La formazione è un processo educativo con cui trasferire conoscenze e procedure per la sicurezza dei compiti lavorativi e per l’identificazione, riduzione e gestione dei rischi. Formazione, normativa e giurisprudenza. Di R. Dubini, avvocato in Milano.
Dopo un primo articolo dedicato all’informazione – come processo di comunicazione/ricezione di notizie e conoscenze utili alla identificazione, riduzione e gestione dei rischi – pubblichiamo un secondo contributo dell’avvocato Rolando Dubini dedicato invece alla formazione, con riferimento agli obblighi e alle indicazioni della letteratura giurisprudenziale.
1. Aspetti generali
La formazione è un processo di insegnamento/apprendimento di conoscenze utili per svolgere una determinata attività in termini più specificatamente prevenzionistici: il D.Lgs. n. 81/2008 definisce «formazione» un processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi (art. 2 c. 1 lett. aa D.Lgs. n. 81/2008).
Fine ultimo della formazione “è, dunque, l’educazione consapevole degli attori della sicurezza in azienda: i destinatari devono acquisire le competenze cognitive e comportamentali necessarie a fronteggiare il rischio di infortunio. Al termine del processo di formazione, cioè, il lavoratore dovrebbe essere in grado non solo di identificare i rischi, ma anche di agire di conseguenza” (Marco Grotto).
Gli artt. 18 comma 1 lett. l) e l’art. 37 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 obbligano il datore di lavoro e il dirigente a far sì che ciascun lavoratore, ivi compresi i lavoratori a domicilio e i portieri con contratto privato, riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni.
Ai sensi del comma 4 dell’art. 37 citato la formazione e, ove previsto (dalla legge o dal documento di valutazione dei rischi), l’addestramento specifico devono avvenire in occasione:
– della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro;
– del trasferimento o cambiamento di mansioni;
– della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.
La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti “deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi” (art. 27 c. 6 D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81), quali ad esempio, quelli risultanti dall’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi, delle procedure e istruzioni operative.
Dunque la legge prevenzionistica fa proprio il concetto di formazione periodicamente ripetuta, quale obbligo supplementare strettamente connesso alla misura generale di tutela rappresentata dalla “la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro” [art. 15 comma 1 lett. b) D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81/2008].
Le disposizioni del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 (che sostituiscono, ricomprendendole al proprio interno, quelle del D.Lgs. 626/94) prevedono, infatti, “la maggior responsabilizzazione del lavoratore rispetto alla sicurezza del lavoro […], la messa in opera di una diversa organizzazione del lavoro, dalla medesima legge prevista, attraverso, da un lato, la programmazione e la procedimentalizzazione dell’obbligo di sicurezza in questione e, dall’altro, la formazione e informazione, nelle forme previste, dei lavoratori” [Cass. Penale, Sezione IV, 18 maggio 1999 n. 6187, Trydvall].
La circolare del Ministero del Lavoro 5 marzo 1998 n. 30, in relazione all’applicazione dell’art. 22 del D.Lgs. 626/94, ora sostituito dall’art. 36 del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, afferma che “il comma 1 ha carattere generale e riprende il principio già introdotto dall’art. 3, lett. s) per evidenziare la funzione strumentale della formazione quale misura di sicurezza fondamentale per l’acquisizione dei corretti comportamenti dei lavoratori in particolare per far fronte ai rischi residui”, mentre “i commi successivi ne specificano le modalità ed i momenti di attuazione, in particolare il comma 2 prevede che essa avvenga in determinate specifiche occasioni, in ciò non innovando le disposizioni già contenute negli articoli 4 dei regolamenti generali di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro”, nei quali è previsto l’obbligo penalmente sanzionato di “rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti”. La circolare chiarisce poi “che, per le attività già in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 626/94, non scatta automaticamente ed indiscriminatamente l’obbligo del datore di lavoro di procedere alla formazione di tutti i lavoratori già assunti a tale data, purché i datori di lavoro abbiano in precedenza dato attuazione all’obbligo di cui gli articoli 4 dei regolamenti generali di prevenzione infortuni e igiene del lavoro”. La stessa cosa può dirsi con l’entrata in vigore del decreto legislativo 9 aprile 2008, che certamente non vanifica la formazione effettuata in precedenza sotto la vigenza dell’abrogato D.Lgs. n. 626/94.
Quanto all’obbligo di registrazione della formazione, dovrà essere conservato, per ogni iniziativa formativa, un documento recante: data, elenco degli argomenti svolti, firma del/dei docenti e del/dei lavoratori coinvolti e, se è stata eseguita la verifica dell’apprendimento, dovrà essere conservato il testo, in caso di prova scritta, ovvero una breve descrizione della prova pratica eseguita, firmata dal docente e dal lavoratore [Linee guida regionali per l’applicazione del D.Lgs. n. 626/94].
L’art. 37 comma 12 del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 prevede inoltre che la formazione in materia di sicurezza e igiene dei lavoratori deve avvenire in collaborazione con gli Organismi Paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l’attività del datore di lavoro (art. 37 comma 12 come modificato dal D.Lgs. n. 106/2009), di cui all’art. 51 del medesimo decreto, “durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori”. È altamente consigliabile, per dare evidenza a tale collaborazione, informare sempre preventivamente, con raccomandata a.r., tali organismi di sede, giorno e ora, nonché nomi dei docenti di detti corsi. Alcune regioni hanno regolamentato tale attività.
La Conferenza Stato Regioni, 25 luglio 2012 – Approvazione delle Linee Guida sulla Formazione di Dirigenti, Preposti e Lavoratori e Datore di lavoro/RSPP interpretative degli Accordi del 21.12.2011 – ha chiarito quanto segue. Quanto alle modalità di richiesta di collaborazione agli organismi paritetici, la nota alla “Premessa” dell’accordo ex articolo 37, puntualizza che: “Ove la richiesta riceva riscontro da parte dell’ente bilaterale o dell’organismo paritetico, delle relative indicazioni occorre tener conto nella pianificazione e realizzazione delle attività di formazione, anche ove tale realizzazione non sia affidata agli enti bilaterali o agli organismi paritetici. Ove la richiesta di cui al precedente periodo non riceva riscontro dall’ente bilaterale o dall’organismo paritetico entro quindici giorni dal suo invio, il datore di lavoro procede autonomamente al la pianificazione e realizzazione delle attività di formazione”. Al riguardo, si puntualizza che la richiesta in parola può essere avanzata anche ad uno solo (ove ve ne siano diversi) di organismi paritetici in possesso dei requisiti sin qui richiamati, in qualunque modo idoneo allo scopo (ad esempio, anche con semplice comunicazione per posta elettronica, purché contenga indicazioni sufficienti a poter permettere all’organismo paritetico di comprendere il tipo di intervento formativo di riferimento e, quindi, mettendolo nelle condizioni di potere supportare il datore di lavoro al riguardo).
Della risposta dell’organismo paritetico il datore di lavoro tiene conto, senza che, tuttavia, ciò significhi che la formazione debba essere svolta necessariamente con l’organismo paritetico, qualora la risposta di quest’ultimo comprenda una proposta di svolgimento presso l’organismo della attività di formazione né che le indicazioni degli organismi paritetici debbano essere obbligatoriamente seguite nella realizzazione dell’attività formativa.
Questi enti sono (art. 2 c. 1 lett. ee) organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per: la programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e sicurezza sul lavoro; l’assistenza alle imprese finalizzata all’attuazione degli adempimenti in materia; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento.
Sono in effetti costituiti a livello territoriale tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, con funzioni da un lato di orientamento e di promozione di iniziative formative nei confronti dei lavoratori e dall’altro di conciliazione di controversie sorte sull’applicazione dei diritti di rappresentanza, di informazione e di formazione previsti dalla normativa vigente (si veda in merito l’art. 51, comma 1, D.Lgs. 9 aprile 2008).
Il nuovo comma 7 bis del D.Lgs. n. 81/2008, introdotto dal D.Lgs. n. 106/2009, prevede che la formazione di dirigenti e preposti “può essere effettuata anche presso gli organismi paritetici di cui all’articolo 51 o le scuole edili, ove esistenti, o presso le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori.”
Gli organismi paritetici possono supportare le imprese nell’individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 51 c. 3).
Sono fatti salvi, ai fini del comma 1, gli organismi bilaterali o partecipativi previsti da accordi interconfederali, di categoria, nazionali, territoriali o aziendali (art. 51 c. 4).
Agli effetti dell’articolo 9 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli organismi di cui al comma 1 sono parificati ai soggetti titolari degli istituti della partecipazione di cui al medesimo articolo.
L’art. 51 c. 6 D.Lgs. n. 81/2008 prevede che “gli organismi paritetici …, purché dispongano di personale con specifiche competenze tecniche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, possono effettuare, nei luoghi di lavoro rientranti nei territori e nei comparti produttivi di competenza, sopralluoghi per le finalità di cui al comma 3”, ovvero per “l’individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro” [facoltà già introdotta nell’ordinamento a seguito dell’entrata in vigore della Legge 123/2007 (art. 7), secondo la quale tali Organismi “possono effettuare nei luoghi di lavoro rientranti nei territori e nei comparti produttivi di competenza sopralluoghi finalizzati a valutare l’applicazione delle vigenti norme in materia di sicurezza e tutela della salute sui luoghi di lavoro”: la finalità è stata ora modificata, in senso maggiormente assonante con le effettive funzioni di tali organismi].
Tali organismi trasmettono al Comitato regionale di coordinamento una relazione annuale sull’attività svolta (art. 51 c. 7).
Sono gli organismi paritetici che comunicano alle aziende nelle quali non sia stato eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriale. Analoga comunicazione effettuano nei riguardi degli organi di vigilanza territorialmente competenti (art. 51 c.8 D.Lgs. n.81/2008).
Con riferimento all’attività di formazione, la formula impiegata dal legislatore indica funzioni di “orientamento e promozione”, nel senso di favorire l’attività formativa effettuata dal datore di lavoro, mentre non si fa cenno alcuno ad un loro intervento diretto nel processo formativo; peraltro in tal senso sono orientati anche gli accordi interconfederali conclusi, nel senso cioè di attribuire agli Organismi Paritetici funzioni di supporto all’attività formativa effettuata dalle aziende, ed è quindi da ritenersi che la “collaborazione” di cui all’art. 37, comma 12, del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 vada intesa nel senso che la formazione deve essere effettuata secondo i criteri ed i bisogni eventualmente rilevati (peraltro di tale collaborazione si parla incidentalmente, affermando che la formazione deve avvenire durante l’orario di lavoro e senza oneri economici per i lavoratori).
Per quanto riguarda eventuali sanzioni, la mancata collaborazione con gli Organismi Paritetici non è sanzionata in alcun modo dal D.Lgs. n. 81/2008 nel caso in cui l’azienda abbia fornito ai propri dipendenti una formazione in sé adeguata seppur in assenza di collaborazione con tali Organismi. È tuttavia altamente consigliato informare, ripetiamo, preventivamente e tempestivamente l’organismo paritetico, ove esistente, con raccomandata con avviso di ricevimento, dell’orario e del luogo di svolgimento dei corsi, del programma e del nominativo del docente posto che in alcuni casi, tra l’altro, vi sono stati corsi fittizi, convocati ma in realtà mai svolti, con produzione di verbali falsi.
2. Effettività della formazione
a) Chi ha obblighi di sicurezza verso i lavoratori deve “attivarsi e controllare fino alla pedanteria che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro”, questo perchè “gli obblighi che gravano sul datore di lavoro, e ciò vale anche in tema di informazione e formazione, non sono limitati ad un rispetto meramente formale […] ma esigono che vi sia una positiva azione del datore di lavoro volta ad assicurarsi che le regole in questione vengano assimilate dai lavoratori e vengano rispettate nella ordinaria prassi di lavoro” [Cass. 6 febbraio 2004 Bixio, e Cass. Sez. IV pen. n. 18638 del 22 aprile 2004].
b) La Cassazione, nella sentenza 40605 del 1 ottobre 2013, ha considerato che “due soli incontri [informativi] di quindici minuti ciascuno sono insufficienti tenuto conto altresì degli argomenti trattati …. e ha rilevato inoltre che sarebbe stato onere del datore di lavoro di “accertare se le “procedure scritte” consegnate ai lavoratori (in funzione di prevenzione contro lo specifico rischio connesso alle mansioni da svolgere) fossero state comprese e recepite dagli stessi e in particolare da quelli stranieri”.
c) Il legale rappresentante di una società esercente l’attività di riparazione di macchine agricole è stato chiamato a rispondere, in qualità di datore di lavoro, dell’infortunio occorso ad un lavoratore nei seguenti termini. L’infortunato aveva rimosso tutti i bulloni che ancoravano la zavorra al mozzo della ruota posteriore di un trattore agricolo, senza ricorrere né ad un carrello elevatore di supporto né ad altri mezzi di imbragatura e sollevamento. In tal modo, la zavorra, libera da ogni vincolo, era uscita dalla propria sede, cadendo a terra e schiacciando un piede del lavoratore.
Il datore di lavoro è stato tratto a giudizio per non aver valutato adeguatamente il rischio intrinseco nell’attività descritta eper non aver assicurato formazione ed informazione adeguate rispetto a detta operazione. La questione è se dalla mancata formalizzazione di una procedura operativa (sulla quale poi fare formazione e informazione) possa derivare una qualche responsabilità in capo al datore di lavoro per l’evento pregiudizievole occorso al lavoratore. Il Giudice mette in rilievo che lo stesso infortunato aveva dichiarato di essere perfettamente consapevole che il metodo sicuro di smontaggio delle zavorre consisteva nel rimuovere quattro dei cinque bulloni, inserire le “forche” di un carrello elevatore, svitare quindi l’ultimo bullone e così far cadere, per gravità, la zavorra priva di ancoraggio sul carrello. L’attività di smontaggio delle zavorre risultava, quindi, normata per il tramite di una procedura orale nota a tutti i dipendenti, ma non inserita nel documento di valutazione di rischi. Sarebbe tuttavia formalistico e contrario a logica – continua il Tribunale – considerare inesistente una procedura lavorativa corretta solo perché la stessa non è stata concretamente formalizzata in un documento scritto. D’altronde, non è contrario alle disposizioni di legge che la formazione dei lavoratori avvenga attraverso l’affiancamento di lavoratori più esperti con quelli che lo sono meno e con l’incarico per i primi di trasmettere ai secondi il proprio bagaglio di esperienza. La Pubblica Accusa aveva ritenuto di porre in correlazione le lesioni subite dal lavoratore con l’omessa indicazione, nel documento di valutazione dei rischi, delle corrette procedure di gestione del rischio.
Ribatte il Tribunale piacentino che è ben vero che l’omessa adozione del documento o l’incompleta valutazione dei rischi sono presidiate da sanzione penale, ma altre sono le valutazioni da farsi nel caso di evento in danno del lavoratore. In tali contesti – spiega il giudice – non è sufficiente giustapporre la trasgressione del dato normativo ed il verificarsi del pregiudizio per la salute della persona, dovendosi accertare anche l’efficacia eziologica della condotta illecita ovvero la portata impeditiva del comportamento alternativo lecito.
Il principio fatto proprio dal giudice di merito è dunque che, qualora si accerti che l’omessa o errata valutazione del rischio sia priva di efficacia eziologica rispetto all’evento (nel senso di cui all’art. 43 c.p.), dovrà escludersi che, almeno sotto tale profilo, dell’occorso infausto debba rispondere il datore di lavoro inerte [Trib. Piacenza, 25 maggio 2011 (dep. 8 agosto 2011), n. 592].
d) Ad un datore di lavoro è stato contestato di aver messo a disposizione di una lavoratrice una macchina priva dei necessari dispositivi di sicurezza. Dalla lettura della motivazione emerge, tuttavia, come la macchina fosse a norma, anche se mal funzionante il giorno dell’infortunio. In particolare, nel corso dell’istruttoria è risultato che la lavoratrice, poi infortunatasi, segnalò essa stessa l’avaria del macchinario e che il caporeparto allertò immediatamente il manutentore. Questi, poi, evidenziò espressamente che, per effettuate le normali operazioni di pulizia, era necessario arrestare la macchina utilizzando un interruttore manuale di spegnimento anziché il dispositivo interblocco automatico. La questione è se dalla mancata formalizzazione di una procedura d’emergenza (sulla quale poi fare formazione e informazione) possa derivare una qualche responsabilità in capo al datore di lavoro per l’evento pregiudizievole occorso al lavoratore.
Il Giudice rileva che una procedura di emergenza, sebbene non codificata, era di fatto esistente nello stabilimento produttivo teatro dell’occorso e che la stessa fu compiutamente attivata dalla lavoratrice, la quale decise poi di discostarsi dalle indicazioni ricevute. Perciò viene escluso che l’infortunio sia concretizzazione del rischio creato dalla condotta addebitata al datore di lavoro e consistente nell’aver messo a disposizione della lavoratrice una macchina priva dei pulsanti di avvio e spegnimento e del dispositivo interblocco funzionanti [Trib. di Forlì – Sezione Cesena, 23 maggio 2011 (dep. 18 agosto 2011), n. 480].
Fonti: Puntosicuro.it, Avvocato Rolando Dubini