
In che termini e con quali verifiche preliminari e successive deve essere garantita ai lavoratori stranieri una formazione sufficiente e adeguata alla luce del D.Lgs.81/08, dell’Accordo 17 aprile 2025 e della giurisprudenza di Cassazione.
Come noto, l’ Accordo Stato-Regioni 17 aprile 2025 ha valorizzato in più punti l’aspetto relativo all’esigenza di comprensibilità della formazione rivolta ai lavoratori stranieri.
Nel fare questo, con tale Accordo la Conferenza Stato-Regioni ha dato attuazione alla norma primaria contenuta nell’articolo 37 comma 13 del D.Lgs.81/08, che – sin dal 2008 – prevede che “il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro.”
Inoltre – prosegue la medesima disposizione – “ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.”
Da notarsi, anzitutto, il fatto che tale attività di verifica preliminare ha ad oggetto non solo la “comprensione” della lingua – quale strumento di comunicazione utilizzato da terzi soggetti nei confronti del lavoratore – ma anche la “conoscenza” della lingua stessa da parte del lavoratore, che è concetto assai più ampio e complesso, implicante non solo la capacità di decodificare e recepire il significato delle informazioni provenienti dall’esterno, ma anche una padronanza globale della lingua che consenta al lavoratore di interagire attivamente all’interno del contesto ambientale.
Sotto il profilo sanzionatorio, occorre osservare che, benché il comma 13 dell’art.37 del D.Lgs.81/08 non sia sanzionato penalmente in maniera diretta, è invece munito di sanzione penale il comma 1 dell’art.37 stesso, ai sensi del quale “il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche”; peraltro, anche in questo caso il legislatore fa riferimento non solo alla mera comprensione della lingua ma, più complessivamente, alle conoscenze linguistiche.
A fronte di tale quadro, il comma 13 dell’art.37 del D.Lgs.81/08, che impone la verifica ex ante della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo, può ragionevolmente essere visto come una specificazione dell’obbligo del datore di lavoro – contenuto nel primo comma della medesima disposizione – di assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione “adeguata e sufficiente … anche rispetto alle conoscenze linguistiche”.
E’ infatti assai arduo poter sostenere che una formazione rivolta ad un lavoratore straniero che non sia stata erogata nel rispetto di quanto previsto dal comma 13 dell’art.37 del D.Lgs.81/08 possa essere considerata “sufficiente ed adeguata” alla stregua del primo comma della medesima disposizione (sanzionato penalmente).
A tutto ciò si aggiunga, in termini ancora più ampi e generali, che in ogni caso l’obbligo di formazione dei lavoratori (ivi compresi quelli stranieri) è costruito dal legislatore come un’“obbligazione di risultato”, per cui esso si intende adempiuto solo allorché l’erogazione della formazione stessa abbia consentito al lavoratore una concreta e reale assimilazione dei contenuti trasmessi che poi si sia tradotta in un comportamento pratico conseguente e coerente all’interno dell’ambiente di lavoro; il tutto da verificarsi, ex post, attraverso il sistema di verifica dell’efficacia della formazione imposto dall’Accordo 17 aprile 2025.
All’interno di tale cornice giuridica si inserisce, dunque, anche la formazione dei lavoratori stranieri la quale, attraverso gli strumenti imposti dal legislatore e, come vedremo oltre, indicati dalla Conferenza Stato-Regioni, deve garantire che tali lavoratori assimilino realmente i contenuti veicolati durante gli incontri formativi; circostanza, questa, che dovrà essere verificata non solo attraverso la verifica degli apprendimenti ma anche mediante la verifica sul campo dell’efficacia della formazione.
Passiamo ora a prendere in considerazione l’Accordo Stato-Regioni 17 aprile 2025, che ha dato attuazione alla norma primaria anzitutto riproducendo il disposto dell’art.37 c.13 del D.Lgs.81/08 e, quindi, prevedendo espressamente, nella parte dedicata all’“analisi dei fabbisogni formativi e contesto”, che, “ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.”
L’Accordo prosegue, poi, specificando che “nei confronti dei lavoratori stranieri i corsi dovranno essere realizzati previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare e con modalità che assicurino la comprensione dei contenuti del corso di formazione, quali, ad esempio, la presenza di un mediatore interculturale o di un traduttore.”(Parte IV, punto 1.2.)
Del resto, tale impostazione è coerente con lo scopo dell’analisi dei fabbisogni formativi, la quale, secondo l’Accordo, “è finalizzata a fornire dati ed informazioni necessari alla progettazione formativa” ed è “volta ad individuare, in chiave formativa, le esigenze di professionalità specifiche riconducibili alle figure coinvolte nei processi di organizzazione, gestione e miglioramento della sicurezza aziendale.”
In tal senso, “nel definire i fabbisogni formativi il soggetto formatore, di concerto con i datori di lavoro laddove necessario, normalmente analizza e definisce” anche “le competenze in entrata minime per affrontare il percorso formativo”,nonché “le competenze possedute dal discente prima di iniziare il percorso formativo”.
Nell’ambito di tali competenze rientrano anche – o sarebbe meglio dire prima di tutto – quelle linguistiche, che rappresentano una conditio sine qua non senza la quale non può essere garantita la minima comprensione dei contenuti formativi.
A seguito di tali preliminari valutazioni, anche con riferimento ai lavoratori stranieri e in relazione alle criticità legate alla comprensione e alla conoscenza della lingua veicolare, il soggetto formatore deve analizzare e definire “il gap da colmare con il percorso formativo, in termini di differenza tra competenze possedute e richieste.”
Va da sé, a questo punto, che dell’attività di verifica della comprensione della lingua e dei suoi esiti vada tenuta traccia nel “documento di output del processo”, ovvero il report nel quale – secondo l’Accordo – devono confluire “i dati e le informazioni derivanti dal processo di analisi dei fabbisogni formativi e del contesto”.
La presenza di lavoratori stranieri rappresenta poi, per coloro che tali lavoratori sono chiamati a coordinare, una potenziale criticità dal punto di vista comunicativo, di cui l’Accordo ha tenuto conto allorché ha previsto che nel corso di formazione rivolto ai preposti, nell’ambito del modulo “comunicazione e informazione”, debbano essere illustrate anche le “tecniche e strumenti di comunicazione e sensibilizzazione dei lavoratori, in particolare neoassunti, somministrati, stranieri.” (Parte II, punto 2.2.)
Inoltre, così come il soggetto formatore deve tenere conto della partecipazione di lavoratori stranieri ai corsi di formazione nei termini che abbiamo visto, analogamente – seppur ovviamente nell’ambito delle sue diverse (e non sovrapponibili) prerogative – di tale elemento deve tener conto anche il docente.
L’Accordo Stato-Regioni prevede infatti che il docente sia “responsabile della progettazione e dell’erogazione delle unità didattiche assegnate, dell’individuazione delle strategie e metodologie didattiche più idonee per l’erogazione, della predisposizione di materiali didattici e delle modalità di verifica che tengano conto anche dell’eventuale presenza di lavoratori stranieri coerentemente con gli obiettivi formativi fissati e nel rispetto di quanto previsto dalla legislazione in materia di formazione su SSL.”
Anche in questo passaggio, poi, la Conferenza Stato-Regioni richiama la norma primaria, ribadendo che “nei confronti dei lavoratori stranieri i corsi dovranno essere realizzati previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare e con modalità che assicurino la comprensione dei contenuti del corso di formazione, quali, ad esempio, la presenza di un mediatore interculturale o di un traduttore.” (Parte IV, punto 1.7.)
Tali previsioni hanno evidentemente recepito anche gli orientamenti giurisprudenziali consolidati della Suprema Corte in materia di formazione rivolta ai lavoratori stranieri.
Vediamo qualche sentenza particolarmente significativa su questo tema.
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 23 luglio 2018 n.34805, la Corte ha confermato la condanna di due datori di lavoro di un’impresa subappaltatrice per il decesso del dipendente D.E. il quale, “addetto alle opere di finitura esterna di un prefabbricato, era rimasto folgorato per effetto di un “arco voltaico” creatosi da una linea elettrica a 15.000 volt che attraversava quel cantiere a mt.8,50 dal suolo.”
Era accaduto che “il lavoratore, posizionandosi su una piattaforma elevabile, azionata da lui stesso, si era avvicinato troppo alla linea elettrica, certamente ad una distanza inferiore a 5 metri, tenendo fra l’altro in mano un ombrello per ripararsi dalla pioggia, ombrello che, unitamente all’umidità dell’area, aveva facilitato il passaggio della corrente”.
Secondo la Corte, il lavoratore “non aveva tenuto una condotta “esorbitante” o imprevedibilmente illogica, poiché certamente non aveva toccato, neppure con l’ombrello, la linea elettrica, trovandosi distante da essa al momento dell’evento circa due metri e mezzo, ma non era in grado di percepire, per non averne ricevuto alcuna informazione, il pericolo dell’eventuale creazione di un “arco voltaico”, fenomeno che non rientrava certamente nelle normali conoscenze ed esperienze, tanto da non necessitare in proposito alcuna formazione o informazione.”
Più “in particolare, non poteva certo dirsi che l’imputato avesse ottemperato all’obbligo di informazione per il sol fatto che il POS prevedeva il “rischio di elettrocuzione” e rimandava alla lettura del manuale d’uso della piattaforma, ove era indicata la distanza di sicurezza di almeno cinque metri da eventuali cavi elettrici.”
Infatti, “un lavoratore non formato, tanto più se straniero, non era usuale che leggesse il POS e neppure sarebbe stato in grado di comprendere il significato del termine “elettrocuzione”; inoltre la cautela descritta nel POS era oltremodo generica, né assolveva allo scopo di rendere edotto il lavoratore, non formato dei rischi, il fatto che nelle note generali di utilizzo della piattaforma aerea fosse disposto di attenersi scrupolosamente a quanto indicato nel libretto d’uso, poiché ad un lavoratore non formato sui rischi inerenti alle mansioni svolte, e privo di competenze tecniche e linguistiche, non poteva richiedersi di leggere autonomamente il piano di sicurezza e neppure il manuale d’uso del macchinario che impiega.”
Dunque “il comportamento del D.E. non solo non era imprevedibile – come già detto – ma neppure rimproverabile […], non essendo egli in grado di valutare i rischi della lavorazione che stava eseguendo e dunque di percepire la pericolosità del suo comportamento.”
Due anni prima, con Cassazione Penale, Sez.III, 3 ottobre 2016 n.41129, è stato condannato un datore di lavoro perché, nell’ambito di un cantiere, ometteva “di assicurare che il ponteggio fosse smontato sotto la diretta sorveglianza di un preposto, a regola d’arte (con specifico riferimento all’impiego di sistemi anticaduta) e conformemente al PIMUS”.
Inoltre, l’imputato ometteva “di redigere PIMUS con contenuti minimi conforme a quanto disposto dall’allegato XXII, del d.lgs n.81 del 2008” e, infine, “di assicurare che i preposti ricevessero un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute sicurezza del lavoro, con particolare riferimento alle loro mansioni in cantiere e in materia di montaggio/smontaggio ponteggi.”
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, la Cassazione, facendo riferimento alla pronuncia di primo grado, precisa che “la sentenza [d’appello, n.d.r.] analizza le prove orali e documentali, raccolte nel dibattimento, e inoltre, il giudicante, direttamente constatava che l’operaio P., indicato quale preposto, non riusciva nemmeno a leggere in italiano la dichiarazione d’impegno a dire la verità;il deficit cognitivo per la sentenza di primo grado assume un particolare rilievo, ove si consideri che il preposto ha il compito di vigilare sull’osservanza da parte dei lavoratori delle indicazioni contenute nel PIMUS, e che tale documento è stato redatto solo in lingua italiana.”
La Corte conclude, sulla base di questi ed altri elementi, che “era stata omessa una specifica e adeguata formazione per i preposti; ritenendo, quindi, non adeguata e non specifica la formazione pure effettuata dalla ditta. Infatti, al test di verifica somministrato dall’ispettrice S. emergeva una formazione non adeguata, con delle gravi lacune.”
Andando ancora a ritroso di un anno, infine, con Cassazione Penale, Sez.IV, 8 aprile 2015 n.14159 la Corte ha confermato la condanna del consigliere delegato di una s.r.l. “espressamente delegato per gli aspetti di igiene e sicurezza sul lavoro”, al quale “era stato contestato di avere cagionato per colpa generica e specifica lesioni personali gravi al lavoratore S.B.”
Era accaduto che “il predetto lavoratore, adibito ad una operazione di manutenzione su di una macchina per pressofusione finalizzata a sostituire una boccola che faceva da imbocco al pistone per l’iniezione dell’alluminio fuso all’interno dello stampo della macchina, mentre posizionava la propria mano all’altezza del buco in cui si doveva inserire il pistone per l’iniezione del metallo, a causa della manovra effettuata dal compagno di lavoro A., che aveva azionato il comando del pistone, si procurava le lesioni di cui al capo di imputazione. Il pistone entrava infatti a forza nel buco predisposto attraverso la boccola in fase di smontaggio, tranciando di netto parte del dito pollice del lavoratore S.B.”.
La Cassazione ha confermato l’adeguatezza della sentenza della Corte d’Appello, riconoscendo “la sussistenza del nesso causale tra la omessa somministrazione al lavoratore di un’adeguata formazione, in una lingua che egli avrebbe potuto comprendere, (essendo egli di nazionalità indiana) e non già in lingua italiana, circa le modalità con cui procedere all’operazione che stava eseguendo e l’infortunio.”
Infatti, “se egli avesse avuto una formazione adeguata, non avrebbe agito con quelle modalità e, in particolare, non avrebbe appoggiato la mano in prossimità del foro nel quale doveva entrare il pistone, mentre il suo compagno di lavoro A. avrebbe evitato di azionare la macchina in quel momento.”
Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it, Anna Guardavilla (Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro)