Il problema della formazione in e-learning analizzato dal punto di vista della libertà e ragionevolezza nella formazione. Gli Accordi Stato Regioni non possono prevedere divieti estranei alla legge di riferimento. A cura di Rolando Dubini.
“Le leggi e i regolamenti devono essere adattati … ai cambiamenti dei tempi, … Gli uomini che sono soffocati dalle norme non possono pianificare nuove iniziative … Coloro che sanno da dove nascono le leggi le adattano ai tempi; coloro che non conoscono la fonte, possono anche seguirle, ma alla fine precipiteranno nel caos” (Wen Tzu)
Il problema della formazione in e-learning è una questione di scottante attualità, spesso affrontata in Italia con pregiudizi ingiustificati e con chiusure burocratiche incomprensibili.
In sostanza vi è chi vuole frenare in ogni modo l’inevitabile sviluppo della formazione on line, e-learning e Fad con argomenti burocratici che manifestano una sostanziale indifferenza per i principi di libertà previsti dalla costituzione, per il criterio di ragionevolezza e per la produttività aziendale (che in Italia è molto bassa), in nome della difesa di una formazione in aula costosa e spesso non sufficientemente qualificata.
La bassa qualità di molta formazione on line non è un argomento di pregio, posto che anche molta formazione in aula non è di qualità superiore.
La «sfera generale di libertà» dei «singoli» e delle «comunità amministrate», è tutelata dall’articolo 23 Costituzione laddove prevede che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Quindi è vietato imporre modalità di erogazione della formazione costose e patrimonialmente rilevanti se questo non è previsto dalla legge. E gli accordi Stato Regioni non sono leggi, ma accordi tra amministrazioni statali e regionali su come i loro operatori devono procedere nell’applicazione delle norme di legge vigenti.
Secondo la Corte Costituzionale, sentenza 115/2011, l’imposizione di obblighi di non fare (divieti) «rientra ugualmente nel concetto di ‘prestazione’», poiché risulta «anch’essa restrittiva della libertà dei cittadini» Quindi o i divieti sono espliciti, in quanto formulati dalla legge, o se manca la legge che vieta, il comportamento è automaticamente lecito e non esiste, legalmente, il divieto. Ciò che non è vietato dalla legge è dunque lecito e sempre consentito.
Inoltre la libertà imprenditoriale non può essere limitata se non in forza di legge.
Secondo l’«articolo 41 Costituzione: l’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità; sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Nell’ordinamento giuridico italiano, a partire dalla costituzione, vige il principio secondo cui in ambito economico «è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge», segue l’indicazione che il legislatore statale o regionale può e deve mantenere forme di regolazione dell’attività economica volte a garantire, tra l’altro – oltre che il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari e la piena osservanza dei principi costituzionali legati alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e della finanza pubblica – in particolare la tutela della sicurezza, della libertà, della dignità umana, a presidio dell’utilità sociale di ogni attività economica, come l’art. 41 Cost. richiede (Corte Costituzionale, sentenza n. 200 del 2012).
La possibilità della formazione a distanza degli operatori di sicurezza è non è affatto stata introdotta per la prima volta in Italia con l’Accordo sulla formazione dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP) e degli addetti a tali servizi (ASPP), raggiunto nella seduta del 26/1/2006 della Conferenza Stato Regioni.
E’ vero esattamente il contrario: prima di quel momento si poteva fare per ogni attività formativa prevista dalla legge la Formazione a Distanza (FAD), e solo da quel momento per la prima volta si è posto un limite prima inesistente per la FAD, regolamentandola in modo restrittivo, e ammettendola, per quel che riguarda il solo ambito corsi RSPP e ASPP, per i soli corsi di aggiornamento, avendo stabilito che gli stessi potessero essere svolti anche con modalità di formazione a distanza pur non avendo indicato però delle precise condizioni alle quali tali corsi di aggiornamento si sarebbero dovuti attenere.
Non è vero che la formazione con la modalità e-learning è stata in realtà introdotta ufficialmente e regolamentata solo nel 2011 e precisamente nell’ambito degli Accordi della Conferenza Stato-Regioni del 21/12/2011 relativi alla formazione dei datori di lavoro che hanno optato per lo svolgimento diretto dei compiti del servizio di prevenzione e protezione e dei lavoratori, dirigenti e preposti. È vero il contrario. Prima di tale accordo l’e-learning era, per tali soggetti, liberamente somministrabile; solo dopo tali accordi e con l’Allegato I di tali Accordi infatti sono state individuate condizioni limitative alla presenza delle quali è stata subordinata la validità della modalità di formazione e-learning, che per di più è stata in ogni caso consentita dall’Accordo stesso solo per lo svolgimento di alcuni dei moduli di formazione e di aggiornamento.
Nella sentenza 115/2011 del 04/04/2011 – è evidente l’adesione della Corte Costituzionale alla concezione dottrinale secondo la quale il nostro ordinamento è improntato, dal punto di vista dei singoli, al principio di libertà e, dal punto di vista dell’amministrazione, al principio di legalità: secondo tale concezione, per gli individui «tutto ciò che non è espressamente vietato è (dalla legge) implicitamente permesso» (principio di libertà); invece, «per l’amministrazione vale il principio opposto: tutto ciò che non è (dalla legge) espressamente autorizzato è (dalla legge) implicitamente vietato» (principio di legalità).
Riccardo Guastini, nel libro “Le fonti del diritto”, individua due distinte condizioni di validità dell’atto amministrativo:
«a) per un verso, deve essere fondato su una norma (costitutiva) attributiva di potere;
b) per altro verso, deve essere conforme alle norme (regolative) che ne disciplinano la forma e il contenuto».
Secondo Falcon G. (“Lezioni di diritto amministrativo”, Padova, 2009, 9) «gli speciali poteri il cui esercizio si traduca in una limitazione delle libertà o in una restrizione del patrimonio dei destinatari debbono avere un fondamento legislativo».
Questo però vale solo per la pubblica amministrazione, ovvero che ciò che non è permesso è vietato, per i privati vale il principio opposto, quel che non è vietato è consentito.
In tal senso sono fondamentali gli articoli 23 e 41 della Costituzione della Costituzione sui principi di libertà che valgono per tutti i cittadini.
Insomma senza i fondamentali del diritto si rischia di fornire pareri profondamente errati e fuorvianti.
E dire che la formazione dei formatori effettuata in modalità e-learning per formare i formatori non è consentita è affermazione giuridicamente priva di ogni fondamento, posto che non esiste alcuna legge che la vieta. E ricavare da principi generali inesistenti un divieto altrettanto infondato imporrebbe ingiustificati oneri economici per fare la formazione in aula ingiustificati e immotivati, in termini legali.
Ma si pone una domanda, gli accordi di cui sopra, e dal 2016 il nuovo accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 (Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni) prevedono regole particolari per la formazione in e-learning.
L’accordo del 2016 in premessa così dispone: “Si rappresenta, inoltre, che per i corsi in materia di salute e sicurezza la modalità e-learning è da ritenersi valida solo se espressamente prevista da norme e Accordi Stato-Regioni o dalla contrattazione collettiva, con le modalità disciplinate dal presente Accordo e nel rispetto delle disposizioni di cui all’allegato II”.
A mio parere questo divieto non ha alcun valore legale in quanto non previsto dalla legge, che è il decreto legislativo n. 81/2008.
Gli Accordi Stato Regioni possono precisare i contenuti di obblighi previsti dalla legge, ma non possono sostituirsi alla legge prevedendo obblighi o divieti del tutto estranei alla legge di riferimento che applicano.
Ora ai sensi dell’articolo 37 comma 2 del D.Lgs. n. 81/2008 gli Accordi Stato-Regioni regolano in maniera vincolante solo la formazione dei lavoratori: Articolo 37 – Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti
“1. Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a: a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza;
b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.
2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono definiti mediante Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo.”
Non vincolano invece la formazione di dirigenti e preposti di cui all’articolo 37, comma 7 del D. Lgs. N. 81/2008, per la quale non si fa menzione agli accordi, con libertà quindi del datore di lavoro di erogare una formazione diversamente modulata rispetto a quanto prevedono gli accordi citati; e sopratutto gli accordi non si applicano alla formazione in materia di antincendio e emergenze, per le quali l’articolo 37, comma 9, D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce una chiara riserva normativa a favore dello specifico decreto ministeriale in materia di antincendio, l’unico legittimato a stabilire i requisiti della formazione antincendio:
“9. I lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza devono ricevere un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico; in attesa dell’emanazione delle disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 46, continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’interno in data 10 marzo 1998, pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 81 del 7 aprile 1998, attuativo dell’articolo 13 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626”.
E gli Accordi Stato Regioni non si applicano neppure alla formazione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) per i quali l’articolo 37, comma 11, D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce una chiara riserva normativa a favore della contrattazione collettiva nazionale:
11. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale, […].
Dunque questo criticabile divieto di e-learning non si applica sicuramente alla formazione di dirigenti e preposti, nonché di addetti antincendio e gestione delle emergenze, né si applica agli addetti al primo soccorso, regolata dal D.M. 388/2003, e neanche ai RLS.
Utilizzare l’e-learning per essere in regola con la formazione obbligatoria sulle normative è una modalità sempre più diffusa, per gli evidenti vantaggi in termini organizzativi, di tempi e di costi. Purtroppo la maggior parte dei prodotti e-learning sul mercato si basa su vecchi modelli caratterizzati da slideshow animate, docenti in video che parlano per ore, grafica scadente.
La conseguenza? La parola e-learning viene spesso associata a noia, pesantezza, obbligo e la formazione online viene vissuta come un semplice escamotage per mettersi in regola.
Invece è necessario e possibile, anche applicando le regole di cui all’allegato II dell’Accordo sulla formazione del 2016, utilizzare un mix sapientemente dosato di linguaggi formativi e comunicativi differenti, come simulazioni televisive, vignette, visual thinking, cartoni animati, tutorial ad alto impatto grafico.
E l’offerta formativa incontra la domanda di formazione efficace ed adeguata se prima dei corsi si svolgono campagne di comunicazione per il coinvolgimento e la motivazione dei partecipanti.
Gli obiettivi dovrebbero essere:
– trasformare un “dovere” in un momento di grande coinvolgimento, consapevolezza, responsabilità;
– integrare la formazione sugli aspetti normativi con la formazione comportamentale, rendendo così decisamente più efficace l’impatto formativo;
– semplificare concetti complessi, rendendoli fruibili, chiari, memorizzabili.
Particolare interesse riveste il Mobile learning, ovvero la fruizione di contenuti educativi da dispositivi mobili come tablet e smartphone, un altro fenomeno in larga espansione. Le possibilità che questi strumenti offrono sono molteplici: lavorare in gruppo, condividere velocemente informazioni, personalizzare i propri percorsi didattici, in aula ma anche a casa.
Se i regolamenti frenano il progresso tecnico diventano inutili e dannosi, e temo che gli estensori degli accordi sulla formazione non si siano resi conto a sufficienza di questo rischio.
Va infine ricordata la Direttiva 6 agosto 2004 “Progetti formativi in modalità e-learning nelle pubbliche amministrazioni” e le allegate Linee guida con le quali da tempo si è giustamente promossa una corretta utilizzazione delle nuove metodologie e tecnologie nel campo della formazione a distanza (e-learning), fornendo alle pubbliche amministrazioni uno strumento che permetta di orientare la programmazione delle attività formative verso un più intenso utilizzo delle tecnologie per la formazione.
Il grande filosofo dell’ottocento Arthur Schopenhauer disse che “Ogni verità attraversa tre fasi. Prima viene ridicolizzata. Poi incontra una violenta opposizione. Infine viene accettata come palese”.
La maggior parte dell’ attività di e-learning si svolge negli Stati Uniti ed in altri paesi Europei come Gran Bretagna e Germania, dove siamo in piena terza fase, e una fortissima espansione è in corso in Asia. Si ha cioè l’accettazione palese di una tecnologia che fa risparmiare tempo e soldi. Tanto tempo e tanti soldi. E se ben fatta può garantire una effettiva crescita professionale dei formati.
In questi paesi ormai in tutti i settori produttivi si fa appello all’e-learning per effettuare un notevole risparmio sui costi, che diventa ancora maggiore quando le imprese fanno formazione in casa propria.
L’avvento e la diffusione capillare di dispositivi portatili tramite device di ultima generazione come l’iPad, il tablet della Apple, ha favorito anche la crescita di una nuova fetta di mercato: il mobile learning.
E in Italia a che punto siamo?
In molti settori siamo divisi tra la seconda e la terza fase. La prima, per fortuna, almeno in larga parte sembra essere passata. Ma non nel settore della formazione in materia di sicurezza sul lavoro. E’ vero, in Italia l’e-learning è stato preso con il piede sbagliato. Probabilmente la macchina e-learning ha dovuto fare i conti con quattro ostacoli tipici del Bel Paese:
– una radicata cultura popolare legata all’avversione verso le nuove tecnologie;
– l’assenza di infrastrutture tecnologiche adatte;
– l’abitudine a far nascere i progetti a livello universitario penalizzando la divulgazione e la sperimentazione sul campo da parte delle aziende;
– pensare di risolvere in un battibaleno tutti i problemi legati ai costi della formazione;
– molti corsi scadenti, male progettati, e informaticamente difettosi, con problemi sulla verifica dell’apprendimento.
Quindi, l’e-learning in Italia, in molti casi, è stato prima ridicolizzato, poi spolpato (troppo velocemente e in maniera sbagliata) ed infine abbandonato. E’ stato bocciato. Quante volte ci siamo sentiti dire “Si, l’ho provato, ma non funziona” o “Abbiamo avuto un sacco di problemi, con l’e-learning” o ancora “Abbiamo iniziato, ma la persona che se ne occupava non lavora più qui”.
Quando abbiamo cominciato a sentire parlare di e-learning molte aziende non sapevano nemmeno cosa fosse (beh a ben pensarci forse – purtroppo – le cose non sono molto cambiate). Troppo spesso infatti, anche oggi gli occhi con cui ti guardano molti (troppi) manager italiani quando parli di e-learning sono gli occhi dubbiosi di un’Italia ferma sulle gambe, che ha difficoltà a camminare, figurarsi a correre. Eppure l’e-learning potrebbe essere prezioso per molte imprese.
Nell’«e-Learning Action Plan» la Comunità Europea propone una definizione che più di ogni altra rappresenta la complessa evoluzione dell’e-learning, coniugando efficacemente la dimensione tecnologica (nuove tecnologie multimediali e Internet), con diversi approcci metodologici (accesso all’informazione, condivisione e collaborazione).
Secondo la CE, infatti, per “e-learning” si intende: «l’uso delle nuove tecnologie multimediali e di Internet per migliorare la qualità dell’apprendimento facilitando l’accesso a risorse e servizi e favorendo sia la condivisione a distanza di informazione, sia la collaborazione.»
Questa definizione, sebbene risalga al 2001, è forse la più rappresentativa del concetto di e-learning, della sua pluridimensionalità e della sua storia.
Scrive Serena Alvino: “le recenti innovazioni tecnologiche e telematiche, in particolare del Web 2.0, hanno portato negli ultimi anni ad un’evoluzione del concetto di e-learning verso le nuove modalità dell’e-learning 2.0. In questa nuova prospettiva, gli strumenti del Web 2.0 affiancano gli strumenti tradizionalmente utilizzati nell’e-learning e la filosofia Web 2.0, caratterizzata da una forte dimensione sociale, dalla condivisione tra pari, dall’autorialità del singolo nella Rete, permea i metodi e le tecniche di apprendimento sfumando i confini tra formale ed informale” e conclude in un modo pienamente condivisibile: “qualsiasi sia la modalità attraverso la quale l’e-learning viene sviluppato, è importante tenere presente che la tecnologia non costituisce una soluzione universale, ma un mezzo che dà la possibilità di realizzare ciò che la teoria didattica in quanto scienza ha progettato; seguire gli sviluppi della tecnologia non è quindi importante in sé e per sé, ma per poter attivare processi didattici che non sarebbero ipotizzabili prescindendo dall’innovazione tecnologica”.
Rolando Dubini
avvocato in Milano
Fonti: Dubini, Puntosicuro.it