Il legale rappresentante di una società non può essere ritenuto automaticamente responsabile penalmente di ogni violazione degli obblighi antinfortunistici se per assolvere agli stessi ha specificamente investito dei preposti. Di G.Porreca.
Cassazione Sezione IV Penale – Sentenza n. 33417 del 29 luglio 2014 – Ric. G. L..
Commento a cura di Gerardo Porreca.
E’ interessante questa sentenza della Corte di Cassazione in quanto, ribaltando le decisioni assunte dai giudici di merito, ha annullata la sentenza di condanna emanata dagli stessi nei confronti dell’amministratore di una società, ritenuto responsabile dell’infortunio occorso ad un lavoratore dipendente, allineandosi così con quelli che sono gli indirizzi forniti dal legislatore con il D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 il quale ha previsto nella organizzazione del sistema sicurezza sul lavoro di una azienda, specie per quelle di grosse dimensioni, uno scalettamento di mansioni, incarichi e responsabilità che, a partire dal datore di lavoro, deve estendersi alle figure intermedie quali il dirigente, il preposto, i capi settore ecc. fino ad arrivare al lavoratore stesso che dalle norme in materia di salute e di sicurezza sul lavoro è ritenuto figura attiva nella prevenzione e nella realizzazione delle misure di salute e di sicurezza.
L’amministratore e il legale rappresentante di una società, ha affermato infatti la suprema Corte, specie se la stessa è di ampie dimensioni, non può essere, solo perché riveste tale carica, ritenuto automaticamente penalmente responsabile, perché se così fosse si verterebbe in una inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva, di ogni violazione degli obblighi antinfortunistici, comunque determinatasi, se per l’assolvimento degli stessi, per il rispetto delle cautele e delle misure, pur previamente approntate, in relazione alla attività svolta nel caso concreto, abbia specificatamente investito dei preposti che sono perciò tenuti a far osservare le regole di condotta all’uopo imposte.
Il fatto
Il Tribunale ha dichiarato il legale responsabile di una società cooperativa colpevole del delitto p. e p. dall’art. 590, secondo e terzo comma, cod. pen. per avere cagionato, per colpa generica e specifica, consistita nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, delle lesioni personali gravi ad un dipendente della società medesima e lo ha condannato, concesse le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, alla pena (sospesa) di giorni 15 di reclusione. Secondo la ricostruzione del fatto che si legge in sentenza il lavoratore, recatosi in un reparto diverso da quello al quale era addetto per prendere documenti che gli servivano per effettuare un inventario, aveva ivi notato che sul nastro trasportatore si erano bloccate delle casse e, allo scopo di far andare avanti la produzione e anche per un gesto di gentilezza nei confronti di un’operaia del reparto che doveva altrimenti provvedervi, era salito su di una scala che era legata alla parete in modo tale da impedire che fosse aperta a forbice e nello scendere dalla stessa però scivolava e cadeva a terra, sia pure in posizione verticale, procurandosi le lesioni riportate.
Al datore di lavoro si rimproverava la violazione dell’art. 35, comma 4, lett. a) del D. Lgs. n. 626/1994, per non avere preso le misure necessarie affinché l’attrezzatura di lavoro fosse installata in conformità alle istruzioni del fabbricante e utilizzata correttamente e per avere consentito in particolare che la scala a forbice, dell’altezza di 3,20 m, rimanesse fissata alla parete con una catena al fine di evitarne lo scivolamento, laddove essa avrebbe dovuto essere invece usata solo una volta che fosse stata completamente aperta e con i quattro appoggi a contatto con il suolo.
Secondo la Corte d’appello, che ha confermata la sentenza di condanna, si poteva ritenere sufficientemente dimostrato che le modalità di utilizzo della scala non erano conformi a quelle raccomandate nel manuale d’istruzioni della casa produttrice che prevedeva solamente un utilizzo mediante posizionamento della scala a forbice onde consentire una maggiore stabilità all’attrezzo. Quanto al nesso di causalità era stato rilevato dai giudici del gravame che lo scivolamento del lavoratore infortunato, pur magari dovuto anche ad una sua imprudenza, non si sarebbe verificato o non si sarebbe verificato con le stesse conseguenze dannose se la scala fosse stata appoggiata correttamente e stabilmente a forbice con i quattro appoggi tutti fissati al suolo, in quanto, in tal caso, del tutto verosimilmente il lavoratore avrebbe avuto la possibilità di reggersi o appigliarsi ad un sostegno fisso, oltre che al muro che, in tal caso, avrebbe fiancheggiato, per così dire, la scala stessa, una volta correttamente appoggiata con le due parti dì fianco al muro medesimo.
Gli stessi giudici della Corte territoriale avevano osservato, altresì, che la manovra fatta nell’occasione dalla persona offesa, pur non rientrando nelle mansioni proprie del lavoratore, non si poteva considerare una manovra del tutto anomala ed eccezionale in quanto si versava in un contesto sicuramente non esorbitante dal complessivo processo lavorativo della ditta tanto più che già in passato altri avevano fatto la stessa cosa e che sempre lo stesso lavoratore era stato già chiamato altre volte dal suo direttore o caporeparto a compiere analoghe operazioni di manutenzione. Per quanto sopra detto quindi non si poteva negare, secondo la Corte, la responsabilità del legale rappresentante della società non essendo emersa una struttura dell’azienda di tale complessità da doversi presumere l’esistenza di una delega implicita in materia di prevenzione infortuni, né essendo sufficiente a tal fine, in assenza di apposita delega, il mero fatto che un altro soggetto svolgesse le funzioni di responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Il ricorso in Cassazione e le motivazioni
Avverso la decisione della Corte di Appello l’imputato per mezzo del proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione sulla base di alcune motivazioni dirette a contestare l’affermazione della sua penale responsabilità. Con un primo motivo l’imputato ha denunciato in sintesi un vizio di contraddittorietà della sentenza impugnata per avere da un lato dato atto che l’azienda si estendeva su oltre 10.000 metri quadrati, che occupava 1.000 operai ed era organizzata in vari reparti, affidati alla responsabilità di capi reparto, e dall’altro ritenuto che l’organizzazione dell’azienda non era particolarmente complessa, tale da fare, in ipotesi, reputare come implicita una ripartizione dì funzioni e, quindi, una tacita delega. L’organizzazione aziendale, ha sostenuto il ricorrente, non poteva non ritenersi di per sé complessa stante anche la profonda diversità delle lavorazioni eseguite (macellazione, selezione delle carni, caricamenti, etc.) e che pertanto, in tale situazione, la delega al direttore di stabilimento e ai vari preposti era necessaria, esplicita o comunque implicita nella ripartizione delle funzioni.
Secondo l’imputato quindi averlo ritenuto responsabile penale in riferimento ad un momentaneo uso di una scala a norma si è risolto in buona sostanza nella prospettazione di un profilo di responsabilità oggettiva, tanto più che si trattava di un incidente che, per le modalità richiamate, evidenziava connotazioni di assoluta banalità e occasionalità. Lo stesso imputato ha lamentato, altresì, che la sentenza impugnata aveva peraltro omesso di prendere in esame la doglianza circa il fatto che la persona offesa aveva nella circostanza eseguita un’operazione lavorativa che non avrebbe dovuto eseguire in assenza del responsabile del reparto, momentaneamente allontanatosi, preposto anche a rimuovere l’inconveniente che si era verificato sulla linea di produzione. Il responsabile legale della società ha fatto osservare inoltre nel ricorso che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di Appello e cioè che secondo il manuale di istruzioni predisposto dalla casa costruttrice della scala il suo utilizzo dovesse avvenire esclusivamente nella posizione di apertura a forbice, nel documento di istruzioni dell’attrezzatura si poteva invece ricavare facilmente che l’utilizzo della stessa poteva avvenire in entrambe le modalità e, cioè, aperta a forbice o semplicemente appoggiata alla linea di produzione. Lo stesso faceva notare infine che l’incidente si era verificato non per l’oscillazione della scala ma perché l’operaio, nonostante calzasse scarpe antisdrucciolo, era scivolato per cui la causa era da individuare in un accadimento fortuito che avrebbe potuto verificarsi anche con la scala aperta a forbice.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Le motivazioni addotte dal ricorrente sono state ritenute dalla Corte di Cassazione fondate. La suprema Corte ha tenuto a chiarire in merito che “l’amministratore e legale rappresentante di una società, specie se di ampie dimensioni non può essere, solo per tale carica rivestita, automaticamente ritenuto penalmente responsabile (si verterebbe in una inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva) di ogni violazione degli obblighi antinfortunistici, comunque determinatasi, ove per l’assolvimento degli stessi, per il rispetto delle cautele e delle misure, pur previamente approntate, in relazione a quella attività svolta nel caso concreto, abbia specificamente investito dei preposti, che sono perciò tenuti a far osservare le regole di condotta all’uopo imposte”. “Non può riconoscersi penale responsabilità all’amministratore”, ha infatti proseguito la Sez IV, “che, avendo approntato tutte le misure richieste, abbia delegato un preposto alla organizzazione ed all’espletamento di specifica attività, ove il preposto sia persona tecnicamente idonea e capace, che abbia volontariamente accettato l’incombenza, nella consapevolezza degli obblighi che vengono su di lui ad incombere, e che sia fornita di idonei poteri determinativi e direzionali al riguardo, e sempre che il datore di lavoro, nel più generale contesto della posizione di garanzia che a lui fa capo, non si esima, comunque, dall’obbligo di sorvegliare ed accertare che il preposto usi concretamente ed effettivamente dei poteri all’uopo conferitigli, dando concreta attuazione alle disposizioni impartite e alle misure volta a volta dovute”.
Tale obbligo di vigilanza, ha peraltro precisato la suprema Corte, non può estendersi sino a richiedere la continua presenza sul luogo del datore di lavoro, se amministratore di società di notevoli dimensioni, in ognuna delle singole circostanze episodiche in cui il lavoro viene svolto dai dipendenti. «In tema di infortuni sul lavoro”, ha ancora ribadito la Sez, IV, “il legale rappresentante di una società di notevoli dimensioni non è responsabile allorché l’azienda sia stata preventivamente suddivisa in distinti settori, rami o servizi ed a ciascuno di questi siano stati in concreto preposti soggetti qualificati ed idonei, nonché dotati della necessaria autonomia e dei poteri indispensabili per la completa gestione degli affari inerenti a determinati servizi”.
La suprema Corte ha ritenuto ancora di rammentare che l’art. 1, comma 4-bis, del D. Lgs. n. 626/1994, così come modificato dal D. Lgs. n. 242/1996, nel disporre che “il datore di lavoro che esercita le attività di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovraintendono le stesse attività, sono tenuti all’osservanza delle disposizioni del presente decreto, comporta, secondo interpretazione pacificamente acquisita nella giurisprudenza di questa S.C., che i collaboratori del datore di lavoro (dirigenti e preposti), al pari di quest’ultimo, sono da considerare, per il fatto stesso di essere inquadrati come dirigenti e preposti e, nell’ambito delle rispettive competenze ed attribuzioni, destinatari iure proprio dell’osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc”. Nel caso in esame non si può dubitare, ha proseguito la Sez. IV, che il comportamento doveroso la cui violazione è addebitata all’imputato e cioè quello di assicurarsi che l’utilizzo della scala a forbice avvenisse in modo conforme alle prescrizioni della casa produttrice, rientrasse tra i compiti propri del preposto al singolo reparto, senza peraltro evidentemente richiedere alcun impegno di spesa né il dispiegamento di poteri organizzativi esorbitanti quelli che possono ritenersi impliciti nella stessa articolazione in reparti e nel correlato organigramma.
Per quanto riguarda l’ uso scorretto dell’attrezzatura, ha quindi concluso la suprema Corte, è risultato inequivocabilmente acclarato in giudizio che l’evento si era determinato in via del tutto accidentale e in forza di una dinamica che in realtà prescinde del tutto dalla posizione della scala essendosi trattato, infatti, di un mero scivolamento dell’operaio nel discendere dalla scala, sfortunata evenienza che non autorizza a ritenere che sia stata anche solo occasionata o favorita dal fatto che la stessa fosse appoggiata al muro anziché aperta a forbice.
Per i motivi sopraindicati la Sez. IV penale della Corte di Cassazione ha quindi, ai sensi dell’art. 620 lett. l cod. proc. pen., annullata la sentenza impugnata senza rinvio per insussistenza del fatto.
Fonti: Puntosicuro.it