La sentenza della Cassazione n. 42968 del 26 novembre 2024 sottolinea che, con riferimento all’art. 111 del D.Lgs. n. 81/2008, i dispositivi di protezione collettiva devono essere prioritari rispetto a quelli individuali

La complessa vicenda processuale che ha portato alla sentenza della Suprema Corte n. 42968/2024 riguarda la caduta mortale di un lavoratore della VVVV PRE Srl durante attività di cantiere, e il conseguente procedimento penale (simultaneo con quello per accertare la colpa organizzativa ex D. Lgs. n. 81/2008) volto a individuare responsabilità personali e societarie.

Il FattoLa fattispecie riguarda un incidente sul lavoro avvenuto presso un cantiere a Sant’Arcangelo di Romagna, dove un dipendente della VVVV cadde da un’altezza di circa sei metri mentre misurava travi in quota. Il lavoratore si trovava su una passerella larga 60 cm, raggiunta tramite una scala, ed era privo di dispositivi anticaduta, obbligatori secondo l’art. 115 del D.Lgs. n. 81/2008. La VVVV era subappaltatrice della SSS COS Spa per lavori edili complessi. Le indagini accertarono che il datore di lavoro (A.A.), il dirigente della VVVV (B.B.), e il direttore tecnico della SSS COS (C.C.) non avevano predisposto né sistemi di protezione individuale né collettiva per garantire la sicurezza dei lavoratori in quota. La Corte d’Appello di Bologna aveva inizialmente condannato i tre soggetti per omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme di prevenzione infortuni, riconoscendo inoltre la responsabilità amministrativa della VVVV ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Quest’ultima si era resa colpevole di aver omesso le misure preventive richieste, agendo in tal senso omissivo per risparmiare tempo e risorse economiche: <<i giudici di merito erano stati concordi nell’affermare la responsabilità penale degli imputati in relazione ai profili di colpa omissiva specificamente individuati nel capo di accusa: quanto al A.A. e al B.B. (rispettivamente, datore di lavoro e dirigente della VVVV, società subappaltatrice dei lavori), in relazione alla mancata predisposizione del “previsto sistema di protezione individuale per consentire al lavoratore di ancorarsi durante il lavoro in quota”, ovvero degli “elementi di fissaggio e fune di trattenuta alla quale assicurare l’imbragatura che gli operai in quota avrebbero dovuto indossare” ai sensi dell’art. 115, comma 3, D.Lgs. n. 81 del 2008. Quanto al C.C., direttore tecnico della appaltatrice SSS COS, la “doppia conforme” di condanna aveva fatto riferimento alle contestazioni relative alla omessa verifica della presenza dei dispositivi “linea vita” sugli elementi prefabbricati, nonché alla mancata adozione di provvedimenti nei confronti della subappaltatrice VVVV (oltre che alla omessa informativa al coordinatore). I giudici di merito avevano poi ritenuto, altrettanto concordemente, che la V. fosse responsabile in via amministrativa, con riferimento a quanto compendiato nel capo di accusa, ai sensi degli artt. 5 e 6 del decreto 231 (commissione del reato di omicidio colposo nel suo interesse e a suo vantaggio, avendo gli imputati omesso di adottare le misure previste dalla legge allo scopo di eseguire i lavori in modo più rapido e meno costoso, in assenza dell’adozione dei modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati quale quello verificatosi)>>.

Il Primo Ricorso in Cassazione
A seguito delle condanne di primo grado e d’appello, la VVVV e A.A. proposero ricorso per Cassazione. La Quarta Sezione della Corte di Cassazione annullò la sentenza d’appello (sentenza n. 24908/2021), disponendo il rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bologna, evidenziando due questioni centrali:
Errore di interpretazione dell’art. 111 del D.Lgs. n. 81/2008 – La norma impone che i dispositivi di protezione collettiva (ad esempio, piattaforme elevatrici) siano prioritari rispetto a quelli individuali. I giudici di merito avevano invece basato le condanne esclusivamente sull’assenza di dispositivi individuali, trascurando l’analisi dell’effettiva predisposizione di piattaforme elevatrici, attrezzature che svolgono anche la funzione di misure di protezione collettiva adottate nel cantiere.
Necessità di verificare il nesso causale – La Cassazione sottolineò che il giudice di rinvio avrebbe dovuto analizzare se l’omissione delle misure di sicurezza contestate fosse direttamente collegata all’evento mortale.
 
In particolare: <>.
 
La sentenza rescindente aveva per un verso osservato:
che “compito del giudice di merito era, dunque, in primo luogo, stabilire quale fosse la misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro, onde verificare se in tale scelta il datore si fosse attenuto ai criteri indicati dalla norma la cui violazione gli era contestata. Le sentenze dei due gradi di merito hanno, invece, sviluppato in via prioritaria la questione inerente alla carenza di dispositivi di sicurezza individuale come se la norma contestata (art. 111, comma 1 lett. a) fornisse un criterio di scelta del tutto opposto a quello desumibile dal tenore letterale della disposizione” (pag. 9, cit.).
che “in secondo luogo, era compito del giudice di merito verificare se, in relazione al tipo di sistema di protezione prescelto e alla attrezzature adottate, il datore avesse correttamente individuato e fornito gli strumenti idonei a minimizzare i rischi per i lavoratori contro le cadute”; tuttavia, si era criticamente osservato, “la Corte territoriale, in linea con l’impostazione seguita nella sentenza di primo grado, non si è attenuta allo schema logico-motivazionale indicato e la pronuncia risulta viziata per aver incentrato il giudizio circa la violazione da parte del datore di lavoro della regola cautelare idonea a prevenire il rischio poi concretizzatosi sulla assenza di dispositivi di protezione individuale, quali sono le linee vita, senza avere, in primo luogo, esaminato se la predisposizione delle piattaforme elevatrici, strumento di protezione collettiva, fosse la scelta privilegiata nel caso concreto per consentire al lavoratore di operare in condizioni di massima sicurezza” (pag. 9-10 della sentenza rescindente).
 
Il Giudizio di Rinvio
Nel nuovo giudizio, la Corte d’Appello da un lato ha preso atto degli esiti della perizia disposta a seguito della sopravvenuta incapacità del A.A., dichiarando non doversi procedere nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 72-bis cod. proc. pen., per il carattere irreversibile dell’incapacità stessa, e dall’altro confermato la responsabilità amministrativa della VVVV, riducendo però la sanzione pecuniaria da 40.000 a 30.000 euro.
Tuttavia, questa decisione ignorò il principio vincolante stabilito dalla Cassazione. In particolare:
Mancato rispetto delle indicazioni rescindenti – La Corte felsinea non effettuò la valutazione sulla priorità e sull’idoneità delle misure di protezione collettiva, come richiesto dalla Cassazione, basando nuovamente la decisione sull’assenza di dispositivi individuali.
Valorizzazione impropria di giudicati preesistenti – La Corte d’Appello utilizzò le condanne già passate in giudicato di B.B. e C.C. come “primo titolo autonomo” per confermare la responsabilità della VVVV, senza riconsiderare le loro posizioni alla luce dell’annullamento.
Omessa citazione dei coimputati non ricorrenti – Secondo l’art. 627, comma 5, c.p.p., in caso di annullamento che giovi anche a coimputati non ricorrenti, questi devono essere citati nel giudizio di rinvio. La Corte non convocò né B.B. né C.C., privandoli del diritto a una rivalutazione delle loro responsabilità.
 
La Seconda Decisione della Cassazione
Con la sentenza n. 42968/2024, a seguito di ricorso della società la Suprema Corte ha nuovamente annullato la decisione d’appello per molteplici ragioni:
Violazione dell’art. 627 c.p.p. – Il giudice di rinvio non si attenne ai principi stabiliti nella sentenza rescindente, adottando un percorso argomentativo autonomo e improprio. La Cassazione ha ribadito che il giudice di rinvio è vincolato ai criteri stabiliti in sede rescindente, anche qualora essi confliggano con nuove interpretazioni giurisprudenziali.
Svalutazione del principio della protezione collettiva – La Corte territoriale ignorò l’indicazione secondo cui i dispositivi collettivi devono essere prioritari rispetto a quelli individuali, mancando di verificare se la piattaforma elevatrice presente in cantiere fosse adeguata e se l’omessa formazione sul suo utilizzo fosse causa dell’incidente.
Omessa instaurazione del contraddittorio – Il mancato coinvolgimento di B.B. e C.C. in giudizio ha impedito una piena rivalutazione delle loro posizioni, violando il diritto di difesa.
 
Conclusioni
La Cassazione ha annullato la sentenza e disposto un nuovo rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, evidenziando la necessità di:
Rispettare il principio di diritto già stabilito in sede rescindente;
Rivalutare le prove alla luce del principio della protezione collettiva;
Integrare il contraddittorio citando i coimputati non ricorrenti.
 
Questo caso rappresenta un esempio rilevante dell’importanza del rispetto delle regole procedurali che tutelano i diritti di tutti gli imputati, anche non ricorrenti, e della corretta applicazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, che richiedono un’analisi approfondita delle misure preventive adottate e del loro impatto sul rischio infortunistico. Il doppio annullamento di una sentenza della Corte d’Appello è un evento piuttosto raro.
 
 
NB: Per il dettaglio della pronuncia della Corte di Cassazione si rimanda al testo integrale della sentenza inserita in Banca Dati.
 
 

Scarica la sentenza di riferimento:
Corte di Cassazione Penale, Sez. 3 – Sentenza n. 42968 del 26 novembre 2024 – Priorità delle misure di protezione collettiva su quelle di protezione individuale.

fonti: Olympus .uniurb.it, Puntosicuro.it, Rolando Dubini(penalista Foro di Milano, cassazionista)