Riflessioni sul nuovo Accordo Stato-Regioni e sul fatto che una efficace prevenzione in materia di salute e sicurezza richiederebbe anche un’educazione dei lavoratori alla capacità decisionale.

È importante affrontare le importanti novità del nuovo Accordo Stato-Regioni del 17 aprile 2025 in materia di formazione cercando di cogliere anche gli aspetti che, per quanto rilevanti, la norma, l’accordo non coglie o non affronta.

A parlarne – sottolineando come, oltre alla informazione e formazione, sia fondamentale introdurre il concetto di “educazione” dei lavoratori connesso alle loro capacità decisionali autonome – è un nuovo contributo di Alessandro Mazzeranghi, intitolato “Informazione, formazione ed “educazione”: obiettivi da condividere”.

Un contributo che per la sua lunghezza e per la sua rilevanza abbiamo deciso di suddividere in due parti.

In questa prima parte viene fatta una introduzione ricca di spunti ed esempi che cerca di raccontare come all’informazione e formazione si debbano affiancare altri “insegnamenti” per portare alla capacità di assumere responsabilità decisionali.

La seconda parte, che pubblicheremo nei prossimi giorni, entra proprio nel vivo di questo ragionamento proponendo le fasi necessarie per prendere decisioni autonome in materia di sicurezza sul lavoro.

Buona lettura

Informazione, formazione ed “educazione”: obiettivi da condividere – prima parte

Si discute parecchio, in questi giorni, sull’accordo stato-regioni (ASR) sulla formazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza (SSL).

Io credo che ci sia un aspetto fondamentale che non viene citato. E mi baso su 30 anni di esperienza sul campo, e anche su un vasto vissuto da perito. Anticipo l’aspetto: quella che nel titolo ho denominato “educazione”.

L’originalità di pensiero dell’essere umano è l’elemento che distingue una persona da una AI, e che ad oggi non mi pare nessuno riesca a replicare in ambito informatico; anche perché ogni persona apporta un contributo che spesso deriva dal suo vissuto non strettamente lavorativo, o che comunque estrapola concetti ed idee sulla base di processi per analogia o semplicemente induttivi [1].

Principio di base: la miglior SSL possibile è un diritto dei lavoratori

Torniamo a informazione e formazione

Un piccolo esempio personale

Ma tutto ciò è sufficiente per fare prevenzione?

Insegnare a decidere

PRINCIPIO DI BASE: la miglior SSL possibile è un diritto dei lavoratori

È bene partire da questo assunto che si traduce, per esempio, nella cura della sicurezza delle attrezzature, così come nella definizione e nella diffusione del modo più sicuro di utilizzarle, stante la constatazione che non potremo avere una industria esente da rischi residui che devono risultare pienamente controllabili con i corretti modi di lavoro.

Detto ciò, nessuno nega il diritto, morale e legale, alla SSL migliore possibile; i lavoratori dovrebbero ribellarsi se l’azienda non si spende in tal senso! Non sono per nulla contrario agli scioperi mirati a mettere in luce specifiche mancanze di SSL in una specifica industria; amo meno gli scioperi generali che ribadiscono concetti più che legittimi ma tanto “generali” tanto da non portare alcun valore conoscitivo aggiunto: quindi possono essere visti come espressione di una esigenza diffusa, ma temo che incidano assai poco sulla coscienza delle aziende.

Ma, posti gli interessi non del tutto coincidenti fra aziende e lavoratori, resta il fatto oggettivo che la cura della SSL è un obbligo di legge. Dunque, nel considerarlo ineludibile, credo che qualunque azienda voglia “spendere” parte dell’utile di fonte a un ritorno concreto in termini di:

  • Prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali.
  • Tutela della continuità di business.
  • Realizzazione di un qualcosa che crei una prima linea difensiva per il management, nel malaugurato caso di eventi negativi.

Torniamo a informazione e formazione

Provo ad azzardare le definizioni che uso nella mia testa, questo anche per rendere conto della conclusione che esporrò in questo scritto:

–        Informazione: dire agli esposti quali sono i rischi residui che li riguardano, e quali le misure comportamentali di controllo di tali rischi da adottare.

–        Formazione: approfondire, sempre per i rischi residui, il collegamento (fisico, fisiologico ecc.) che lega una determinata causa ad un preciso effetto, e quindi dare evidenza della genesi delle misure di prevenzione dei rischi residui.

Il nuovo ASR indiscutibilmente passa da un approccio generalista ad uno basato sulla realtà aziendale, e impone anche una validazione del percorso; non posso che aderire in pieno a questa visione volta a garantire che le misure comportamentali di sicurezza non siano viste come risposta ad un obbligo imposto, ma piuttosto come modo di auto – tutela opportuno stante il collegamento fra causa ed effetto che dovrebbe convincere della validità dei comportamenti prescritti o stimolare suggerimenti di miglioramento degli stessi.

Che dire? Mi pare davvero un passo avanti nella interiorizzazione, da parte dei lavoratori, delle misure pensate per la loro sicurezza; rimarco l’importanza del confronto e la conseguente opportunità di miglioramento.

Certo tutta la attività prevista dall’ASR deve diventare patrimonio aziendale condiviso … compresi gli eventuali esiti non del tutto soddisfacenti.

Un piccolo esempio personale

Parliamo di rumore e danni per l’udito. Io posso misurare il rumore presente in una certa posizione di lavoro, qualcuno più esperto di me (la legge o il medico competente), può dirmi se il livello misurato richiede interventi di protezione collettiva (insonorizzazione) e/o individuale (DPI); ma, parlando per me stesso, quanto capisco il problema nella sua completezza fisica e fisiologica?

Vi posso dire che sul versante della fisica ho maturato, quando facevo il Dottorato di Ricerca, una certa competenza, sul versante fisiologico invece il fenomeno è del tipo SI/NO, ma ho difficoltà a seguire seriamente tutto il percorso; e se io mi occupo di SSL di mestiere, cosa posso pretendere da un lavoratore? Una considerazione basata più su impressioni personali, e questo è il motivo per cui i DPI prescritti non sono sempre graditi ma vengono, da alcuni, considerati una sorta di imposizione arbitraria. E stiamo parlando di un tema che è stato trattato ancor prima del 1990, quindi quasi 40 anni orsono.

Cambiare il paradigma della formazione è quindi giustissimo anzi, secondo, me indispensabile!

Ma tutto ciò è sufficiente per fare prevenzione?

Direi che possiamo istituire una catena logica fra vari obblighi a carico della azienda:

DVR > rischi > misure tecniche > rischi residui > misure di controllo dei rischi residui > informazione & formazione [progettazione > erogazione > eventuale miglioramento > condivisione > validazione (verifica)]

Purtroppo la risposta è NO, tutto ciò non è sufficiente, e provo a spiegare perché la vedo così.

Una doverosa premessa: molte considerazioni che farò derivano dalla mia particolare passione (tecnica, tecnologica e organizzativa) per il tema della manutenzione, oggi indiscutibilmente sottovalutato dalle aziende e, in tema di SSL, anche dai lavoratori. Credo che si possa affermare che ho preso conoscenza dell’ importanza della manutenzione quando ho progettato, erogato, per la parte di mia competenza (poca), e validato la formazione sui lavori elettrici della seconda azienda produttrice di energia elettrica nazionale (di allora, oggi non è neanche più di proprietà italiana); chi conosce il settore può facilmente capire a chi mi riferisco.

Bene, in quella occasione formativa che avevo pensato di assegnare a collaboratori esperti (teoricamente e praticamente) della materia elettrica, un dirigente mi portò a comprendere, tramite il suo proprio esempio,  quanto fossero invece importanti gli aspetti formativi legati alla complessità della persona umana e alla crescita dei lavoratori secondo un criterio trasversale a tutte le discipline afferenti a produttività, sicurezza, capacità di operare in (relativa) autonomia le scelte necessarie, senza contare sempre sull’apporto decisionale della struttura aziendale.

Non che io avessi chissà quali capacità, solo che la “contiguità” con il dirigente, di cui dicevo, mi indirizzò ad approfondire, da autodidatta, argomenti che non avevo del tutto chiari.

La questione, vista sotto un profilo aziendale, è che il giusto grado di autonomia snellisce i processi decisionali e velocizza la messa in atto di soluzioni ottimali; questo a tutto vantaggio del sovraccarico decisionale che altrimenti confluisce nella dirigenza.

Soluzioni ottimali a patto che si parta da una visione operativa condivisa; qualche amico manager eccepirebbe a quanto ho affermato, preferendo esasperare il concetto di controllo accentrato, diretto e preliminare su ogni decisione non pre – codificata.

Io, spinto dalla possibilità che persone non pronte prendano, inconsciamente, decisioni errate o non del tutto soddisfacenti, senza rendersi conto dei problemi associati, reputo che la capacità decisionale debba essere un elemento essenziale di ogni mansione lavorativa, ovviamente con dei limiti precisi.

Se qualcuno, per avere il pieno controllo, passa in azienda una settantina di ore alla settimana, e poi è disponibile su chiamata (telefonica) ad interloquire con i collaboratori di fronte ad ogni imprevisto, ebbene a mio avviso il sistema organizzativo presenta una criticità che in casi estremi può diventare paralizzante. Queste cose rovinano la salute del decisore e de – responsabilizzano i collaboratori ben oltre le loro capacità, che non possono mettere alla prova nella realtà dei fatti risultando così terribilmente incerti se una situazione critica non può aspettare una decisione dall’alto. Alcuni diventano come i bambini dell’asilo che devono chiedere sempre aiuto, e ordini concreti, alla maestra!

Prima di proseguire devo esprimere un concetto: una persona, qualunque persona, è completamente realizzata se vengono riconosciute e valorizzate concretamente le sue capacità; in caso contrario subisce una sorta di castrazione intellettuale che, dal mondo del lavoro, si può diffondere come una malattia nell’ambito ben più ampio dell’esistenza e del modo di affrontare la realtà.

Torno alla sicurezza: evidentemente il DVR vorrebbe esaminare e risolvere preventivamente tutte le situazioni di rischio. Direi anzi che questo è un concetto sotteso a molte disposizioni legislative. Ma allora come affrontiamo le situazioni impreviste (perché imprevedibili)?

Come avrete capito la manutenzione è l’attività che più si presta a situazioni mai pensate da nessuno, che necessitano di una decisione su come procedere; e su questo aspetto la tutela della sicurezza delle persone è sicuramente uno degli aspetti trainanti, al momento in cui si “disegna” una organizzazione.

Allora qui cambia il concetto di fondo: si passa dall’applicare regole note e che si capiscono sufficientemente nella loro concretezza (per merito della informazione e della formazione così come delineata dall’ASR), alla cosciente assunzione di responsabilità decisionali coscienti, ovvero basate su un ragionamento sufficientemente completo.

Insegnare a decidere

Non decidere, affidandosi ad altri di cui ci si fida, è sempre la soluzione più comoda, e meno responsabilizzante a livello personale. Quindi la prima obiezione da sfatare è: “io non sono stato formato per decidere riguardo alla mia e alla altrui sicurezza”; decidere è un aspetto essenziale della pienezza della persona, sempre nel rispetto dei suoi limiti oggettivi determinati da fattori che si sono dispiegati e radicati nel corso della vita individuale. È anche un elemento di vera presa di coscienza dei propri limiti, che non sono mancanze o difetti umani, ma che sono presenti in tutti.

Faccio un esempio vissuto da ragazzino quando si fece il referendum sul nucleare: è evidente che un elettore vota secondo le sue personali propensioni (decide di pancia), ma che in realtà affronta senza comprenderle appieno questioni complesse che tecnicamente sono di “proprietà” di pochi veri specialisti. Questo caso è proprio il quesito referendario meno adatto allo strumento perché le persone agiscono più per effetto della propaganda che per effetto della capacità di scelta. Un quesito sullo ius soli o su altre faccende di carattere prevalentemente sociale e morale ci trova più facilmente in grado di optare per una scelta cosciente, che solo a posteriori potrebbe risultare sbagliata (quale che sia); le regole della convivenza sono materia su cui praticamente tutti sono in grado di assumere una decisione cosciente, gli aspetti tecnici e organizzativi ci trovano invece spesso impreparati perché nessuno ci ha guidati nell’apprendimento di un percorso equilibrato e commisurato alle competenze acquisite.

– fine della prima parte –

La seconda parte del contributo sarà pubblicata nei prossimi giorni

Fonti: Puntosicuro.it, Alessandro Mazzeranghi

[1] Che la persona umana debba essere il centro dello sviluppo dell’umanità e della società, che non sia semplice risorsa ma soggetto da impiegare nella sua pienezza per il bene di tutti, non dovrebbe dircelo alcuna legge o linea guida; dovrebbe essere una combinazione fra valorizzazione dell’individuo, e di diritto naturale, quel diritto che ognuno di noi dovrebbe portare nel suo essere più intimo, e che ci dice di fare tutto il possibile per tutelare l’integrità fisica di ogni persona unitamente a quella integrità psicologica a cui io stesso, anni orsono, faticavo a pensare in relazione al mondo del lavoro.