti oppure operi in ambienti ad alto rischio e non possa, in caso di cuticonversione, essere sottoposto a terapia preventiva, perché presenta controindicazioni cliniche all’uso di farmaci specifici”.
Si indica poi che la vaccinazione antitifica “è stata obbligatoria fino al 2000 per il personale di assistenza, per quello addetto ai servizi di cucina, di disinfezione, di lavanderia e di pulizia degli ospedali, degli istituti e delle case di cura, pubblici e privati, per il personale addetto ai servizi di disinfezione, alle lavanderie pubbliche e ai trasporti dei malati, al servizio idrico, alla raccolta e allo smercio del latte”.
In ogni caso altre vaccinazioni sono “invece raccomandate e offerte gratuitamente, come ad esempio l’anti HBV e l’antinfluenzale”. E per i soggetti le cui esigenze lavorative richiedono un soggiorno all’estero in zone endemiche, “sono particolarmente raccomandate le seguenti vaccinazioni: antitifica, antiepatite virale A e B, antipolio, antitetanica, antimeningococcica, antirabbica, nonché quelle contro la febbre gialla e l’encefalite giapponese, quest’ultima richiesta obbligatoriamente per l’ingresso in alcuni Paesi”.

In base alle disposizioni legislative segnalate, si sottolinea che il datore di lavoro – nel caso in cui, in sede di valutazione del rischio, abbia accertato la presenza di un rischio biologico per la salute – ha “l’obbligo non soltanto di mettere a disposizione vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, ma anche di imporre (in alcune ipotesi) la profilassi vaccinale la quale si potrebbe configurare come un vero e proprio trattamento sanitario coercitivo”.
Il che, tuttavia, potrebbe comportare “tutta una serie di problematiche” connesse in particolare al rispetto di alcuni principi costituzionali, argomenti “puntualmente e approfonditamente sviluppati” anche nella pubblicazione riguardante il PNPV dove “si parla anche dell’esenzione e del suo valore legale quando motivata da effetti collaterali”.

Dopo aver riportato i risultati di un recente sondaggio tra gli esperti di ventinove Paesi europei “sull’applicazione delle linee guida e sulle politiche delle vaccinazioni obbligatorie per gli operatori sanitari”, il saggio segnala che, a livello nazionale, è stata “avanzata la proposta di estendere a determinate categorie di operatori sanitari l’obbligatorietà (o comunque la forte raccomandazione) delle vaccinazioni anche per influenza, morbillo, rosolia, epatite B, varicella ecc”. E il fatto di voler rendere “obbligatorie talune vaccinazioni presso alcuni gruppi di operatori sanitari, al fine di aumentarne i tassi d’immunizzazione con il fondamentale obiettivo di prevenire e controllare le infezioni occupazionali, ha inevitabilmente sollevato considerevoli polemiche. Le obiezioni addotte riguardano l’efficacia e la necessità di questa misura, il falso senso di sicurezza, i problemi organizzativi e i costi, l’obbligatorietà e le ‘libertà civili’, senza escludere il potenziale derivante dalla comparsa di effetti collaterali”.

Rimandando ad una lettura delle varie opinioni in merito all’obbligatorietà, come riportate nel saggio, si sottolinea comunque come “l’obiettivo di un adeguato intervento di profilassi immunitaria attiva, obbligatoria o fortemente raccomandata, sul personale sanitario esposto a particolari rischi, sia di fondamentale importanza per la prevenzione e il controllo delle infezioni occupazionali”. Ma lo è anche “per la prevenzione della trasmissione degli agenti infettivi ai pazienti, ad altri operatori, ai familiari e, più in generale, alla collettività”.
Ed è altrettanto vero che, in caso di rifiuto non motivato del lavoratore, “questo potrebbe comportare la formulazione negativa del giudizio di idoneità (art. 41, comma 6, T.U.) da parte del medico competente, con la conseguenza che il datore di lavoro dovrà prendere i provvedimenti indicati all’art. 42 e adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in mancanza, a mansioni inferiori, garantendo il trattamento corrispondente rispetto a quelle di provenienza. Non è tuttavia ancora stato ben chiarito se fra questi provvedimenti, così come dettati all’art. 30, comma 3, del T.U. (modelli di organizzazione e di gestione) con carattere esimente della responsabilità, si possano configurare anche la mancata assunzione, il licenziamento o la sola sanzione amministrativa”.

E comunque il rifiuto del lavoratore alla vaccinazione “potrebbe vanificare tutto l’impianto legislativo posto a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”. Qualora poi al lavoratore “si concedesse la possibilità di rifiutare il trattamento vaccinale, il datore di lavoro potrebbe incorrere anche nella mancata osservanza di quanto stabilito dal codice civile, all’art. 2087, in merito alla tutela delle condizioni di lavoro”.

Si segnala poi che il d.lgs. 19/2014 pur riaffermando “l’obbligatorietà del datore di lavoro di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori attraverso l’adozione di tutte le misure idonee per eliminare o contenere al massimo il rischio biologico da ferite e infezioni”, non ha aggiunto nulla di più “rispetto a quanto già disciplinato nel T.U., fatta eccezione per la necessità di implementare le informazioni relative all’importanza dell’immunizzazione, ai vantaggi e agli inconvenienti della vaccinazione o della mancata vaccinazione preventiva”.

Si conclude infine che in questa complessa problematica, di fronte alle tante prese di posizione “non sempre adeguatamente motivate”, sarebbe opportuno chiamare in causa la Commissione per gli interpelli (art. 12, T.U.) al fine di “ottenere un parere definitivo dirimente la complessa questione”.

Olympus – Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro, “ Il rischio biologico nel comparto sanitario. Le infezioni occupazionali”, a cura di Maurizio Sisti – ricercatore di Igiene generale e applicata presso il Dipartimento di Scienze Biomolecolari dell’Università di Urbino “Carlo Bo”, Working Paper di Olympus 42/2015 inserito nel sito di Olympus il 15 settembre 2015 (formato PDF, 291 kB).

Decreto Legislativo 19 febbraio 2014, n. 19 – Attuazione della direttiva 2010/32/UE che attua l’accordo quadro, concluso da HOSPEEM e FSESP, in materia di prevenzione delle ferite da taglio o da punta nel settore ospedaliero e sanitario.

 

Fonti: Gazzetta ufficiale.it, Puntosicuro.it, Olympus