I lettori hanno avuto notizia dei numerosi eventi delittuosi, perpetrati da piloti di droni, che depositavano cellulari, droghe ed altro materiale all’interno delle carceri. Questo fenomeno negli Stati Uniti ha già raggiunto proporzioni epidemiche.
Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, in coordinamento con l’ente nazionale per l’aviazione civile – ENAC, ha stabilito regole assai vincolanti per il sorvolo di istituzioni carcerarie, da parte di droni. È stata addirittura istituita un’apposita sezione, tanto è vero che la gestione del servizio è stata affidata alla Sezione V^ – Impianti di sicurezza e sistemi antidrone dell’Ufficio III – Coordinamento tecnico e gestione dei beni immobili del DAP.
Negli Stati Uniti, questi problemi sono apparsi assai prima ed ecco la ragione per la quale metto a disposizione dei lettori, interessati a questa particolare tipologia di rischio, una panoramica delle contromisure che sono state già adottate negli Stati Uniti, mettendo in evidenza, per ogni misura, alcuni limiti oggettivi alla sua efficacia.
Il primo passo da attuare è evidentemente quello di mettere a punto strategie per individuare tempestivamente questi voli illeciti di droni. L’osservazione visiva ha molti limiti, anche perché, quando il drone supera una certa quota, non è praticamente visibile ad occhio nudo. Inoltre, stante il fatto che i droni possono arrivare da 360°, su molti insediamenti, diventa oltremodo difficile poter organizzare sistemi di osservazione ottica sull’intero perimetro dell’ insediamento carcerario.
Ecco perché è possibile utilizzare altri sistemi, come ad esempio sistemi acustici, che si indirizzano in particolare sul ronzio prodotto dai motori elettrici dei droni e sono in grado di attirare l’attenzione della polizia penitenziaria sulla zona, da dove proviene il ronzio sospetto. Si tratta di tecnologie già ormai note, ma che hanno un costo non trascurabile e richiedono tempi di approvvigionamento, installazione e attivazione non particolarmente brevi. Si tratta di tutt’una nuova gamma di tecnologie, per le quali occorre anche addestrare il personale di polizia penitenziaria, con tempi e costi non trascurabili.
Più rapida e semplice potrebbe essere l’adozione di sistemi di difesa fisica, come ad esempio la posa di una rete su tutte le aree, sulle quali il drone potrebbe sganciare l’oggetto illecito, che esso trasporta. Si tratta di un ampliamento delle tecniche difensive, che vennero attuate anni fa, quando un elicottero riuscì ad atterrare nel campo di gioco all’interno di un insediamentopenitenziario, consentendo la fuga di alcuni detenuti. Successivamente, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha installato dei cavi di acciaio, in corrispondenza dei campi sportivi, in modo da impedire l’avvicinamento e l’atterraggio di elicotteri. Siamo davanti, ancora una volta, alla continua rincorsa tra l’evoluzione delle tecniche di attacco, usate dai malviventi, e l’adeguamento delle tecniche di difesa, utilizzate dai soggetti attaccati.
Negli ultimi tempi il problema si è aggravato, perché i droni dispongono di batterie di alta potenza, che hanno incrementato in maniera significativa la massa dell’oggetto, o degli oggetti, che possono essere trasportati, con modesto impatto sulla autonomia di volo. Inoltre, l’adozione di sistemi di navigazione autonoma, secondo percorsi programmati grazie al ricevitore GPS, fa sì che la creazione di disturbi radio (jamming), che potrebbero neutralizzare il collegamento fra il pilota ed il drone, possa non essere realmente efficace.
Raccomando ai lettori di studiare attentamente il documento allegato, che offre, in modo lucido e graficamente comprensibile, le varie soluzioni disponibili per mettere sotto controllo questo fenomeno, che potrà soltanto incrementare la sua frequenza, se non si attiveranno al più presto adeguate misure tecniche e procedurali di contrasto.
Criminal Justice Testing and Evaluation Consortium (U.S.) – Contraband and Drones in Correctional Facilities (formato PDF, 4.43 MB).
Fonti: Puntosicuro, nij.ojp.gov