I comportamenti del Committente da cui si desume (o meno) che si è “ingerito” nella realizzazione dell’opera, le responsabilità, le situazioni di fatto che favoriscono l’ingerenza: principi ed esempi dalle sentenze di Cassazione.
Il tema dell’ingerenza del Committente nell’organizzazione e nell’esecuzione dei lavori affidati a terzi è spesso – opportunamente – oggetto di riflessione e analisi da parte degli operatori della salute e sicurezza.
Vi sono casi in cui tale fenomeno, a fronte di situazioni concrete, è facilmente riconoscibile ed altri casi in cui, invece, la qualificazione di un comportamento del Committente come vera e propria ingerenza è di più difficile inquadramento.
In realtà, la riconduzione di una condotta o di un modus operandi del Committente alla categoria dell’ingerenza appartiene al mondo del diritto.
Si tratta infatti di un fenomeno che si produce nella realtà concreta ma la cui qualificazione, come sempre in questi casi, è prettamente giuridica.
Per questo motivo, date le importanti ricadute di tale qualificazione in termini di ricostruzione dei ruoli, degli obblighi e delle responsabilità penali in una materia delicata quale è quella degli appalti, occorre necessariamente confrontarsi con i criteri giuridici atti a definire in cosa consista (e in cosa non consista) l’ingerenza del Committente nonché a tracciare il perimetro di tale fenomeno distinguendolo così da comportamenti che potrebbero essere confusi con l’ingerenza ma che, secondo le categorie del diritto, non sono inquadrabili come tale.
Ciò per evitare di ragionare – parafrasando parole autorevoli, pur aventi ad oggetto un’altra materia – in termini di “tutto è ingerenza, niente è ingerenza”.
I criteri e principi giuridici che regolano l’ingerenza del Committente
Al fine di definire il fenomeno dell’ingerenza, le sue ricadute in termini di responsabilità penali (anche identificando il concetto di “ingerenza rilevante” ai fini della causazione di un evento) e il discrimine tra ingerenza e non-ingerenza del Committente, è utile partire dai principi espressi con grande chiarezza da una sentenza di questo mese (Cassazione Penale, Sez.IV, 6 dicembre 2021 n.44944), con cui la Corte ha confermato la condanna di vari soggetti per aver cagionato per colpa la morte di un minore.
La Cassazione premette che “il contratto d’appalto non solleva da precise e dirette responsabilità il committente allorché lo stesso assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell’opera; in tal caso, invero, anch’egli rimane destinatario degli obblighi assunti dall’appaltatore, e, dunque, anche di quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere”.
La Corte ricorda poi che “responsabile di eventuali infortuni, oltre all’imprenditore, è anche il committente che si ingerisca nell’esecuzione dei lavori (Sez.4, n.38824 del 17/09/2008, Raso e altri, Rv.241063; Sez.4, n.46383 del 06/11/2007, Grossi e altro, Rv.239338, la quale ha stabilito che, in tema di infortuni sul lavoro, nel caso in cui i lavori siano stati affidati in appalto, risponde, a garanzia della prevenzione infortunistica, anche il committente il quale si ingerisca nell’organizzazione del lavoro, così partecipando all’obbligo di controllare la sicurezza del cantiere. Nella fattispecie, si trattava di lavori sulla sede stradale e l’imputato era risultato concreto e operativo referente della ditta sub-appaltatrice dei lavori).”
Sotto il profilo dunque della responsabilità penale in caso di infortuni, “l’ingerenza, cioè, deve portare in sé lo stigma della causazione (nel concorrere, anche ed eventualmente, di altri fattori tra i quali pure la condotta illegittima dell’appaltatore) dell’evento di danno. Essa, pertanto, si risolve nell’istigare alla condotta illecita o nel determinarla.”
Partendo da tale assunto, “in definitiva, si concretizza in una ipotesi di concorso materiale nel reato, giacché contribuisce causalmente alla sua verificazione.”
La sentenza ricorda inoltre che “questa Corte ha già avuto modo di evidenziare come l’ingerenza rilevante ai fini della responsabilità del committente dei lavori non si identifichi con qualsiasi atto o comportamento posto in essere da quest’ultimo, ma deve consistere in una attività di concreta interferenza sul lavoro altrui tale da modificarne le modalità di svolgimento e da stabilire comunque con gli addetti ai lavori un rapporto idoneo ad influire sull’esecuzione degli stessi.”
Pertanto, “conclusivamente, sul punto, deve affermarsi il principio secondo il quale il committente risponde degli eventi di danno subiti dai dipendenti dell’appaltatore quando si sia ingerito nell’esecuzione della opera, e di ogni singola operazione di lavoro, mediante una condotta che, comunque, abbia implicato l’inosservanza delle norme di legge o di regolamento o prudenziali dettate, o comunemente seguite, a tutela degli addetti, esplicando così un ruolo sinergico nella produzione dell’evento di danno, configurandosi un’esclusione di responsabilità dell’appaltatore solo nel caso in cui al subappaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorché determinati e circoscritti, che, però, svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all’appaltatore, circostanza che non si verifica nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell’appaltatore dall’organizzazione del cantiere (Sez.4, n.5977 del 15/12/2005, dep.2006, Chimenti, Rv.233245).”
Ciò detto, al fine di verificare come si applichino tali principi nei singoli casi, vediamo qualche esempio concreto.
La (frequente) correlazione di fatto tra la mancata selezione dell’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e l’ingerenza del Committente (nel caso specifico: tramite le istruzioni fornite dal proprio personale all’appaltatore)
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 10 agosto 2010 n.31633, la Corte ha confermato la responsabilità del datore di lavoro (C.) di una S.p.a. esercente attività di costruzioni, di un suo direttore tecnico e di un capo cantiere della stessa, oltre che del datore di lavoro (D.N.) di un’impresa edile individuale, per il reato di omicidio colposo in danno di un lavoratore dipendente di quest’ultima ditta.
La dinamica dell’infortunio era stata la seguente: la vittima, che era l’unico operaio dell’impresa edile, “stava eseguendo con il suo datore di lavoro il posizionamento all’interno di uno scavo, profondo circa metri 2,00, in precedenza realizzato dalla stessa impresa, di un tubo di acciaio costituente una parte della nuova condotta dell’Acquedotto del ….”
Il lavoratore “si trovava in corrispondenza del punto in cui il tubo da collocare si sarebbe dovuto congiungere con altro tubo già posto in opera e dava indicazioni al D.N., il quale era alla guida di un escavatore che reggeva una benna allacciata all’altra estremità del tubo da sistemare. Ad un tratto, uno dei lati del muro di scavo era franato spingendo l’operaio dalle spalle, trascinandolo verso il basso e facendolo urtare con violenza contro il tubo che si stava posizionando.”
Dunque, la sentenza specifica che “il C., nella qualità di legale rappresentante della P. Costruzioni Spa e di firmatario del contratto con il D.N., era responsabile del verificarsi dell’evento mortale per avere affidato una parte importante dei lavori ad una impresa oggettivamente priva dei mezzi e della organizzazione necessari al fine di garantire il rispetto delle norme di protezione dell’incolumità dei lavoratori.”
A questo punto, la Cassazione sottolinea anche che “inoltre, la società committente aveva incaricato tale N.G., che era un operaio in pensione del Consorzio Acquedotti del … e che era presente al momento dell’incidente, di indicare al D.N. la posizione esatta dei tubi preesistenti per evitare rotture e sovrapposizioni. Il C., quindi, nella qualità di legale rappresentante della società committente, si era anche ingerito nella organizzazione del lavoro della Impresa D.N.”
Quanto al direttore di cantiere e al capo cantiere della S.p.a. committente, essi “avevano un obbligo di controllo ma avevano omesso di intervenire per interrompere i lavori che erano palesemente svolti in violazione delle norme di sicurezza. Essi quindi non avevano cooperato all’attuazione delle misure di prevenzione anche per l’ingerenza nell’organizzazione del lavoro della Ditta D.N.”
Responsabilità del Committente che ha suggerito alla ditta esterna l’uso del trabattello che è venuto a contatto con la fonte del pericolo, pur essendo consapevole dell’esistenza di una linea elettrica nell’area in cui doveva essere utilizzato. Morte di un lavoratore per folgorazione
Concludiamo questa breve (e necessariamente non esaustiva) disamina richiamando Cassazione Penale, Sez.IV, 7 giugno 2010 n.21511, che ha confermato la responsabilità per il reato di omicidio colposo del datore di lavoro (D.B.) della ditta R.E.S. di cui l’operaio (V.) vittima dell’infortunio era dipendente e del datore di lavoro (D.V.) della ditta F.S. all’interno del cui capannone si stavano eseguendo lavori di installazione di un impianto di climatizzazione.
In tale occasione l’operaio, mentre “stava spostando, per poter collocare all’esterno del capannone la tubazione del climatizzatore, un trabattello che urtava una linea elettrica di 20.000 Volt, posta nelle immediate vicinanze, rimaneva folgorato con conseguente decesso.”
Gli elementi di colpa a carico degli imputati consistevano nell’“avere omesso, con condotte autonome, di predisporre, trattandosi di lavori eseguiti in prossimità di linee elettriche e quindi da eseguire ad una distanza non minore di cinque metri, un’adeguata protezione atta ad evitare accidentali contatti o pericolosi avvicinamenti ai conduttori delle linee stesse” e nel “non avere liberato dal materiale di ingombro esistente sul piazzale le aree ove si svolgevano i citati lavori, onde consentire che potessero essere utilizzate facilmente in piena sicurezza senza che i lavoratori, operanti nelle vicinanze della linea elettrica, corressero alcun rischio.”
Era stato accertato che:
“a) la morte del V. è stata causata dalla scarica elettrica determinata dal contatto del trabattello con i cavi dell’alta tensione che correvano lungo il piazzale lato sud del capannone di proprietà della ditta “F.S.” ad una distanza inferiore ai cinque metri imposti dalla legge;
b) gli operai della ditta “E.R.” avevano sempre eseguito, indifferentemente, tanto il tragitto in direzione sud/est, quanto quello in direzione sud/ovest; il trabattello era stato sempre spostato ancora montato nonostante la presenza dei cavi elettrici.”
Accanto alla responsabilità del datore di lavoro della vittima, è stata confermata anche quella del D.V. dal momento che “i giudici del merito, in punto di fatto, hanno evidenziato, all’esito dell’acquisizione probatoria, che l’imputato non si è limitato a vietare agli operai della ditta E.R. l’uso di un muletto, ma anche suggerito l’uso del trabattello cioè del ponteggio mobile che in concreto è venuto a contatto con la fonte del pericolo, pur essendo consapevole dell’esistenza della linea elettrica che attraversava l’area all’interno della sua azienda dove era utilizzato il trabattello senza che la stessa fosse stata debitamente segnalata.”
La Cassazione ha confermato così la decisione della Corte d’Appello, ritenuta coerente rispetto “all’insegnamento del Supremo Collegio in punto di responsabilità per ingerenza, che va tenuto presente, sia pure considerando la peculiarità della fattispecie in esame, e secondo cui il committente risponde penalmente degli eventi dannosi comunque determinatisi, in ragione dell’attività di esecuzione svolta dall’appaltatore quando si sia ingerito nell’esecuzione dell’opera mediante una condotta che abbia determinato o concorso a determinare l’inosservanza di norme di legge, regolamento o prudenziali, poste a tutela dell’altrui incolumità.”
Fonti: Puntosicuro.it, olympus.uniurb.it, Anna Guardavilla (Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro)