Un contributo si sofferma sugli obblighi di sicurezza del lavoratore nel prisma del principio di autoresponsabilità. L’articolo 20 del decreto 81, la formazione, la vigilanza e la rilevanza dei modelli di organizzazione e di gestione.

Come ricordato dal prof. Paolo Pascucci «il tema degli obblighi del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro costituisce uno degli aspetti fondamentali del ‘sistema’ finalizzato a tutelare la salute e la sicurezza sul lavoro inaugurato dalla direttiva quadro 89/391/Cee ed emerso in Italia prima con il d.lgs. 626/1994 e poi con il d.lgs. 81/2008» [1].  E in effetti, “vale rimarcare come il lavoratore non rivesta solo la posizione di creditore di sicurezza, bensì, al contempo, anche quella di debitore, gravando sul medesimo una quota, pur se residuale, di tale debito”. E dunque egli “non può limitarsi a cooperare con il datore di lavoro, essendo invece tenuto altresì all’adempimento di specifici obblighi, la cui esigibilità, tuttavia, non può a sua volta prescindere dalla corretta attuazione dei doveri datoriali informativi e formativi”. E “la partecipazione ai programmi di formazione e addestramento costituisce ora un obbligo del prestatore (art. 20, comma 2, lett. h, del d.lgs. n. 81/2008), in un gioco di specchi il cui effetto è quello di arricchire continuamente le reciproche posizioni soggettive, attive e passive, al fine di meglio garantire l’effettività della tutela”.

A soffermarsi con questa parole sul tema sugli obblighi del lavoratore, in materia di sicurezza, e a fornire un’interessante riflessione su vari altri aspetti correlati è Chiara Lazzari (professoressa associata di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo) in un contributo pubblicato sul numero 1/2022 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell’Osservatorio Olympus dell’ Università degli Studi di Urbino.

In “Gli obblighi di sicurezza del lavoratore, nel prisma del principio di autoresponsabilità”, che riproduce, con alcune integrazioni, la relazione svolta il 21 gennaio 2022 al webinar «Responsabilità degli enti e sicurezza sul lavoro», Chiara Lazzari fa alcune riflessioni sugli obblighi del lavoratore individuati dall’art. 20 del d.lgs. n. 81/2008 anche in connessione coi doveri datoriali di formazione e vigilanza, alla luce della disciplina sui modelli di organizzazione e di gestione.

Nel presentare brevemente il saggio ci soffermiamo con l’articolo sui seguenti argomenti:

  • L’articolo 20 del decreto 81 e il ruolo di parte attiva del lavoratore
  • Il principio di autoresponsabilità, la formazione e i modelli organizzativi
  • La rilevanza dei modelli di organizzazione e di gestione

L’articolo 20 del decreto 81 e il ruolo di parte attiva del lavoratore

Il contributo indica che tanto il generale obbligo di cura stabilito dall’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008 (ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro), quanto i vari obblighi presenti nel successivo comma 2 “disegnano un quadro normativo che pare oltrepassare i consueti confini della cooperazione creditoria, delineando una figura di lavoratore chiamato a partecipare attivamente, quale destinatario iure proprio della normativa antinfortunistica, al corretto funzionamento del sistema aziendale di prevenzione”.

E ciò “emerge con tutta evidenza dall’art. 20, comma 2, lett. e, il quale impone al prestatore di segnalare immediatamente le deficienze dei mezzi e dei dispositivi, nonché qualsiasi condizione di pericolo di cui venga a conoscenza, attivandosi direttamente, in caso di urgenza, per eliminare o limitare le situazioni pericolose”. Questa disposizione “configura un obbligo più sistematico ed autonomo che riguarda il ‘modo di porsi rispetto al sistema di prevenzione aziendale’: un modo che, enfatizzando la necessaria cooperazione del lavoratore in sintonia con quanto previsto dalla lett. a, sottolinea il suo essere parte attiva di quel sistema di prevenzione partecipato del d.lgs. 81/2008, il quale vale a supportare non solo il datore di lavoro nell’assolvimento dell’obbligo di sicurezza, ma anche i lavoratori nell’esercizio del proprio diritto al lavoro salubre e sicuro”.

Si tratta dunque “di prendere atto delle novità che, specie a seguito degli impulsi provenienti dalla normativa comunitaria, attribuiscono al lavoratore – sia individualmente che sul piano collettivo – il ruolo di attore consapevole e fattivo nella costruzione di un ambiente di lavoro sicuro”. Del resto – continua Chiara Lazzari – “proprio da tale normativa viene un’indicazione inequivoca, capace di sgombrare il campo da ogni ambiguità: infatti, l’art. 5, par. 3, della direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, afferma espressamente che ‘gli obblighi dei lavoratori nel settore della sicurezza e della salute durante il lavoro non intaccano il principio della responsabilità del datore di lavoro’. E tanto basta a scongiurare il rischio che la posizione debitoria del lavoratore trasmuti, ‘a mezzo di un vero e proprio rovesciamento, nell’assunzione…della posizione di garanzia gravante sul datore di lavoro, sui suoi delegati, sui dirigenti e sul preposto, cioè su coloro che dispongono dei mezzi e dei poteri per organizzare l’attività e che, proprio per questa ragione, devono farsi carico, anche, di assicurare, eventualmente in via disciplinare, l’osservanza delle disposizioni date, nonché di quelle stabilite con l’art. 20 d.lgs. 81/2008’” (Cass. pen., sez. IV, 25 giugno 2021, n. 24830).

Il principio di autoresponsabilità, la formazione e i modelli organizzativi

Veniamo a quanto indicato in relazione ai modelli organizzativi, alla formazione, alla vigilanza e al principio di autoresponsabilità.

Si indica che le connessioni fra formazione del lavoratore e dovere datoriale di vigilanza permettono di affrontare più da vicino il tema dei rapporti fra obblighi del prestatore e modelli organizzativi (MOG).

Si indica che “secondo l’art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008, ‘il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici’ ivi elencati, tra i quali non figurano espressamente quelli a carico del lavoratore, ponendo la norma l’accento essenzialmente sulle responsabilità datoriali. Peraltro, la posizione del prestatore emerge comunque in controluce da alcune di tali previsioni, tra cui, ai fini che qui interessano, merita segnalare quelle relative «alle attività di informazione e formazione dei lavoratori» (art. 30, comma 1, lett. e) e «alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori» (art. 30, comma 1, lett. f)”.

Ci soffermiamo in particolare su quanto indicato riguardo al primo profilo.

L’autrice ribadisce la “centralità del corretto adempimento, a monte, dei doveri datoriali informativi e formativi, che costituiscono un prius logico rispetto alla valutazione della condotta esigibile dal lavoratore. Ne consegue, com’è stato giustamente notato, e come la giurisprudenza ha confermato anche di recente 56, che ‘l’inosservanza imputabile al titolare dell’obbligo formativo riveste un valore assorbente rispetto all’eventuale contributo colposo della vittima dell’evento lesivo: pertanto, la condotta negligente del lavoratore potrà assumere un rilievo giuridico solo dopo che sia stato verificato il puntuale assolvimento dell’obbligo da parte del soggetto che vi è tenuto ex lege’” [2]

Relativamente poi al secondo aspetto, “merita osservare che, sebbene l’adozione del modello di organizzazione e di gestione formalmente si ponga su di un livello ulteriore e distinto rispetto a quello degli obblighi connessi alle singole posizioni di garanzia, è ormai opinione comune, come rimarcato in precedenza, che l’approccio procedurale alla base del MOG costituisca «la scelta metodologica più opportuna per adempiere al meglio anche i precetti prevenzionistici individuali» [3]. In altri termini, “il MOG altro non è se non una modalità organizzata di assolvimento di tutti gli obblighi previsti dal d.lgs. n. 81/2008. L’auspicabile diffusione di tali modelli, specie quando asseverati, potrebbe, allora, riverberare effetti indiretti altresì sul piano delle responsabilità individuali, ad esempio contribuendo all’affermazione di una lettura dell’ art. 2087 cod. civ., e, per conseguenza, del dovere di vigilanza, da esso desumibile, sulla condotta del lavoratore, sempre più orientata in chiave organizzativa”.

Rimandiamo alla lettura integrale del contributo che si sofferma ampiamente sul tema della vigilanza e che ricorda quel filone della giurisprudenza penale “secondo cui il dovere di vigilanza deve ricondursi, più che alla presenza fisica, alla ‘gestione oculata dei luoghi di lavoro’, mediante la predisposizione delle misure normativamente imposte (informazione, formazione, attrezzature idonee presidi di sicurezza) e di ogni altra cautela richiesta dalle comuni regole di prudenza e diligenza”. Ciò anche alla luce di una normativa la cui evoluzione “valorizza il principio di autoresponsabilità del lavoratore” – si è passati da un modello ‘iperprotettivo’ (incentrato sulla figura del datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori) ad un modello ‘collaborativo’ in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti – “in una prospettiva partecipata nella quale trovano spazio molteplici attori”.

E – continua Chiara Lazzari – “a me sembra che gestire in modo oculato i luoghi di lavoro e governare la sfera di rischio che grava sul titolare della posizione di garanzia rappresentino obblighi il cui adempimento evoca in primis proprio il ricorso a misure organizzative e procedurali, compendiate nell’adozione ed efficace attuazione del MOG”. E “non è da escludere che l’adozione ed efficace attuazione del modello, a maggior ragione se asseverato, possa arrivare a costituire una seria indicazione di ciò che appare generalmente praticabile in un dato contesto produttivo, una sorta di possibile riferimento, sebbene non esclusivo, nella lettura dell’art. 2087 cod. civ., altresì sotto il profilo dell’attività di vigilanza richiesta in relazione al rispetto degli obblighi del lavoratore, che potrebbe finanche giungere a determinare un qualche alleggerimento, in particolare sul piano probatorio, nella posizione debitoria finale del datore di lavoro che quella misura preventiva abbia implementato”. O per altro verso “si potrebbe invece registrare un ampliamento dell’obbligo di sicurezza per quei datori di lavoro che non abbiano adottato il MOG, qualora quest’ultimo, specie se asseverato, possa essere annoverato fra le misure suggerite dall’evoluzione della tecnica, anche organizzativa, e dall’esperienza, di cui parla la norma codicistica, allorché ne sia dimostrata l’efficacia prevenzionale e la diffusione nel settore”.

La rilevanza dei modelli di organizzazione e di gestione

Veniamo alle conclusioni del contributo.

Si indica, in definitiva, che la rilettura, alla luce della disciplina sui MOG, dell’art. 20 del d.lgs. n. 81/2008 – in connessione con gli obblighi datoriali di formazione e vigilanza – può portare argomenti “a conferma dell’acquisizione, da parte di tali modelli, di una rilevanza sistematica che va ben al di là dell’originario confine segnato dalla responsabilità amministrativa degli enti, con riferimento alla quale sono stati introdotti”.

In buona sostanza “se la genesi di ogni fattore di rischio va ricercata nel processo organizzativo, come avvertito dalla dottrina più attenta fin dagli anni settanta, quest’ultimo individua al contempo il piano sul quale, in ottica prevenzionale, occorre prioritariamente intervenire, attraverso il ricorso a strumenti, quali i MOG, capaci d’innescare procedure virtuose di programmazione, attuazione, monitoraggio, riesame ed eventuale modifica dei processi organizzativi medesimi”. Il che – si indica in conclusione – non può non riflettersi anche sul profilo “del corretto adempimento degli obblighi posti in capo al lavoratore e dei connessi doveri datoriali di controllo sulla loro osservanza”.  

Tiziano Menduto

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

Università di Urbino Carlo Bo, Osservatorio Olympus, Diritto della sicurezza sul lavoro, “Gli obblighi di sicurezza del lavoratore, nel prisma del principio di autoresponsabilità”, a cura di Chiara Lazzari, professoressa associata di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo, DSL n. 1/2022.

Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it,