L’assunzione di fatto di determinate mansioni e lo svolgimento di determinate attività in ambiente di lavoro, sia pure senza una formale investitura o rapporto di lavoro, è causa di responsabilità per le eventuali conseguenze dannose ad essa collegata.
L’assunzione di fatto di determinate mansioni e lo svolgimento di determinate attività in un ambiente di lavoro, sia pure in mancanza di una formale investitura, è causa di responsabilità delle conseguenze dannose ad essa collegata. E’ questo il principio della giurisprudenza di legittimità che discende dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione che ha dovuto decidere su di un ricorso presentato da un lavoratore che, pur essendo privo dell’apposita abilitazione alla conduzione di una gru, si era messo alla guida della stessa per sollevare e trasportare un carico di 2000 kg omettendo di assicurarsi che il mezzo fosse idoneo al sollevamento di tale peso per cui aveva provocato, a seguito del ribaltamento della stessa, il decesso di un altro operaio rimasto schiacciato dal mezzo.
L’obbligo di assicurarsi della stabilità di un mezzo di sollevamento e del suo carico, ha precisato la suprema Corte, incombe infatti sul manovratore il cui giudizio sull’opportunità di effettuare la manovra di sollevamento è del tutto indipendente ed autonomo, potendo e dovendo egli rifiutarsi di procedervi qualora, secondo la sua valutazione non sussistano le condizioni di sicurezza. In tema di reati omissivi colposi, ha precisato la Cassazione, “la posizione di garanzia, che può essere generata da investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro”.
Con riferimento al caso in esame i giudici di merito, ha osservato la suprema Corte, avevano individuati a carico del ricorrente i profili di colpa specifica riconducibili alle norme di prevenzione infortuni di cui agli articoli 168 e 169 del D.P.R. n. 547/1955, in vigore al momento dell’evento infortunistico di cui alla sentenza, che imponevano di verificare l’idoneità e la stabilità di un mezzo di sollevamento in relazione alla natura, alla forma e al volume dei carichi.
In merito poi all’iniziativa presa dall’imputato e alla improvvisazione di mettersi alla guida del mezzo di sollevamento senza avere la relativa abilitazione la suprema Corte ha ricordato che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l’individuazione dei soggetti penalmente responsabili della mancata attuazione delle misure di prevenzione antinfortunistica deve essere fatta, più che attraverso la qualificazione giuridica del rapporti esistenti tra i diversi soggetti che si inseriscono nel ciclo produttivo o nel processo costruttivo dell’azienda, con il tenere conto invece delle effettive mansioni nella realtà disimpegnate da ciascuno di essi, sia per incarico ricevuto sia per propria iniziativa; l’esame comunque va compiuto caso per caso, in relazione alla organizzazione dell’impresa, alta struttura degli impianti e alla ripartizione concreta dei compiti. Alla luce selle sopraindicate considerazioni quindi la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall’imputato confermando la sua condanna.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni
La Corte d’appello, in parziale riforma della pronuncia resa dal Tribunale, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di prevalenza sulla contestata aggravante, ha rideterminato la pena inflitta a un lavoratore dipendente di una società in quella di sei mesi di reclusione confermando la pronuncia della responsabilità a suo carico per il reato di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme in materia di prevenzione antinfortunistica, in danno di un operaio dipendente di un’altra azienda. L’imputato, secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito nelle due sentenze conformi, in violazione degli artt. 168 e 169 del D.P.R. n. 547/55, ponendosi alla guida di una gru idraulica utilizzata per il sollevamento ed il trasporto, senza alcuna abilitazione alla sua conduzione, aveva omesso di assicurarsi che lo stesso fosse idoneo al sollevamento di un carico del peso di 2000 kg., formato da 66 lamiere zincate, e aveva cagionata la morte dell’operaio, rimasto schiacciato a seguito del ribaltamento del mezzo durante la fase di manovra.
Più in particolare la mattina dell’infortunio il titolare di una ditta che stava compiendo dei lavori all’interno del capannone di un’altra azienda aveva avuto la necessità di spostare del materiale ingombrante presente nel piazzale del capannone stesso e per fare questo doveva servirsi di una gru esistente nello stabilimento. L’imputato, un operaio dipendente di una terza ditta e che si trovava nel capannone per altri motivi, si era offerto volontariamente per effettuare le operazioni di sollevamento e di trasporto del materiale tramite la gru ma, per sua stessa ammissione, non aveva avuto la cura di verificare che l’attrezzatura fosse idonea a svolgere quelle operazioni né si era accorto della instabilità del mezzo che aveva avvertito solo durante la manovra proseguendo comunque nella sua attività. La condotta dell’imputato era stata ritenuta dai giudici di merito gravemente imprudente, imperita e negligente, poiché, senza avere alcuna abilitazione e competenza tecnica, egli si era posto alla guida della gru e, pure accortosi della instabilità del carico, aveva proseguito nell’attività determinando la morte dell’operaio.
Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione a mezzo del difensore avanzando delle lamentele. La Corte territoriale, secondo lo stesso, si sarebbe limitata a fare proprie le conclusioni a cui era giunto il Tribunale, mancando di offrire adeguata risposta alle sue doglianze difensive. Il suo difensore aveva contestato la violazione dell’art. 3 della Costituzione in relazione alla disparità di trattamento nei suoi confronti e il titolare della ditta che doveva eseguire il trasferimento del materiale dal piazzale, coimputato nel procedimento penale. Fermo restando che l’accertamento della cooperazione colposa di altri soggetti avrebbe potuto consentire una graduazione della colpa ascritta all’imputato, la Corte di merito non avrebbe colto, secondo il ricorrente, la finalità a cui la censura era diretta. Non si voleva, infatti, spingere la Corte territoriale a riesaminare la posizione del titolare della ditta stessa, assolto dalla imputazione, bensì a disapprovare il diverso parametro valutativo con cui si erano considerate le due condotte.
La Corte di Appello ancora, secondo il ricorrente, non avrebbe motivato in ordine alle ragioni per le quali aveva inteso discostarsi dal minimo edittale, pur avendo dato atto del suo ottimo comportamento processuale e della sua incensuratezza; analogamente il riconoscimento dell’entità della provvisionale non era stato sorretto da adeguata motivazione.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato rigettato dalla Corte di Cassazione. “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro”, ha precisato la suprema Corte, “l’individuazione dei soggetti penalmente responsabili della mancata attuazione delle misure di prevenzione antinfortunistica deve essere fatta, più che attraverso la qualificazione giuridica del rapporti esistenti tra i diversi soggetti che si inseriscono nel ciclo produttivo o nel processo costruttivo dell’azienda, tenendo conto delle effettive mansioni nella realtà disimpegnate da ciascuno di essi, sia per incarico ricevuto sia per propria iniziativa”. L’esame va compiuto caso per caso, in relazione alla organizzazione dell’impresa, alta struttura degli impianti e alla ripartizione concreta dei compiti.
In merito poi alle circostanze aggravanti la Cassazione ha sostenuto, per altro verso, che in materia di lesioni ed omicidio colpose, la configurabilità della circostanza aggravante della violazione di norme antinfortunistiche esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato propriamente detto, atteso che il rispetto di tali norme è imposto anche quando l’attività lavorativa venga prestata a titolo di amicizia o riconoscenza, parchè detta prestazione sia stata posta in essere in un ambiente che possa definirsi di “lavoro”.
La suprema Corte ha osservato inoltre che i profili di colpa specifica individuati dai giudici di merito a carico dell’imputato erano riconducibili alle norme che impongono di verificare l’idoneità e la stabilità del mezzo di sollevamento in relazione alla natura, alla forma e al volume dei carichi (articoli 168 e 169 del D.P.R. n. 547/1955); il rispetto di tali norme grava sul manovratore, così come la stessa Corte di Cassazione aveva già affermato in una precedente sentenza della Sezione IV, la n. 41294 del 4 ottobre 2007, secondo la quale “in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l’obbligo di assicurarsi della stabilità del carico incombe sul manovratore della gru, il cui giudizio sull’opportunità di effettuare la manovra di sollevamento è del tutto indipendente ed autonomo, potendo e dovendo egli rifiutarsi di procedervi qualora, secondo la sua valutazione non sussistano le condizioni di sicurezza”.
In merito infine al motivo di ricorso relativo alla inadeguatezza della pena e all’assegnazione della provvisionale la Sez. IV ha precisato che la individuazione della pena stessa ritenuta più adeguata, entro i parametri della cornice edittale, appartiene all’apprezzamento discrezionale del Giudice e quindi tale valutazione è insindacabile in sede di legittimità se assistita, come nel caso in esame, da congrua motivazione. Analogamente per quanto riguarda l’entità della provvisionale non è deducibile con il ricorso per cassazione la questione riguardante l’eccessività della somma liquidata dal giudice dì merito.
Al rigetto del ricorso è conseguita quindi la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Fonti: olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it