Oggi possiamo dire che l’approccio che vedeva nell’errore umano la causa di un infortunio sul lavoro, nonostante gli ambienti e le attrezzature di lavoro fossero rispondenti alle norme di legge e regolamentari vigenti, è stato completamente abbandonato.

Quando ho cominciato ad occuparmi di sicurezza sul lavoro e cioè nella seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso, sentivo sempre ripetere che l’ ”errore umano” era la  spiegazione per gran parte degli infortuni sul lavoro avvenuti nonostante gli ambienti e le attrezzature di lavoro fossero rispondenti alle norme di legge e regolamentari vigenti.


Ancora oggi leggendo i giornali o ascoltando i servizi televisivi si continua a fornire questo tipo di spiegazione per l’accadimento di questi eventi.

Personalmente penso che questo tipo di spiegazione si porti dietro il solito approccio da normotecnosauri e cioè quello che porta a pensare che:

  • i processi sono pianificati e tenuti sotto controllo;
  • le regole a cui attenersi ci sono, sono note a tutti e concretamente applicabili nelle varie situazioni di lavoro;
  • se si è verificato un infortunio, allora la persona coinvolta non ha fatto ciò che doveva fare.

Oggi possiamo dire che, almeno in una buona parte degli addetti ai lavori, l’approccio che vedeva nell’ errore umano la spiegazione degli eventi avvenuti, è stato completamente abbandonato.

Si è fatto strada, non senza fatica, l’approccio che vede l’errore come conseguenza di situazioni contestuali in cui sono stati messi coloro che li hanno commessi.

Ciò perché l’errore non è altro che una situazione in cui un lavoratore (o un gruppo di persone) non è riuscito a trasferire le proprie competenze nell’operatività del lavoro di cui era incaricato  a causa di problemi legati a scelte progettuali, all’organizzazione aziendale, al contenuto del bagaglio formativo posseduto, ecc.

Pertanto, l’obiettivo di noi addetti ai lavori dovrebbe essere quello prevenire tutte quelle situazioni che possono favorire o aumentare la possibilità degli errori da parte dei lavoratori.

Spesso, inoltre, facciamo confusione tra i termini “errore” e “violazione”.

Proviamo a chiarire la differenza.

Possiamo definire l’errore come ogni tipo di mal funzionamento, durante l’esecuzione di una serie di azioni, che non permette di ottenere il corretto raggiungimento degli obiettivi fissati. Si tratta, quindi, di una deviazione in rapporto a determinati riferimenti (nel nostro caso, sono principalmente norme e regole per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro), anche se il lavoratore non aveva alcuna intenzione di farlo. Ciò significa che quando parliamo di errore parliamo sempre di qualcosa di non volontario.

La violazione, invece, è una deviazione volontaria rispetto i citati riferimenti.

Possiamo distinguere le violazioni, ovviamente escludendo quelle attuate con l’intenzione di nuocere (sabotaggi, ecc.) trattandosi di veri e propri reati penali, in tre tipologie:

  • violazioni derivanti dal “costo” psicofisico elevato derivante dal rispetto delle norme e delle regole ma le cui conseguenze sono percepite dal lavoratore a basso o trascurabile impatto e sono anche accettate dal gruppo di lavoro (reparto, squadra, ecc.); ovviamente, il livello di tolleranza di queste violazioni da parte del gruppo è funzione del livello della cultura della sicurezza dell’organizzazione;
  • violazioni derivanti dal comportamento del singolo lavoratore e oggetto di disapprovazione degli altri componenti del gruppo di lavoro;
  • violazioni derivanti dall’esistenza di norme e regole contraddittorie o la cui contemporanea applicazione non è concretamente attuabile.

A questo punto è opportuno rappresentare le varie tipologie di errore che possono essere commesse durante la prestazione lavorativa.

La prima tipologia di errore si riscontra nella:

  • esecuzione di automatismi nell’operatività come, ad esempio, quando si crede di aver premuto l’interruttore n. 1 mentre non lo si è fatto oppure quando si è premuto l’interruttore n. 2 inavvertitamente;
  • quando a un movimento o azione mentale volontaria non corrisponde la rispettiva e normale concretizzazione motoria o mentale come, ad esempio, dovendo digitare un codice di attivazione, si sbaglia la sequenza dei numeri da digitare;
  • errata percezione come, ad esempio, quando si legge sul display della consolle di comando di una macchina P4 invece di R4.

Questa tipologia di errore è sicuramente la più frequente ma è anche quella più facile da identificare e correggere sia dal singolo operatore che dal gruppo di lavoro.

Per ridurre la probabilità di accadimento di questa tipologia di errori, è indispensabile che in fase di progettazione si prevedano sistemi che richiedano, ad esempio, una conferma al comando impartito, una predisposizione dei sistemi di azionamento che siano coerenti con il senso di movimento che si vuole azionare, ecc..

Dal punto di vista procedurale, si può pensare, ad esempio, a forme di doppio controllo.

La seconda tipologia di errore riguarda quella che si concretizza nell’attuazione delle regole.

Ognuno di noi, con l’esperienza, si costruisce delle proprie regole. Un operatore, lavorando ad una macchina si costruisce un proprio sapere operatorio con proprie regole. L’applicazione di queste regole potrà andare avanti per molto tempo fino a quando non si riscontrerà un’eccezione in grado di rendere obsoleta la regola applicata dall’operatore facendogli commettere l’errore.

Sempre rispetto alle regole, l’errore può anche derivare nella loro esecuzione formale. Infatti, una certa situazione in uno specifico contesto può indurre un operatore a seguire una regola che non andava applicata oppure a non applicare una regola che andava applicata. Sempre nell’esecuzione formale delle regole, l’errore può avvenire durante la sua esecuzione come, ad esempio, quello derivante dal saltare una sequenza di attivazione per il funzionamento di una macchina.

Questa tipologia di errore, pur essendo in percentuale, molto inferiore rispetto alla prima tipologia, è più difficile da individuare. Spesso, l’individuazione non avviene da parte del personale coinvolto ma tramite segnalazione di terzi non direttamente coinvolti.

Per ridurre questa tipologia di errore, le realtà più attente impongono specifiche disposizioni organizzative che intervengono prima dell’esecuzione delle operazioni: analisi dei possibili scenari con simulazioni, briefing preventivi, ecc.

La terza tipologia di errore è direttamente connessa all’utilizzo delle conoscenze disponibili da parte degli operatori. Su questo aspetto, chi scrive ha trattato l’argomento nell’articolo “ Regole, attività individuale e sicurezza sul lavoro” pubblicato su Puntosicuro il 17/02/2021.

In genere ciò avviene quando non c’è una regola per affrontare una determinata situazione e gli operatori devono attingere alle proprie conoscenze per analizzare e rispondere in modo adeguato a ciò che si trovano davanti.

Ciò può originare l’errore quando le conoscenze dell’operatore e le risorse cognitive, tecniche ed organizzative non sono adeguate ad affrontare la situazione imprevista che ci si trova davanti.

Questo tipo di errore è più raro rispetto le precedenti due tipologie ma è quello che può portare a gravi o gravissime conseguenze.

Per ridurre questa tipologia di errore è indispensabile agire sulla formazione degli operatori con interventi che devono andare ben oltre quello che il panorama dell’offerta formativa nazionale offre, visto che, ormai, si è quasi tutta ridotta ad un corsificio/attestatificio.

Stiamo parlando di interventi che coinvolgano attivamente i partecipanti presentando situazioni, il più possibile aderenti alle realtà socio-organizzative in cui essi operano, in modo che i partecipanti acquisiscano quelle conoscenze che servono loro per prendere una decisione, adottare un comportamento, ecc.. Oltre, ad esempio, allo studio di casi, oggi l’evoluzione delle tecnologie, unita alla loro facilità di acquisizione, permette l’utilizzo di simulatori che possono ben soddisfare tali esigenze.

Comunque, oggi possiamo dire che l’approccio basato sull’errore umano è stato, quasi del tutto, abbandonato.

Le motivazioni del perché ciò è avvenuto vanno ricercate in una serie di valide ragioni.
Innanzi tutto, si è presa coscienza che gli errori che noi commettiamo sono numerosissimi.

Immagino che nessuno di chi sta leggendo questo contributo possa affermare di non aver mai compiuto un errore nell’eseguire una determinata serie di azioni per raggiungere un determinato obiettivo. Ad esempio, il sottoscritto, pur facendosi il caffè con la moka tutte le mattine, ogni tanto, incappa in qualche lieve scottatura nel versarlo nella tazzina.

La maggior parte di questi errori non portano conseguenze serie in quanto vengono contenuti nelle loro ricadute dalla stessa persona che li ha commessi.

Questi errori, quando avvengono nei contesti lavorativi organizzati, producendo serie conseguenze, devono essere analizzati per comprendere perché essi non sono stati individuati e contenuti.

Altro aspetto importante è che quando il focus è l’errore umano, la conseguenza immediata è quella che porta ad interessarsi solo degli eventi che hanno avuto conseguenze negative senza effettuare la benché minima analisi delle regole che garantiscono l’affidabilità dei processi aziendali.

Da non dimenticare anche un altro aspetto e cioè quello di trascurare che ogni errore, sia esso con o senza conseguenze, non può prescindere dall’analisi del contesto in cui esso si manifesta.

Questo perché, lo stesso errore in un differente contesto potrebbe non generare alcuna conseguenza.

Quando diciamo, in seguito ad un evento, che una persona ha fatto un errore, significa che stiamo pensando che questa abbia fatto qualcosa di diverso da ciò che avrebbe dovuto fare.

Qui, tutti noi addetti ai lavori, diamo il meglio di noi stessi; infatti, ci mettiamo a fare un’analisi ex post sulla base di tutta una serie di informazioni che la persona coinvolta, non aveva nel momento in cui si è trovata in quella determinata situazione.

Insomma, si dà per scontato che tutte le analisi fatte a posteriori su ciò che andava fatto potessero essere effettuate anche dalla persona coinvolta proprio nel momento in cui questa agiva.

Quando analizziamo un evento a posteriori, quasi sempre diamo per scontato che per evitare o contenere l’evento, la persona coinvolta avrebbe dovuto attingere in modo completo al bagaglio di competenze posseduto in modo da rispondere in modo efficace a ciò che stava avvenendo.

In realtà ciò raramente avviene in quanto la risposta della persona in quella situazione era influenzata da altre attività che, contemporaneamente, impegnavano la sua risposta cognitiva.

Quindi, appare chiaro, che il modo di affrontare una determinata situazione dipende, soprattutto, dal carico cognitivo che grava sulla persona, dalla sua variabilità e dall’analisi in tempo reale che viene fatta per ciascuna delle attività in cui è impegnata.

Infine, non va dimenticato che l’analisi di un evento è spesso centrata solo sull’errore commesso dalla persona che, ad esempio, era addetta alla conduzione della attrezzatura di lavoro coinvolta ma dimenticando che l’attività della persona era fortemente influenzata da variabili che erano al di fuori del suo diretto controllo come, ad esempio, la progettazione e l’organizzazione del processo lavorativa in cui era impegnato.

In conclusione, si può affermare che un errore che avviene durante la conduzione di una macchina o di un impianto sono direttamente connessi ad errori di progettazione ed organizzazione.

Quest’ultima tipologia di errori rimane latente ma è palesemente in grado di aumentare la probabilità che una persona adotti un comportamento inadeguato per la situazione contestuale in cui sta operando.

A questo punto bisogna chiedersi cosa si debba fare per evitare che un errore possa portare a gravi conseguenze.

La risposta che danno gli addetti ai lavori è sempre la stessa: creare delle “barriere”.

A questo punto, chi sta leggendo, non potrà che pensare al classico Modello del Formaggio Svizzero o Modello di Reason.

In questo modello le barriere sono di tipo “individuale”, “collettive”, “tecniche” ed “organizzative”. Secondo Reason, un errore iniziale porterà ad evento grave solo se tutte queste barriere saranno superate.

Pertanto, se volessimo fare un’analisi di quanto avvenuto, non dovremmo certo limitarci ad analizzare l’evento iniziale ma dovremmo focalizzarci soprattutto sull’analisi delle cause che hanno portato le citate barriere a non funzionare in modo efficace.

Questo modello, a parere di chi scrive, non è oggi più sufficiente.

Infatti, esso è pensato facendo riferimento a eventi la cui genesi e diffusione può essere prevista e sulla cui base sono state individuate le citate barriere.

In realtà, molti eventi, sono frutto di una serie di combinazioni non prevedibili che originano delle variazioni. Queste situazioni potranno essere affrontate e gestite con successo solo se il personale presente sul luogo di lavoro è in grado di percepire e comprendere che la variazione è pericolosa e fornire, di conseguenza, una risposta adeguata (anche su questo aspetto, si rimanda all’articolo “ Regole, attività individuale e sicurezza sul lavoro”).

Appare chiaro che in un’organizzazione è necessario fondare un sistema efficiente ed efficace per la gestione della salute e della sicurezza sul lavoro su:

  • misure in grado di rispondere a situazioni che si concretizzano in scenari prevedibili;
  • misure in grado di rispondere, grazie alla presenza di competenze adeguate sul campo, a scenari non prevedibili.

In un’azienda dove la “Cultura della Sicurezza” è veramente diffusa, queste misure sono parte integrante del modo di fare e di essere dell’organizzazione.

Ciò perché la vera e propria cultura della sicurezza è il prodotto dei valori, degli atteggiamenti, della consapevolezza, delle abilità e dei modelli di comportamento individuali e di gruppo che determinano l’impegno nella gestione della salute e della sicurezza integrando tale prodotto nel rapporto tra l’organizzazione aziendale e gli individui che ne fanno parte.

Fonti: Puntosicuro.it