Risponde il responsabile di linea, nella sua funzione di preposto, per l’infortunio di un lavoratore rimasto folgorato in un cantiere ferroviario durante le operazioni di sostituzione dei conduttori elettrici di alimentazione della linea ferroviaria.
Per l’infortunio accaduto in un cantiere ferroviario a un lavoratore di un’impresa esecutrice rimasto mortalmente folgorato a seguito di un arco voltaico durante i lavori di sostituzione dei conduttori ad alta tensione posti sui binari di una linea ferroviaria, è stato condannato dal Tribunale con altri imputati e successivamente dalla Corte di Appello il responsabile di linea che rivestiva la funzione di preposto, tutti ritenuti responsabili dell’accaduto.
Al preposto in particolare è stato contestato di avere omesso la dovuta vigilanza nel tratto di linea in esame, di avere consegnato alla impresa esecutrice il materiale per la sostituzione dei conduttori, di avere consentito l’avvio dei lavori violando tra l’altro le disposizioni della propria azienda che prevedevano prima dell’inizio dei lavori un incontro di coordinamento con l’elaborazione di un verbale, di non avere inoltre impedito l’inizio e la prosecuzione dei lavori in assenza delle minime condizioni di sicurezza, di non avere ordinato l’interruzione della circolazione e il distacco della linea elettrica dell’alta tensione e di non avere altresì messo a disposizione della ditta esecutrice un carrello ferroviario con il quale muoversi sulla linea, come invece era previsto nel POS e dalle disposizioni aziendali.
Ricorso per cassazione il responsabile di linea, la suprema Corte ha confermata la sua responsabilità rimarcando che lo stesso era presente in cantiere il giorno dell’accaduto e che quindi aveva potuto osservare che i lavori erano iniziati e proseguiti nonostante l’omessa disalimentazione della linea e l’omesso blocco del traffico ferroviario e ritenendo poco credibile, come sostenuto dal ricorrente, che i conduttori fossero stati solo posati a terra in attesa della redazione del verbale di secondo livello e della disalimentazione della linea essendo risultato tra l’altro che proprio il preposto aveva incaricato due operai di andare a prelevare un’altra bobina di conduttori necessaria per proseguire i lavori a riprova che quelli che erano stati posati sul posto erano stati utilizzati ed erano stati sistemati in quota.
Avendo inoltre il ricorrente addotto come altra motivazione di ricorso il fatto che non gli fossero state concesse dalla Corte territoriale le circostanze attenuanti generiche, la suprema Corte ha ritenuto di richiamare un principio ampiamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità e cioè non è necessario che il giudice, nel motivare il diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma che è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione.
Il fatto e l’iter giudiziario.
Il Tribunale ha dichiarato il titolare e il capocantiere di un’impresa esecutrice, il direttore dei lavori da parte del committente e il responsabile di linea di un’azienda ferroviaria colpevoli del reato loro ascritto e li condannati alla pena di due anni di reclusione ciascuno, con la sospensione condizionale, nonché al risarcimento dei danni derivati dalle parti civili costituite in solido da liquidarsi in separata sede, ed al pagamento altresì di una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 100.000 euro.
La contestazione è stata riferita all’omicidio colposo di un lavoratore che era deceduto per folgorazione da arco voltaico mentre era impegnato nelle operazioni di sostituzione in quota dei cavi elettrici dell’alta tensione posti sui binari di una linea ferroviaria; in particolare, mentre l’operaio era impegnato a tendere con le mani un cavo, ancorato al palo di sostegno mediante un morsetto, nel sollevare lo stesso verso i fili dell’alta tensione ha determinato un arco voltaico che ha provocato una violenta scarica elettrica che lo ha colpito, cagionandone l’immediata folgorazione e l’arresto cardiaco fatale.
Al responsabile di linea era stato contestato di avere omesso la dovuta vigilanza nel tratto in esame e inoltre di avere consegnato alla ditta esecutrice il materiale e consentito l’avvio dei lavori violando tra l’altro le disposizioni dell’azienda ferroviaria, che prevedevano prima dell’inizio dei lavori un incontro di coordinamento con l’elaborazione di un verbale relativo proprio ai fini della sicurezza sul lavoro. Era stato contestato altresì di non avere impedito l’inizio e la prosecuzione dei lavori in assenza delle minime condizioni di sicurezza, di non avere ordinato l’interruzione della circolazione e il distacco della linea elettrica dell’alta tensione e di non avere messo a disposizione della ditta esecutrice un carrello ferroviario con il quale muoversi sulla linea, come era stato invece previsto dal POS e dalle disposizioni aziendali.
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado appellata da tutti gli imputati, ha successivamente dichiarato il non doversi procedere in ordine al direttore dei lavori per essere il reato a lui ascritto estinto in quanto deceduto e ha confermata la sentenza nel resto con condanna degli altri appellanti al pagamento delle spese processuali del grado di giudizio e del dissequestro e la restituzione all’avente diritto di quanto ancora in sequestro.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni.
Avverso la sentenza della Corte di Appello il responsabile di linea ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo alcune motivazioni e chiedendo l’annullamento della sentenza stessa. Con un primo motivo di difesa lo stesso ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale ricordando che la Corte di Appello aveva fondato il suo convincimento sulla sua responsabilità per avere disatteso gli adempimenti previsti dal Duvri, dal POS e dal capitolato d’appalto, convincimento, secondo lo stesso, manifestamente illogico. Il ricorrente ha sostenuto di essersi limitato solo a consegnare all’impresa il materiale occorrente per l’attuazione dei lavori e che l’appaltatore aveva ordinato lo svolgimento dei lavori senza che fosse stato redatto preventivamente il previsto verbale di accordo di secondo livello; non poteva essere addebitato a lui altresì un omesso intervento atto ad impedire lo svolgimento dei lavori perché all’atto del suo sopralluogo, effettuato poche ore prima del tragico incidente, i conduttori erano stati già sistemati in quota
Con un secondo motivo il ricorrente ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche pur essendo stato per tutto il corso della sua vita professionale immune da qualsiasi pregiudizio e pure se era stato fatto con immediatezza un risarcimento.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
I motivi di ricorso sono stati ritenuti manifestamente infondati dalla Corte di Cassazione che ha, pertanto, dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo la stessa l’impianto argomentativo del provvedimento impugnato è apparso puntuale, coerente, privo di discrasie logiche e del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
Secondo la suprema Corte, inoltre, le censure del ricorrente si sono sostanziate nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia stato un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici di merito. Il ricorso, in sostanza, non si è confrontato adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che è apparsa logica e congrua nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità. il ricorrente ha solo svolto apparentemente una critica alle argomentazioni logiche fornite dai giudici di merito e ha offerto in realtà una propria diversa prospettazione dei fatti, la quale non può essere accettata in sede di legittimità a fronte di una motivazione che possiede una chiara e puntuale trama argomentativa, in fatto ed in diritto.
La Corte territoriale, secondo la Sezione IV, aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato la tesi riproposta, rimarcando come l’imputato fosse presente in cantiere il giorno dei fatti e quindi aveva potuto osservare che i lavori erano cominciati e proseguiti nonostante l’omessa disalimentazione e l’omesso blocco della circolazione. È apparso decisamente poco credibile invece che l’azienda ferroviaria avesse consentito la sola posa del conduttore sui binari per poi lasciarli incustoditi in attesa di un futuro via libera conseguente alla redazione del verbale di secondo livello e di una disalimentazione che, per la sue serie conseguenza sul traffico ferroviario, certamente doveva essere predisposta ed autorizzata con largo anticipo; il lavoro di srotolamento del resto era terminato e proprio l’imputato aveva incaricato due operai di andare a prelevare un’altra bobina di conduttore necessaria per andare aventi, segno evidente che quello ricevuto in precedenza era stato interamente posato e si stava procedendo alla sua sistemazione in quota. E’ apparso inoltre inverosimile, secondo la suprema Corte, che l’azienda avesse consentito la posa del conduttore sui binari per poi lasciarli lì incustoditi (sebbene gli episodi di furto fossero più che frequenti) in attesa di un futuro via libera conseguente alla redazione del “verbale di secondo livello” e di una disalimentazione che, per le sue serie conseguenze sul traffico ferroviario, certamente doveva essere predisposta e autorizzata con largo anticipo.
In conclusione, essendo il ricorso inammissibile e non ravvisandosi, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale sentenza n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento è conseguita quella del pagamento della sanzione pecuniaria nella misura di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it