Le linee di indirizzo CNI presentano i rischi delle modalità di lavoro in smart working e si soffermano sul tema della valutazione. La necessità di raccogliere dati, la collaborazione con il lavoratore e l’informativa sui rischi.
In questo periodo di emergenza COVID-19, caratterizzato da una larga diffusione del lavoro a distanza, abbiamo più volte raccontato i vantaggi del lavoro agile, anche in relazione alla riduzione dei rischi stradali e infortuni in itinere (“ COVID-19 e lavoro agile: crollano i dati relativi agli infortuni in itinere”).
Tuttavia esistono anche delle criticità, nelle attività in smart working, e rischi generali e specifici di cui tenere conto.
Tuttavia la valutazione dei rischi, nel contesto del lavoro agile, al di là del dovere del datore di lavoro di identificare i rischi specifici cui sono esposti i lavoratori anche nelle sedi prescelte per lo svolgimento del lavoro, “dovrà lasciarsi alle spalle le logiche tradizionali, prendendo atto che questa modalità organizzativa:
- non coincide sempre col lavoro in solitudine e/o con l’attività da casa;
- non si svolge necessariamente secondo dinamiche a basso rischio;
- può implicare il confronto con criticità psico-fisiche individuali (es. disabilità) in un’ottica di inclusione e/o di reintroduzione all’attività lavorativa dopo un incidente;
- può travalicare i confini nazionali, richiamando in causa ulteriori fattori d’interesse per quanto concerne i lavoratori all’estero e le relative responsabilità datoriali”.
A soffermarsi in questi termini sulla valutazione del rischio nelle attività in smart working (o lavoro agile) è il documento CNI (Consiglio Nazionale degli Ingegneri) “ Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working”, curato dall’Ing. Gaetano Fede (Consigliere CNI coordinatore GdL Sicurezza), dall’Ing. Stefano Bergagnin (GdL Sicurezza CNI) e del Gruppo Tematico Temporaneo “Smart working e lavori in solitudine”.
Rimandando alla lettura anche dell’intervista “ Smart working: come gestire la valutazione dei rischi e la formazione?”, riprendiamo oggi alcuni contenuti del documento del CNI con riferimento ai seguenti argomenti:
- Valutazione dei rischi: la necessità di raccogliere i dati
- Valutazione dei rischi: la collaborazione tra lavoratori e datori di lavoro
- Lavoro agile: contenuti dell’informativa sui rischi
- Valutazione dei rischi: ambienti indoor e outdoor
Valutazione dei rischi: la necessità di raccogliere i dati
Le linee di indirizzo ricordano che la valutazione dei rischi richiede “prima di tutto un inquadramento organizzativo dello staff che opera in modalità di lavoro agile”.
È utile individuare “quanti lavoratori operano in condizioni di smart working, quanti e quali eventualmente è già programmato che vi lavorino nell’immediato futuro”.
E un altro aspetto importante da verificare preventivamente alla valutazione dei rischi specifica “riguarda quale tipologia di attività aziendale viene svolta in modalità lavoro agile e quale sia l’estensione geografica dei lavoratori coinvolti (sedi di lavoro in smart working ed eventuali ulteriori spostamenti temporanei, ad esempio presso locali di vacanza o in trasferta presso clienti)”.
Praticamente – continua il documento – “è necessario procedere inizialmente con una check list interna improntata ad una raccolta dei dati elencati”.
Valutazione dei rischi: la collaborazione tra lavoratori e datori di lavoro
Con riferimento a quanto previsto dal D.Lgs. 81/2008 si indica poi che il datore di lavoro, “oltre a fornire ai lavoratori le attrezzature e i dispositivi necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa, dovrà considerare anche tutti gli aspetti legati alla sicurezza e alla salute degli smart workers”.
Inoltre, in collaborazione con il RSPP aziendale, il datore di lavoro dovrà “procedere alla valutazione dei rischi, individuando idonee misure per la loro gestione e prevenzione”. E tale valutazione “dovrà individuare i rischi ‘generali’ e i rischi ‘specifici’ connessi alla particolare modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, in ambienti diversi da quelli abituali di lavoro”.
Si ricorda che il lavoro agile è “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, che ha molte similitudini” con altre situazioni di lavoro più conosciute (ad esempio, il telelavoro o lo svolgimento di trasferte, missioni). Ciò che caratterizza tali prestazioni è il loro svolgimento ‘in parte all’interno dei locali aziendali ed in parte all’esterno, senza una postazione fissa ed entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge o dalla contrattazione collettiva’.
Tuttavia, riguardo ai luoghi di lavoro, il d.lgs. 9 aprile 2008, n.81 ad oggi non prevede “nulla di specifico relativamente allo smart working”. E la difficoltà “sta dunque nell’individuare comportamenti e procedure idonei a tutelare il lavoratore durante i periodi in cui gestisce la propria attività lavorativa al di fuori della sede aziendale senza eleggere alcun luogo in particolare (anche se potrebbe farlo in casi particolari” come previsto dal comma 3 dell’articolo 23 della Legge n. 81 del 22 maggio 2017)”.
Si ricorda poi che l’articolo 22 della legge n. 81/2017 dedicato la sicurezza sul lavoro “stabilisce che:
– 1. “Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
– 2. Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali”.
Dunque il secondo comma introduce “una sorta di collaborazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, per quanto concerne il rispetto delle norme di prevenzione e di sicurezza”, e la motivazione di questa scelta è “da ricercarsi nell’oggettiva impossibilità, da parte del datore di lavoro, di un pronto intervento al verificarsi di una criticità”.
Lavoro agile: contenuti dell’informativa sui rischi
Riguardo all’apposita informativa in cui vengono precisati i rischi specifici e generici a cui il lavoratore è esposto, non si può “prescindere dal consegnare tale documento per la prima volta prima dell’inizio dell’attività, quindi prima della firma del contratto”.
Si indica che il contenuto di tale informativa “non è affatto semplice da definire, l’applicazione del D.Lgs 81/2008 ci ha abituati ad individuare con estrema precisione i rischi legati all’attività svolta in azienda, cosa il lavoratore deve fare e come deve farlo, qui si tratta invece di informare il lavoratore, non tanto sui rischi specifici della sua attività in quanto, presumibilmente, si tratta pur sempre di attività svolte principalmente al computer o tablet, quanto piuttosto come possono variare i rischi di natura generica, quali ad esempio possono essere la possibilità dell’aumento dei disturbi muscolo scheletrici legati all’ergonomia, del rischio incendio, del microclima, ecc., qualora l’attività sia svolta in luoghi non a norma o non gestiti correttamente; sempre in relazione a tali luoghi si potrebbe manifestare l’eventualità di essere aggredito da malintenzionati, l’aumento del rischio elettrico nel caso in cui l’attività venga svolta in locali di cui non si conosce l’affidabilità del sistema elettrico e, perché no, anche l’aumento di rischi psicologici qualora il lavoro venga eseguito prevalentemente in casa senza che ai familiari sia data un’adeguata preparazione finalizzata a comprendere il nuovo obbligo contrattuale del lavoratore, e si potrebbe continuare lungamente a elencare ulteriori rischi di ordine generico e/o specifico”.
Ci dovrà essere un “cambiamento della percezione del rischio del dipendente: dovrà prendere consapevolezza della possibile realizzazione di una pluralità di eventi, spesso imprevedibili e, di conseguenza, interiorizzare una più spiccata attenzione nella prestazione della propria attività. Verso queste nuove consapevolezze convergeranno i comportamenti adottati”.
Si segnala che alcune norme e pubblicazioni internazionali sul tema “prevedono anche misure di approfondimento preventive molto precise come ad esempio ‘richiedendo al lavoratore a distanza di fornire una planimetria o delle foto della postazione di lavoro che aiuti il proprio superiore per riuscire a valutare se sia adeguata’” (IOSH “Home office mobile office full report” – 2014).
Le modalità di svolgimento dello smart working “dovranno essere concordate direttamente con il lavoratore con l’obiettivo di incrementare la competitività ed agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei lavoratori”. E tra i compiti del lavoratore, si annovera “quello di preservare la riservatezza dei dati aziendali: in quest’ottica in alcuni casi sarebbe opportuno non svolgere la propria attività in luoghi affollati, come ad esempio utilizzando luoghi pubblici usufruendo il wi-fi disponibile”. Il lavoratore dovrà anche “rendersi reperibile durante alcune fasce orarie dell’orario lavorativo, evitando in questo senso luoghi che non garantiscono una connessione internet stabile”.
Si sottolinea poi che l’informativa sui rischi “deve essere rielaborata ogniqualvolta si introduca un cambiamento, in particolare per ciò che concerne le attrezzature e gli strumenti tecnologici forniti ai lavoratori. In sintesi, spetta al lavoratore comportarsi in ottemperanza alle regole indicate volte al mantenimento della sicurezza nello svolgimento della propria attività, nonché adoperare in via generale buonsenso e prudenza per quanto concerne l’utilizzo degli spazi scelti per il suo svolgimento”.
Valutazione dei rischi: ambienti indoor e outdoor
Il documento ricorda, infine, che la scelta del luogo dove svolgere l’attività lavorativa smart working, “potrà ricadere su un ambiente indoor oppure outdoor e dovrà essere dettata da un criterio di ragionevolezza che tenga conto di molteplici aspetti”, tra i quali, per esempio, per ambienti indoor:
- “adeguata illuminazione;
- adeguata disponibilità di servizi igienici e acqua potabile e presenza di impianti a norma;
- ricambio dell’aria naturale o con ventilazione meccanica;
- evitare di regolare la temperatura a livelli troppo alti o troppo bassi (a seconda della stagione) rispetto alla temperatura esterna;
- evitare l’inalazione attiva e passiva del fumo di tabacco”.
Mentre per ambienti outdoor:
- “bassa esposizione a radiazione solare ultravioletta;
- condizioni meteoclimatiche favorevoli;
- luoghi che consentano il facile raggiungimento da parte dei soccorsi;
- aree che non presentino sostanze combustibili o infiammabili;
- utilizzo di abbigliamento e protezioni adeguate”.
In definitiva nel procedimento di valutazione dei rischi devono “essere individuate le specifiche misure dirette ad eliminare, o quanto meno a ridurre i rischi medesimi. In definitiva anche per chi lavora a distanza è necessario individuare misure di carattere tecnico od organizzativo atte a eliminare o ridurre i rischi evidenziati”. E per la quantificazione del livello di rischio “bisogna scegliere in questo caso una metodologia diversa per la valutazione”. Si potrebbe, ad esempio, conclude il documento, “utilizzare l’ormai diffuso criterio di valutazione dei rischi per indicare l’entità degli stessi basato sulle variabili probabilità che si verifichi un evento e possibile danno arrecato dall’evento stesso, ma basandosi su un’attività preliminare mirata all’approfondimento delle caratteristiche dei locali e delle strumentazioni che verranno utilizzati dai lavoratori agili”.
Segnaliamo, infine, che il documento del CNI, che vi invitiamo a leggere integralmente, riporta anche indicazioni relative ai possibili rischi specifici da valutare.
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Scarica la normativa di riferimento:
Fonti: Puntosicuro.it, CNI.it, Gazzetta ufficiale