Le novità in materia di formazione in relazione al decreto-legge 146/2021 e alla legge di conversione. Come è cambiata la formazione in questi anni? Ne terrà conto la rivisitazione degli accordi di formazione? A cura dell’Ing. Gian Piero Marabelli.
In relazione alle tante modifiche del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ( D.Lgs. 81/2008), dovute all’azione congiunta del D.L. n. 146/2021 e della successiva legge di conversione, torniamo ad ospitare alcuni interventi e approfondimenti sul tema.
Presentiamo oggi un contributo dell’Ing. Gian Piero Marabelli, esperto formatore, che si sofferma proprio sulle novità in materia di formazione e presenta alcune utili riflessioni sulla futura rivisitazione degli accordi di formazione.
L’approvazione in via definitiva del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146– recante “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili” – e la conseguente legge di conversione promulgata il 17 dicembre scorso, operano la più corposa e sostanziale riforma del D.lgs 81/2008, dall’ormai lontano “decreto correttivo 106 del 2009.
Le novità riguardano: il sistema istituzionale di prevenzione, la riforma delle attività di vigilanza, la totale modifica dell’art. 14 e dell’All.1 sulle fattispecie riguardanti la sospensione delle attività, la nuova figura del preposto, la formazione obbligatoria del datore di lavoro, e la (promessa) di una riforma delle attività di formazione sulla salute e sicurezza da attuare con un decreto da approvare entro il 30/06/2022.
Se ci soffermiamo sulla “formazione”, dobbiamo notare e ribadire la necessità di una “profonda” rivisitazione delle attività ad essa correlate. Le modalità di erogazione e di conduzione dei corsi, gli stessi programmi, al di là del rispetto del dettato normativo, sono infatti profondamente cambiati in questi anni. Questo anche in relazione ai mutamenti avvenuti nel corpo sociale e nella società che ha trasformato profondamente la “platea” a cui i formatori della salute e sicurezza si rivolgono: invecchiamento della popolazione lavorativa da una parte e dall’altra l’avvento (per fortuna) di una platea di giovanissimi cui non è semplice parlare di leggi e di regole.
La rivisitazione degli accordi di formazione dovrà tener conto di questo mutamento poiché i formatori e i consulenti si rivolgono a tantissime persone nel corso di un anno lavorativo. Se il formatore parla ad una platea di ragazzi giovani, nuovi assunti, etc, si accorge di dover fare uno sforzo ragguardevole per far comprendere la necessità del rispetto delle regole, dell’importanza della legge, dell’importanza delle tutele, dei diritti, parole queste che, per un certo aspetto, non sono a volte nemmeno più nel linguaggio. L’impoverimento della lingua è ad un livello così drammatico che a volte occorre spiegare il significato delle parole (non sempre per fortuna).
La sicurezza è, lo sappiamo, una questione primariamente culturale, ma appartiene alla sfera dei “diritti” e quindi della tutela dei lavoratori. Una parte della formazione potrebbe (dovrebbe) essere dedicata a far comprendere le “parole” che appartengono alla sicurezza sul lavoro: tutela, garanzia, diritto. Cos’è la sicurezza? È un diritto dei lavoratori. Cos’è un diritto? Quali sono le “tutele” che hanno i lavoratori? Chi le deve garantire? Tutti i lavoratori hanno le stesse tutele? Quali sono le “tutele”? Cos’è la “tutela retributiva”? Qual è l’altra tutela che le aziende devono “garantire”?
L’altra tutela, nascosta, perché riguarda la “percezione della realtà”, è la sicurezza, cioè il diritto della persona di uscire dall’azienda alla sera, esattamente com’è entrata alla mattina (ad esempio con tutte e dieci le dita). Va spiegato bene ad esempio che la tutela della salute e sicurezza non appartiene solo ai lavoratori dipendenti, ma a tutti i lavoratori nell’accezione della definizione dell’art. 2 (stagisti, etc).
Quest’aspetto dev’essere chiarito a tutti, spiegando il significato delle parole e dedicando del tempo a chiarire anche giuridicamente i concetti delle “due tutele”, in particolare, ovviamente, quella della salute e sicurezza, che si sostanzia nella valutazione dei rischi, nella sorveglianza, sanitaria, nella formazione e nell’individuazione delle “figure della prevenzione”.
La formazione dovrebbe chiarire quindi innanzitutto che la salute e sicurezza non sono questioni “sganciate” dal lavoro che una persona svolge: la sicurezza è parte integrante del lavoro, è una questione che attiene il “diritto del lavoro” e non il diritto penale.
Certo se succedono gli infortuni è necessario che intervenga il diritto penale. Ma la sicurezza sul lavoro, in particolare la formazione, è troppe volte costruita (ad esempio nella formazione degli RSPP o dei dirigenti) sul “cosa posso fare per difendermi in caso di…”
Invece la valutazione dei rischi e la conseguente formazione devono essere costruite per capire cosa dobbiamo fare per “impedire” che le cose accadano. Quando le cose accadono (infortuni ad esempio) sono “accadute” e se accade un grave infortunio vuol dire che il sistema di prevenzione dell’azienda è “fallito”.
Chiedersi a questo punto di chi è la colpa non solo è “giusto”, ma fa parte dei diritti costituzionali garantiti in uno stato di diritto. Ma la domanda “di chi è la colpa” è una domanda processuale, cui deve rispondere il giudice penale, ma i datori di lavoro, i dirigenti, i preposti e ahimè anche gli Rspp, di fronte al giudice penale non ci devono andare: questa la sfida.
Certo nella formazione si devono chiarire i contorni, le fattispecie, il 18 comma 3 bis, i comportamenti abnormi, spiegare le sentenze, etc. Ma spiegare la sicurezza a partire dalle sentenze è profondamente errato. Dobbiamo partire dal lavoro.
Fonti: Puntosicuro.it, Ing. Gian Piero Marabelli