Dall’emanazione del D.Lgs. 81/08 sono state erogate milioni di ore di formazione alla sicurezza. Qualche dubbio sulla sua efficacia permane, dato che il fenomeno degli infortuni sul lavoro non può certo essere considerato sotto controllo. Di C.G. Catanoso

L’analisi delle statistiche relative agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, presentate periodicamente dall’INAIL (anche se in valore assoluto negli ultimi anni e quindi statisticamente poco significative se non pesate sulle ore effettivamente lavorate), continuano ad evidenziare un loro andamento tutt’altro che positivo. Infatti, nonostante l’emanazione da 22 anni del D. Lgs. n. 626/1994 e da più di 8 anni del D. Lgs. n. 81/2008, il fenomeno è ben lungi dal poter essere considerato sotto controllo.

La maggior parte di questi infortuni, come risulta dagli atti processuali relativi a gravi eventi, è in buona parte dovuta, nella migliore delle ipotesi, ad una carente formazione alla sicurezza sul lavoro.

Pertanto, ci se deve domandare come mai, dopo tutto questo tempo e il tanto danaro speso dalle aziende per la formazione alla sicurezza del proprio personale, la situazione è ancora quella che è.

Certamente non si ha la presunzione di avere in tasca la soluzione al problema ma obiettivamente qualche dubbio sulla reale efficacia di quanto fatto fino ad oggi, viene sicuramente.

Pertanto, dopo il precedente contributo, pubblicato su Puntosicuro lo scorso 25 ottobre 2016 ( Alcune riflessioni sulla formazione alla sicurezza sul lavoro), in cui sono state fatte alcune riflessioni sull’attuale offerta formativa, adesso si vogliono esplorare gli elementi che condizionano l’efficacia di un intervento formativo.

Ovviamente, è opportuno ricordare ancora una volta che la formazione alla sicurezza sul lavoro è un processo che consente alle persone interessate di diventare più preparate nello svolgere un’attività non solo limitatamente ad una maggiore conoscenza ed abilità, ma, soprattutto, grazie all’acquisizione di una maggiore consapevolezza del proprio ruolo e del proprio comportamento, connessi all’espletamento della propria attività lavorativa.

Il problema di fondo diventa dunque quello di cambiare un comportamento imposto e quasi sempre non condiviso, in uno pienamente accettato, in quanto la sicurezza diventa parte integrante della propria esperienza lavorativa.

In qualsiasi contesto si svolga la formazione è necessario tenere presente l’aspetto delle resistenze degli individui di fronte al cambiamento. Il cambiamento spaventa, perché ci pone di fronte a situazioni ignote verso le quali si preferisce reagire mettendo in atto sempre lo stesso comportamento, anche se quest’ultimo dovesse mettere l’individuo in situazioni di rischio.

Le resistenze psicologiche al cambiamento possono essere causate sia da fattori interni che esterni al soggetto.

Le resistenze interne derivano principalmente dal fatto che, per qualunque individuo, la prospettiva di modificare il proprio modo di essere e di comportarsi, invece che apprendere semplicemente dei concetti, viene vissuta come una possibile minaccia, in quanto ciò gli comporta la necessità di conoscere alcuni aspetti del proprio comportamento mai messi in dubbio in precedenza, gli pone degli interrogativi sul proprio reale valore come persona, minacciandogli così l’immagine e prospettandogli possibilità di insuccesso professionale nel proprio ambiente lavorativo.

Un altro tipo di resistenze è quello associato a variabili esterne, come ad esempio quelle derivanti dalla pressione sociale del gruppo (azienda, reparto, squadra di lavoro, ecc.).

Infatti il gruppo può esercitare un influsso notevole sul comportamento di un individuo; ad esempio se il gruppo ritiene ridicolo o inutile un certo modo di comportarsi (si pensi all’uso dell’elmetto o di qualunque altro DPI) è probabile che il singolo soggetto, pur di farsi accettare, si uniformi a quel determinato modo di essere e comportarsi.

Il gruppo è quindi in grado di creare degli ostacoli psicologici, anche non intenzionali, rendendo inefficace l’azione della formazione alla sicurezza sul posto di lavoro. Molti corsi dedicati al tema della sicurezza sono improntati soprattutto sulla trasmissione di informazioni e regole, mentre viene spesso trascurata la parte che prevede un cambiamento comportamentale; i risultati sono accettabili a breve termine, poiché chi partecipa al corso si sente tranquillo e soddisfatto di ciò che ha imparato ma, si dimostrano inefficaci nel momento in cui ciò che è stato appreso si deve tradurre in azioni concrete.

Visto che l’obiettivo della formazione alla sicurezza è quello di la modificare gli atteggiamenti ed i comportamenti, allora è solo facendo emergere, a livello cosciente, nei soggetti coinvolti, le resistenze al cambiamento che è possibile conseguirlo.

Inoltre, qualunque programma di formazione alla sicurezza, per avere successo, non può essere limitato ad alcuni soggetti di un’impresa ma deve, invece, comprendere tutto il gruppo che si vuole far evolvere (in azienda sono tutti i soggetti che, a partire dal management, si occupano dell’organizzazione e gestione delle attività).

Nella prima fase è necessario intraprendere tutte le azioni necessarie per “sbloccare” l’individuo da quello che è il suo consolidato e tranquillizzante modo di essere e di agire abituale, tenendo presenti le differenze individuali a livello di esperienza.

La seconda fase deve essere incentrata sullo sviluppo di un comportamento più adeguato a quelli che sono i reali bisogni, in materia di sicurezza e tutela della salute, della propria organizzazione.

La terza fase consiste nel fornire quel “sostegno” necessario all’individuo per fissare il proprio nuovo modo di essere e di affrontare il problema sicurezza, evitando così le possibili involuzioni del proprio comportamento ed un ritorno al passato.

Per quest’ultima fase è essenziale il sostegno fornito dal management aziendale, in quanto, sia gli atteggiamenti, sia le attese dei superiori, condizionano fortemente l’adozione, il mantenimento e lo sviluppo dei comportamenti dei membri dell’organizzazione.

Infine, è opportuno ricordare che, secondo l’approccio sistemico allo studio delle organizzazioni, la modifica del comportamento di un individuo in una certa situazione lavorativa, provoca un’alterazione dell’equilibrio della stessa situazione, in quanto questi esercita pressioni sugli altri soggetti.

Si comprende, dunque, che qualsiasi intervento di formazione alla sicurezza, per avere buone probabilità di successo, deve essere diretto sia sull’individuo che sull’intero contesto ambientale in cui esso si trova ad operare, dove per “contesto ambientale” si intende non solo il reparto ma, soprattutto, l’intera azienda.

Infine, l’ultima condizione necessaria per il processo formativo è quella relativa all’esistenza di un clima emotivo adeguato.

Chiunque si trovi in un processo formativo trova faticoso, emotivamente, mettere a nudo il proprio comportamento ed i propri atteggiamenti, ricevendo, con le informazioni di ritorno, le critiche degli altri partecipanti; di conseguenza, la prima difesa dell’individuo è quella di rifugiarsi in un atteggiamento difensivo che inibisce ogni possibile evoluzione.

Ad esempio, un direttore di stabilimento che, dovendo scegliere tra due imprese per l’esecuzione dei lavori edili all’interno dell’impianto, una con un’offerta economicamente più vantaggiosa e l’altra, palesemente più organizzata e affidabile ma con un costo superiore, abbia scelto la prima, tenderà a rifugiarsi in un atteggiamento difensivo, giustificando la scelta con i propri obblighi di contenimento di spesa nei confronti del datore di lavoro o con altre giustificazioni similari.

Diventa, quindi, essenziale far sì che, nel processo formativo, si crei un’atmosfera tranquilla in cui, i comportamenti dei partecipanti, vengano accettati così come sono, riducendo le possibilità dell’insorgere di atteggiamenti difensivi. Solo così l’individuo potrà accettare i giudizi sul proprio comportamento, mettere in discussione il proprio modo di essere e sperimentare un nuovo modo di comportarsi.

La formazione alla sicurezza ha operato, fino ad oggi, sul piano delle conoscenze e delle capacità, mirando ad accrescere il bagaglio culturale degli addetti e a sviluppare le capacità dei soggetti in formazione. Oggi, dunque, si insegna a sapere ed a saper fare più che a saper essere.

Il compito della formazione alla sicurezza, invece, deve essere quello di comunicare, oltre al sapere ed al saper fare, anche il saper essere e ciò perché, il modo di comportarsi di un individuo, in una determinata situazione, è funzione di quella che è la sua conoscenza esperenziale, cioè quelle regole di comportamento scoperte con l’esperienza a prescindere da modelli o soluzioni fornite a tavolino.

Secondo le moderne teorie organizzative, le organizzazioni aziendali, a prescindere dalle dimensioni, sono concepite come organismi sociali nei quali interagiscono e si influenzano vicendevolmente variabili individuali e variabili strutturali.

Per un efficace intervento di formazione alla sicurezza, quest’aspetto è tutt’altro che trascurabile; infatti, fino ad oggi, si commesso un altro grave errore: si è pensato che un azione di formazione alla sicurezza sugli individui potesse avere effetto anche sull’intera organizzazione impresa.

Si è, dunque, confuso il possibile mutamento dei singoli con quello dell’organizzazione, trascurando che i comportamenti degli individui possono essere determinati sia dai ruoli ricoperti all’interno della propria impresa, sia dai bisogni individuali e dai valori interiorizzati da ciascuno di essi.

Possiamo, dunque, affermare che è un’ipotesi perlomeno semplicistica pensare di dare per scontato che, l’acquisizione di nuove conoscenze e di nuovi modelli di percezione del problema sicurezza, forniti nella maggioranza dei corsi, possano, dopo aver creato dei cambiamenti nella sfera motivazionale degli individui, essere mantenuti al di fuori del momento formativo e trasferiti nella normale situazione lavorativa, producendo poi una serie di cambiamenti nei comportamenti degli altri individui della stessa organizzazione.

Il comportamento degli individui, all’interno dell’organizzazione impresa, è determinato da variabili ben diverse da quelle che agiscono sul comportamento fuori da un contesto organizzato.

Quindi, qualunque modifica del comportamento dell’organizzazione impresa nei confronti del problema sicurezza, potrà essere perseguita solo attraverso interventi sia sugli individui, sia sulle strutture organizzative, ma mai agendo solo sugli individui o solo sulle strutture.

Per fare, efficacemente, un’attività di formazione alla sicurezza, bisogna abbandonare i vecchi schemi di riferimento e basarsi su presupposti e metodologie, ben diverse da quelle che il sistema formativo per la sicurezza sul lavoro ha offerto e tuttora offre.

Quest’attività deve porre al centro dell’attenzione le esperienze quotidiane di lavoro, in particolare, per quel che concerne i vissuti e le valutazioni del rischio e della prevenzione così come sono state maturate all’interno della struttura organizzativa (azienda) di appartenenza.

L’obiettivo principale del processo formativo deve essere quello di far emergere, dagli appartenenti a gruppi operativi omogenei (appartenenti alla stessa azienda e non provenienti da diverse aziende e quindi realtà organizzative differenti come avviene nella maggior parte dei corsi offerti), tutte le conoscenze necessarie per individuare e valutare i rischi presenti nella attività lavorativa e, soprattutto, i comportamenti più opportuni per eliminarli e/o controllarli, integrando, quando occorre, le conoscenze mancanti, carenti o distorte.

Un intervento formativo, per essere efficace, deve, dunque interessare l’intera struttura organizzativa, anche perché, la sicurezza è funzione di variabili organizzative, tecniche, normative, economiche, produttive, socio-psicologiche, ecc., che non possono e non devono essere trascurate nella formazione alla sicurezza.

Bisogna, dunque, agire sulle strutture e sugli individui; ciò vuol dire che bisogna cominciare a pensare ad interventi formativi da destinare non più al solo personale delle aziende ma alle aziende nella loro interezza (personale e struttura organizzativa). Ogni intervento dovrà essere pensato e tarato in funzione della specifica realtà aziendale; in concreto bisognerà individuare le aree critiche (macchine, attrezzature, comportamenti del personale, ecc.), in materia di sicurezza, dell’azienda e strutturare un intervento formativo specifico per quelli che sono i reali bisogni.

In conclusione, non si può continuare, nonostante i risultati negativi degli ultimi anni, a rifiutare gli approcci innovativi e visioni più ampie del problema, rifiutandosi di mettere in discussione criteri ritenuti inalterabili.

Si corre il rischio di rifugiarsi sempre nella certezza di “ciò che si è sempre fatto” e di considerare il “nuovo” come inutile e sbagliato perché differente dal vecchio modello ormai consolidato.

E’ un atteggiamento di rifiuto di analisi; il rischio che si corre, in questo caso, è quello di chiudersi rispetto ai reali bisogni in materia di formazione alla sicurezza.

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

 

Fonti: Puntosicuro.it