Per un piano di lavoro sopraelevato, anche se collocato a meno di due metri da terra, è necessario predisporre, a protezione dalla caduta dall’alto, barriere o altre difese equivalenti e ciò in adempimento al punto 1.7.3. Dell’all. Iv del d. Lgs. 81/2008.

Leggendo questa sentenza della Corte di Cassazione è tornato alla mente dello scrivente un approfondimento dal titolo “Gli obblighi per il rischio di caduta nei lavori in quota e sottoquota” dallo stesso elaborato nel 2017 nel quale aveva avuto modo di mettere in evidenza che il rischio di caduta dall’alto sussistesse non solo nei lavori in quota, definiti questi ultimi secondo quanto indicato nell’articolo 107 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, quelli durante i quali i lavoratori possono essere esposti al rischio di caduta da una quota posta ad una altezza superiore ai 2 metri rispetto a un piano stabile, ma anche nei lavori svolti sotto tale quota che lo scrivente ama chiamare “lavori sottoquota” quale quello svolto nel caso dell’infortunio in esame accaduto a un lavoratore che si trovava su di un trabattello con il pianale posto a un metro e mezzo circa dal suolo.

Il Tribunale aveva riconosciuto i titolari della società, dalla quale dipendeva il lavoratore infortunato responsabili del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, e li aveva condannati in conseguenza alla pena prevista dalle norme, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile; la Corte di Appello invece aveva dichiarato di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione confermando comunque le statuizioni civili.

Si era ritenuto avere i datori di lavoro violato non già gli artt. 122 e 107 del D Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per avere cioè omesso di predisporre sistemi di protezione da cadute dall’alto in presenza di una quota superiore ai due metri, come contestato originariamente nell’editto, ma per avere violato la regola cautelare di cui al punto n. 1.7.3. dell’allegato IV allo stesso D. Lgs., essendo stato ritenuto il trabattello sopra il quale si trovava l’operaio non già un piano di caricamento, che non avrebbe richiesto protezioni, ma un vero e proprio piano di lavoro sopraelevato che, a prescindere dall’altezza, anche se inferiore a due metri da terra, postula l’adozione di sistemi di sicurezza contro la caduta dall’alto, su tutti i lati aperti, quali parapetti normali con arresto al piede o difese equivalenti.

La Corte di Cassazione, alla quale i titolari dell’azienda avevano fatto ricorso chiedendo l’annullamento della sentenza per vari motivi fra cui quello che non fosse stato spiegato per quale motivo gli stessi avrebbero dovuto adottare determinate cautele, nonostante fosse stato accertato che il lavoro non si svolgesse in quota e che il lavoratore agisse in posizione seduta, ha dichiarato inammissibili i ricorsi e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di 3000 euro in favore della cassa per le ammende ribadendo che avessero violato il punto 1.7.3. dell’Allegato IV sopraindicato.

Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello, in riforma della sentenza con cui il Tribunale ha riconosciuto i titolari di una società responsabili del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, in conseguenza condannandoli alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, nei confronti della parte civile, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per essere il reato estinto per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili.

Era accaduto che un operaio dipendente della società, impegnato insieme ad altri due colleghi, a fissare una lamiera in ferro, stando in piedi sopra un trabattello posto a 1,52 metri da terra, in mancanza di opere provvisionali come cintura di sicurezza, reti o ponteggi, è rovinato a terra riportando lesioni guaribili in oltre quaranta giorni, in particolare un trauma cranio-encefalico determinante difficoltà di parola di grado moderato e demenza psichica tale da renderlo non autosufficiente. Si era ritenuto che i datori di lavoro avessero violato non già gli artt. 122 e 107 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, per avere cioè omesso di predisporre sistemi di protezione da cadute dall’alto in presenza di una quota superiore a due metri, come contestato originariamente nell’editto, ma che avessero violato la regola cautelare di cui al punto n. 1.7.3. dell’allegato IV allo stesso D. Lgs., ritenendosi il trabattello sopra il quale era l’operaio non già un piano di caricamento, che non richiede protezioni, ma un vero e proprio piano di lavoro, che postula sistemi di sicurezza, a prescindere dall’altezza, anche se inferiore a due metri da terra.

I titolari dell’azienda hanno ricorso per la cassazione della sentenza tramite un medesimo ricorso curato dal difensore di fiducia, affidandosi ad alcuni motivi. con i quali hanno denunziato violazione di legge e vizio di motivazione. Gli stessi hanno chiesto l’annullamento della sentenza della Corte di Appello per motivi legati ad erronee notifiche e a una mancata comunicazione agli imputati del rinvio di alcune udienze e ancora per non avere la Corte territoriale valutato le allegazioni difensive, svolte sia nei motivi di appello sia in apposita memoria, circa la mancata correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), e per non avere altresì estromesso la parte civile per implicita rinunzia all’azione, avendo sospeso il Giudice del lavoro, con ordinanza allegata al ricorso, la causa civile pendente sino alla definizione del processo penale e per non avere spiegato infine per quale motivo gli imputati avrebbero dovuto adottare determinate cautele, nonostante fosse stato accertato che il lavoro non si svolgesse in quota e che il lavoratore agisse tra l’altro in posizione seduta.

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

I ricorsi sono stati ritenuti manifestamente infondati dalla Corte di Cassazione. Con riferimento in particolare al fatto che l’operazione in corso al momento dell’infortunio non fosse un lavoro in quota ma un lavoro fatto nel mentre l’operaio si trovasse su di un trabattello con piano di calpestio posto a circa un metro e mezzo dal terreno, la Corte suprema ha evidenziato che ai ricorrenti era sfuggito che nella stessa sentenza impugnata era stato spiegato, con motivazione non illogica né incongrua, che “il piano ove il lavoratore era collocato non era da considerarsi piano di caricamento, che non richiede protezioni, ma un vero e proprio piano di lavoro, che, benché collocato ad altezza inferiore a due metri, rende necessaria la predisposizione di barriere o di altre cautele; e ciò, come indicato dai Giudici di merito, in applicazione della regola cautelare indicata al punto n. 1.7.3. dell’allegato IV al D. Lgs. n. 81 del 2008”. Si era trattato di un passaggio motivazionale con il quale il ricorrente, in realtà, non si era confrontato, risultando la relativa doglianza aspecifica ed assertiva nella parte in cui reiterava la tesi, già disattesa dai giudici di merito, che il lavoratore stesse operando da seduto.

Con riferimento infine alla richiesta di annullamento della sentenza della Corte di Appello, la Corte di Cassazione ha precisato che, anche ove le denunziate nullità fossero sussistenti, un rinnovato scrutinio di merito avrebbe condotto ugualmente alla prescrizione che era stata già dichiarata (secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità, addirittura pur se di ordine generale, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001) e non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in presenza, come nel caso in esame, di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009).

Non ravvisandosi in conclusione assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, ex art. 616 cod. proc. pen., la Corte di Cassazione ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese e al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata nella somma di tremila euro in favore della cassa per le ammende.

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 30169 del 12 luglio 2023 (u.p. 6 aprile 2023) – Pres. Serrao – Est. Cenci – Ric. M.C. e MI. CI.. – Per un piano di lavoro sopraelevato, anche se collocato a meno di due metri da terra, è necessario predisporre, a protezione dalla caduta dall’alto, barriere o altre difese equivalenti e ciò in adempimento al punto 1.7.3. Dell’all. Iv del d. Lgs. 81/2008.

Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it