Un documento si sofferma sulla prevenzione e la protezione dal rumore con riferimento specifico alla tutela dei lavoratori. Focus sulle caratteristiche del suono, sugli effetti dell’esposizione, sulla valutazione e riduzione del rischio.
Considerando che una delle malattie professionali più frequentemente denunciate continua ad essere l’ipoacusia da rumore, è importante per il nostro giornale fornire periodicamente informazioni sui fattori di rischio, sulle conseguenze sulla salute e sulla prevenzione del rischio rumore nei luoghi di lavoro.
Per aumentare, nelle aziende e tra i lavoratori, la consapevolezza dei pericoli può essere utile presentare dei brevi promemoria sul rischio e sull’approccio alla prevenzione degli effetti negativi del rumore in ambito lavorativo.
Per questo motivo ci soffermiamo oggi sul Quaderno informativo n. 6 intitolato “La prevenzione e la protezione dal rumore”, un documento elaborato dall’Ufficio Speciale Prevenzione e Protezione dell’ Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e pubblicato nel Portale del Sistema di Gestione per la Salute e Sicurezza sul Lavoro.
Benché non recente, il documento dell’Università fornisce ancora utili indicazioni sul sistema uditivo, sugli effetti prodotti dall’esposizione al rumore, sulla valutazione dei rischi e sugli interventi di mitigazione ed eliminazione del rumore.
L’articolo di presentazione del documento si sofferma sui seguenti argomenti:
- Rischio rumore: le caratteristiche del suono
- Rischio rumore: gli effetti prodotti dall’esposizione al rumore
- Rischio rumore: la valutazione e la riduzione del rischio
Rischio rumore: le caratteristiche del suono
Il documento – redatto, nelle diverse stesure, da Filippo Monti, Luciano Papacchini, Domenico Petrucci, Marco Romagnoli ed Emiliano Rapiti – presenta la natura del suono, le sue caratteristiche, i meccanismi di propagazione e le tecniche di protezione dell’udito; tutte informazioni utili per individuare i comportamenti e le misure di prevenzione e riduzione del rischio più idonee.
Si ricorda che il suono “è l’effetto percepito dall’organo uditivo, della variazione di pressione impressa ad un mezzo elastico (generalmente l’aria) dall’energia meccanica prodotta da una sorgente vibrante. Tale variazione di pressione si propaga sotto forma di onde sferiche, che, per mezzo dell’aria, arrivano al nostro orecchio, il quale le converte in sensazione uditiva. Quando questa sensazione viene percepita come sgradevole e fastidiosa si parla di rumore”.
Questi i parametri che caratterizzano il suono:
- Frequenza: “numero di oscillazioni (variazioni di pressione) che si verificano nell’unità di tempo (secondo). Si misura in Hertz (Hz). La frequenza caratterizza il suono come ‘acuto’ (alta frequenza) o ‘grave’ (bassa frequenza). L’orecchio umano può generalmente percepire suoni con frequenze comprese tra 20 Hz (suoni bassi) e 16.000 Hz (suoni acuti), cioè tra 20 e 16.000 oscillazioni al secondo”.
- Lunghezza d’onda: “distanza tra due vertici dell’onda sonora; può calcolarsi dividendo la velocità del suono nell’aria per la frequenza del suono considerato”.
- Timbro: “parametro che caratterizza la qualità di un suono, visto che è funzione dell’insieme delle frequenze presenti nel suono”.
- Intensità: “ampiezza delle variazioni della pressione sonora. Si misura in decibel (dB). L’intensità è responsabile della percezione del suono come ‘lieve’ (bassa intensità) o ‘forte’ (elevata intensità). Per misurare l’intensità di un suono si utilizza la stessa unità di misura della pressione, cioè il Pascal (Pa)”. Tuttavia poiché le variazioni di pressione associate al suono variano in un range molto ampio e poco gestibile, “per convenzione, si preferisce quantificare l’intensità sonora in decibel (dB)”.
Riportiamo dal documento una tabella con alcuni esempi di intensità sonora relativa ad ambienti domestici e lavorativi e ad alcune macchine e attrezzature:
Rischio rumore: gli effetti prodotti dall’esposizione al rumore
Il documento si sofferma poi sugli effetti prodotti dall’esposizione al rumore.
Questa esposizione può produrre, nel tempo, “danni più o meno gravi a carico dell’apparato uditivo, in funzione soprattutto del tempo di esposizione e dell’intensità sonora”.
In particolare il documento si sofferma su:
- trauma acustico: “è il prodotto, molto spesso, di una singola esposizione a livelli sonori talmente elevati (ad es. un’esplosione) da produrre il collasso completo e la rottura del timpano, danni alla catena di ossicini e distruzione delle cellule ciliate, determinando quasi sempre una perdita uditiva permanente”.
- spostamento temporaneo della soglia uditiva (nitts o ipoacusia transitoria): “l’ipoacusia transitoria consiste in una riduzione della capacità uditiva limitata nel tempo, determinata di solito da esposizioni brevi ad elevati livelli sonori. Dopo un certo tempo dall’esposizione, che può variare da pochi secondi ad alcuni giorni in relazione alla tipologia di esposizione, la funzione uditiva riacquista le originarie caratteristiche”.
- spostamento permanente della soglia uditiva (nipts o ipoacusia permanente): “l’ipoacusia permanente, prodotta dal danneggiamento irreversibile delle cellule ciliate, si sviluppa quando è presente un’esposizione ad elevati livelli sonori continuativa nel tempo. In una prima fase si ha la perdita della percezione delle frequenze più alte (sveglia, telefono, canto degli uccelli, ecc.), mentre rimane invariata la percezione delle frequenze più basse (ad es. la voce umana) per cui l’individuo affetto da deficit non avverte inizialmente il danno. In seguito, con il protrarsi dell’esposizione ad elevati livelli sonori, si perde anche la percezione delle frequenze più basse: in questa situazione il danneggiamento dell’apparato uditivo è irreversibile”.
Il documento ricorda poi che esistono anche altri “effetti collaterali prodotti dall’esposizione al rumore che non sono direttamente connessi con l’udito, come l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione, disturbi al sistema nervoso e neurovegetativo (vertigini ed emicrania), ecc”.
Senza dimenticare che un’elevata esposizione al rumore “produce la diminuzione della normale capacità lavorativa e, soprattutto, può contribuire all’aumento degli infortuni sul lavoro, in quanto determina una riduzione della percezione dei guasti meccanici e dei segnali di allarme, oltre che una diminuzione dell’attenzione degli operatori”.
Rischio rumore: la valutazione e la riduzione del rischio
Il documento riporta poi indicazioni sulla valutazione del rischio rumore, con riferimento a quanto indicato nel D.Lgs. 81/2008 e in particolare ai seguenti parametri:
- pressione acustica di picco (ppeak): “definito come valore massimo della pressione acustica istantanea ponderata in frequenza “C”;
- livello di esposizione giornaliera al rumore (LEX,8h): (dB(A) riferito a 20 μPa ) definito come valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione al rumore per una giornata lavorativa nominale di otto ore. Si riferisce a tutti i rumori sul lavoro, incluso il rumore impulsivo;
- livello di esposizione settimanale al rumore (LEX,w): definito come valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione giornaliera al rumore per una settimana nominale di cinque giornate lavorative di otto ore.
La valutazione del rischio “può essere condotta sia attraverso i dati disponibili in letteratura, se applicabili, sia attraverso misurazioni strumentali”.
Riportiamo, infine, qualche indicazione sui possibili interventi di mitigazione e/o di eliminazione del rumore:
- Interventi preventivi: “la prevenzione è sempre l’arma più efficace per ridurre il rischio” e a tal fine il datore di lavoro “deve adottare misure tecnico organizzative atte a ridurre ‘alla fonte’ l’esposizione dei lavoratori. Tra queste, in particolare:
- l’organizzazione del lavoro, (es. nei processi, nel layout, nei metodi di lavoro, ecc.) che implicano minore esposizione dei lavoratori (comandi da remoto, turnazioni, pause di riposo, ecc.);
- la scelta, al momento dell’acquisto di attrezzature o dell’installazione di impianti, di quelli che risultano più silenziosi (utensili pneumatici silenziati, macchine insonorizzate, ecc.)”.
- Interventi di protezione acustica collettiva: “Il datore di lavoro ha, inoltre, l’obbligo di operare tutti quegli interventi atti ad eliminare o mitigare le cause del rumore, come ad esempio:
- sostituire tutte le parti meccaniche danneggiate (cuscinetti, cinghie, ruote dentate);
- aumentare la frequenza e l’accuratezza delle manutenzioni e degli ingrassaggi delle macchine e degli impianti, utilizzando esclusivamente lubrificanti consigliati dal costruttore (il grado di viscosità deve essere adeguato) e serrando periodicamente la bulloneria;
- evitare di utilizzare pressioni superiori a quelle effettivamente necessarie ed eliminare le perdite di aria compressa dalle tubazioni e dai giunti;
- installare dei supporti elastici sotto le macchine fisse (tappeti, molle, gomma, ecc.) al fine di limitare la propagazione delle vibrazioni alle strutture dell’edificio
- applicare pannelli o strutture fonoisolanti alle macchine e rivestire i locali con pannelli fonoassorbenti, per attenuare i rumori riflessi dalle pareti e dai soffitti;
- utilizzare adeguata segnaletica di sicurezza che individui chiaramente il tipo di rischio;
- informare e formare i lavoratori sui rischi uditivi connessi al ciclo di lavorazione e sull’uso corretto delle attrezzature di lavoro”.
Si indica che “nel caso in cui non sia tecnicamente possibile l’adozione di uno dei metodi di abbattimento del rumore precedentemente descritti, oppure quando agli operatori sia richiesta una notevole mobilità, è necessario ricorrere all’adozione dei cosiddetti dispositivi di protezione individuale (DPI)”.
Concludiamo rimandando alla lettura integrale del documento che si sofferma sui dispositivi di protezione individuale (inserti auricolari, cuffie, …), sulla sorveglianza sanitaria e sugli obblighi dei lavoratori.
Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:
Fonti: Puntosicuro.it, Inquinamentoacustico.it