Le misure di prevenzione infortuni vanno adattate in ragione del mutamento delle condizioni di svolgimento delle singole mansioni, secondo un concetto “dinamico” del rischio che impone un aggiornamento ogni qual volta intervenga un rischio nuovo.

È una sorta di rassegna delle principali sentenze che la Corte di Cassazione ha emanate con riferimento agli adempimenti a carico della figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e alla sua responsabilità o meno, sia pure in concorso con il datore di lavoro, per l’infortunio del lavoratore di una azienda nella quale presta la sua attività professionale, buona parte delle quali già pubblicate e commentate su questo stesso sito. Nella circostanza di cui alla sentenza in commento la suprema Corte ha ricordato e ribadito in particolare che le misure atte a prevenire il rischio di infortuni vanno individuate in ragione delle peculiarità della sede di lavoro e progressivamente adattate in ragione del mutamento delle complessive condizioni di svolgimento delle singole mansioni, secondo un concetto “dinamico” del rischio, che impone l’adeguamento degli strumenti di protezione e l’aggiornamento della formazione ed informazione del lavoratore, ogni qual volta intervenga un rischio nuovo rispetto a quello originariamente previsto.

Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha ricordato ancora la suprema Corte in un’altra sentenza, benché privo di potere decisionale, risponde, in quanto consulente del datore di lavoro, di un evento infortunistico in concorso con esso solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate e può essere inoltre ritenuto responsabile, anche in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avesse fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro stesso, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione. Il RSPP, ha rimarcato in un’altra occasione, svolge una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti, fermo restando comunque che è sempre il datore di lavoro tenuto direttamente ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio.

Nel caso in esame, in particolare, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, condannato nei due primi gradi di giudizio, è ricorso alla Corte di Cassazione basando la sua difesa sul fatto che l’evento infortunistico, avvenuto presso parti meccaniche di un forno industriale prive delle necessarie protezioni, si era verificato per un difetto di manutenzione subentrato e non presente quindi al momento della valutazione dei rischi e della redazione del DVR e per colpa pertanto del datore di lavoro che non era intervenuto a porre un rimedio. La suprema Corte però, richiamando i principi sopra indicati e tutti consolidati nella giurisprudenza di legittimità, ha rigettato il ricorso stesso ritenendolo infondato e ha pertanto condannato l’imputato al pagamento delle spese processuali.

Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha ridotto a 200 euro di multa la pena inflitta nei confronti del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell’unità produttiva di un’azienda, in relazione al reato di cui all’art. 113 c.p. e art. 590 c.p., commi 2 e 3, in quanto, in concorso con il datore di lavoro della stessa (giudicato separatamente), con colpa specifica consistita nella violazione della normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, nello specifico dell’art. 71, comma 1, art. 70, comma 2, e 28, comma 2, lett. a) del D. Lgs. n. 81 del 2008, omettendo, nonostante ripetute segnalazioni, di operare la corretta manutenzione di un forno ed in particolare sullo scorrimento di una catenaria che si avvolge sulla puleggia nonché di predisporre adeguati strumenti protettivi idonei a prevenire rischi di contatto con parti meccaniche del macchinario da parte dei lavoratori nonché omettendo di prevedere una valutazione dei rischi specifica in relazione alla procedura di lavoro e alle operazioni di manutenzione/riparazione della macchina, cagionava a un lavoratore lesioni personali gravi consistite nell’amputazione della falange distale del dito indice della mano sinistra e in fratture e lacerazioni delle altre dita.

In ordine alla ricostruzione dei fatti, l’ispettore dello Spresal, aveva riferito di aver eseguito un accesso subito dopo l’infortunio occorso al lavoratore sulla linea di lavorazione presso lo stabilimento della ditta. Il lavoratore, accortosi dell’uscita dal supporto della catena che traslava le teglie calde, aveva cercato di rimetterla nella sede sollevandola, ma, avendo i guanti calzati, uno di essi era rimasto impigliato determinando l’amputazione della falange, distale del dito indice nonché fratture e lacerazioni di altre dita.

Il macchinario era costituito da rulli sui quali scorrevano le teglie appena uscite dal forno e da due catene, che, sollevandole, traslavano le teglie lateralmente. Da tempo una catena usciva frequentemente dal pignone di trascinamento, inconveniente segnalato agli addetti alla manutenzione e al direttore di stabilimento mediante varie e-mail. Il lavoratore infortunato, operaio esperto, aveva frequentato i corsi di formazione organizzati periodicamente; aveva affermato di aver premuto tardivamente il pulsante rosso di emergenza del macchinario in occasione dell’infortunio e di avere eseguito, come da prassi, in qualità di capoturno, l’intervento manutentivo di tipo tecnico in assenza di una disposizione contenente la previsione dell’attivazione della manutenzione. Il RSPP, esterno all’azienda, da parte sua aveva dichiarato di aver svolto attività di formazione e dei sopralluoghi; aveva dichiarato, altresì, che la catena era scarrucolata, perché le guide erano consumate e che, al momento del suo sopralluogo, il paracatene era presente ed i vassoi avanzavano normalmente e si spostavano, ma che era comunque impossibile inserire le mani all’interno e che, non avendo autonomia di spesa, poteva solo suggerire i rimedi. Il RSPP aveva redatto il DVR mentre l’azienda aveva predisposto le misure. tecniche ed organizzative in generale.

Lo stesso aveva ammesso altresì di non aver elaborato un documento ex novo e di essere stato informato delle segnalazioni, ma non del meccanismo adoperato per tirare su la catena. Aveva riferito, inoltre, di avere sottolineato alcune criticità di quell’impianto ma non quelle relative alla catena poiché aveva visto il paracatene nel suo posto, per cui, a suo dire, era impossibile mettere le mani all’interno. Il lavoratore infortunato aveva riferito allo Spresal che l’evenienza della fuoriuscita della catena dalla sede principale era usuale e che per rimetterla in sede occorreva spegnere la macchina e che, per agire velocemente, come facevano i colleghi, la sistemava in movimento. Tale tipo di intervento, peraltro, non era disciplinato da procedure.

L’ispettore dello Spresal aveva riferito inoltre che nel DVR difettava la previsione specifica del rischio inerente una manutenzione della catenaria e che non era stato elaborato un nuovo DVR, contenente la specifica valutazione del detto rischio e dei “rischi inerenti alla manutenzione. L’omessa valutazione del rischio aveva quindi determinato l’infortunio e la mancanza di poteri gestionali o di spesa del RSPP era irrilevante, essendogli. stata imputata l’omessa previsione del rischio nel DVR che aveva collaborato a predisporre.

Il ricorso per cassazione e le motivazioni.

Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza di condann della Corte di appello per violazione degli artt. 18, 28, 70 e 71 del D. Lgs. n. 81 del 2008. Lo stesso ha basato la sua difesa sul fatto che il lavoro su un macchinario i cui dispositivi di sicurezza sono usurati, malfunzionanti o rotti non costituisce una attività su cui deve essere espletata una valutazione del rischio, in quanto la messa a disposizione di un’attrezzatura in siffatte condizioni di sicurezza è vietata. La valutazione del rischio contenuta nel DVR, pertanto, deve essere quella relativa ai rischi a cui è esposto il lavoratore nonostante la presenza ed il corretto funzionamento dei sistemi di sicurezza, non potendosi adibire lavoratori ad un macchinario privo dei requisiti imposti dagli artt. 70 e 71 del D. Lgs. n. 81 del 2008. La verificata consunzione del dispositivo di sicurezza rappresentato dal guidacatena imponeva l’immediato ripristino del sistema di sicurezza stessa, senza incorrere. nella violazione della normativa in. tema di salute e sicurezza dei lavoratori, cosicché la valutazione asseritamente omessa riguardava un rischio già oggetto della valutazione del legislatore.

L’addebito per la mancata previsione nel DVR non appariva altresì corretto secondo il ricorrente. Ai sensi dell’art. 18 del D. Lgs. n. 81 del 2008, infatti. la valutazione dei rischi costituisce un obbligo non delegabile del datore di lavoro, spettando al RSPP un ruolo di collaborazione tecnica nell’individuazione del rischio e nel suggerimento dei presidi per ovviarvi. Il rischio che aveva portato all’infortunio si era creato a seguito del malfunzionamento del sistema di sicurezza, per cui il RSPP non poteva rilevarlo al momento della valutazione del rischio. Questi, infatti, quale consulente tecnico del datore di lavoro, deve rilevare l’eventuale insufficienza del guidacatene come riparo per il lavoratore mentre spetta al solo datore di lavoro garantirne l’efficienza. Il guidacatene quindi costituiva un valido riparo cosicché, correttamente, non aveva individuato rischi specifici; ii malfunzionamento costituiva un problema di efficienza dell’attrezzatura, il cui controllo è posto dalla legge a carico del datore di lavoro.

Peraltro, l’imputato non era stato coinvolto nella gestione e nella soluzione dei problemi di manutenzione e, infatti, non era stato informato del malfunzionamento e della necessità di intervenire sul guidacatene. Aveva svolto con diligenza il suo ruolo, effettuando sopralluoghi in stabilimento, per valutare l’eventuale presenza di criticità e per suggerire soluzioni idonee a migliorare le condizioni di sicurezza. Non aveva potuto rilevare rischi specifici attesa la presenza al momento del sopralluogo di un sistema di sicurezza efficiente; aveva inoltre elaborato ed inviato all’azienda un documento contenente segnalazioni di criticità, riguardanti l’esposizione di organi di movimento nella zona dell’infortunio e la necessità di revisionare il macchinario con l’inserimento di protezioni. Il RSPP non risponde del mancato rispetto in fase esecutiva delle misure precauzionali da parte del datore di lavoro, cosicché l’utilizzo di un macchinario con misura precauzionale usurata è imputabile al solo datore di lavoro.

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato ritenuto infondato da parte della Corte di Cassazione che ha richiamato nell’occasione una serie di concetti già espressi in giurisprudenza in merito agli adempimenti di sicurezza posti a carico degli RSPP. In materia di infortuni sul lavoro come è noto, ha sostenuto la stessa, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto consulente del datore di lavoro, privo di potere decisionale, risponde dell’evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate come evidenziato nella sentenza della Sezione IV n. 49761 del 9 dicembre 2019, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Sulla non responsabilità di un RSPP per l’infortunio”.

Il RSPP, inoltre, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che sì verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha ricordato ancora, può essere ritenuto responsabile, anche in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione, come già sostenuto dalla Corte suprema nella sentenza della Sezione IV n. 24822 del 25 giugno 2021, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Sulla responsabilità per l’infortunio di un ospite di un albergo”.


Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha ancora rammentato la Corte di Cassazione, svolge una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti, sicché il datore di lavoro, è sempre direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio e ha citato in merito la sentenza della Sezione IV n. 50605 del 16 dicembre 2013, pubblicata e commentata nell’articolo nell’articolo “Sui limiti dei poteri e delle responsabilità del RSPP e del delegato”.

In questa prospettiva, quindi, la figura del RSPP, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, può, in misura concorrente, essere ritenuta responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che essa avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione.

Ciò premesso in merito ai principi operanti in materia, la lettura offerta dalla Corte di Appello dell’intera vicenda fattuale è sostenuta da una motivazione che ne evidenzia efficacemente le chiavi interpretative. Il ricorrente aveva attribuita la problematica ad un mero difetto del macchinario, mentre, a fronte della prassi invalsa nell’azienda di intervenire manualmente per risolvere la problematica (anche a macchinario acceso), avrebbe dovuto almeno prospettare l’esigenza di redigere un nuovo ed aggiornato DVR, al fine di adeguare i dispositivi di protezione applicati ai macchinari e di fronteggiare il mutamento delle difficoltà di lavoro connesse ad un guasto della strumentazione sopravvenuto ma noto da tempo. Peraltro, nel DVR era erroneamente indicata la presenza all’interno del macchinario di dispositivi di protezione individuale, che, al contrario, erano del tutto inesistenti.

Le misure atte a prevenire il rischio di infortuni”, ha così concluso la suprema Corte, “vanno individuate in ragione delle peculiarità della sede di lavoro e progressivamente adattate in ragione del mutamento delle complessive condizioni di svolgimento delle singole mansioni, secondo un concetto “dinamico” del rischio, che impone l’adeguamento degli strumenti di protezione e l’aggiornamento della formazione ed informazione del lavoratore, ogni qual volta intervenga un rischio nuovo rispetto a quello originariamente previsto” come già sostenuto dalla stessa Corte nella sentenza della Sezione IV n. 4706 del 31 gennaio 2017, pubblicata e commentata nell’articolo “Il concetto dinamico del rischio e l’adeguamento del DVR”.

Per le ragioni sopra esposte la Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso e, a seguito dello stesso, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 49300 del 12 dicembre 2023 (u.p. 6 dicembre 2023) – Pres. Ferranti – Est. Esposito – P.M. Salvadori – Ric. omissis. – Le misure di prevenzione infortuni vanno adattate in ragione del mutamento dellcondizioni di svolgimento delle singole mansioni, secondo un concetto “dinamico” del rischio che impone un aggiornamento ogni qual volta intervenga un rischio nuovo.

Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it