Il datore di lavoro che non adempie ai suoi obblighi di formazione su di lui gravanti risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio di un lavoratore dipeso da una condotta imprudente conseguenza diretta dell’inadempienza degli obblighi formativi.
Un’altra sentenza questa che richiama l’importanza di una corretta formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro quale idonea misura per prevenire l’accadimento di eventi infortunistici. Il principio della giurisprudenza di legittimità che viene riaffermato in essa è quello in base al quale il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui o sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell’espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi; né l’adempimento di tali obblighi si può ritenere escluso o surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro.
L’infortunio di cui alla sentenza era accaduto durante alcuni lavori di messa in sicurezza di una parete rocciosa attraverso il fissaggio di reti allorquando il lavoratore, nel calarsi verso il basso mediante lo scorrimento della doppia corda, per un difetto di procedura, è caduto all’indietro verso valle impattando contro le rocce e finendo sulla strada sottostante, perdendo così la vita sul colpo. La suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dal suo datore di lavoro contro la sentenza di condanna della Corte di Appello perché ritenuto inammissibile e lo ha fatto richiamando il principio ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità sopra riportato.
Il fatto, le condanne, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
Il titolare di una società ha ricorso avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello aveva confermata la condanna emessa a suo carico dal Tribunale per il delitto di omicidio colposo (art. 589, commi 1 e 2 cod.pen.) contestato come commesso, in qualità di datore di lavoro, in danno del fratello. La vittima stava eseguendo dei lavori di messa in sicurezza di una parete rocciosa attraverso il fissaggio di reti, quando decideva di calarsi verso il basso mediante lo scorrimento della doppia corda; la corda però è purtroppo finita e, in mancanza di un dispositivo di blocco (nodo di fine corsa o similare), il lavoratore è caduto all’indietro verso valle impattando contro le rocce e finendo sulla strada sottostante, il che ne ha determinato il decesso sul colpo.
Sia in primo che in secondo grado era stata esclusa la rilevanza causale di alcuni profili di colpa specifica (la mancanza di imbracatura con cosciali e bretelle, anziché soli cosciali, il mancato utilizzo dell’assorbitore di energia), mentre era stata attribuita rilevanza eziologica alla mancanza del nodo di arresto e all’utilizzo di una corda troppo corta, nonché alla mancata formazione professionale del lavoratore, della quale il datore di lavoro è chiamato a rispondere.
Nell’unico motivo di lagnanza, il ricorrente ha lamentata una violazione di legge e un vizio di motivazione in relazione alle modalità operative adottate in occasione dell’infortunio e alla sussistenza del nesso causale tra il mancato assolvimento dell’obbligo formativo e l’infortunio. In merito alle modalità operative, il ricorrente ha dedotto che la Corte di Appello aveva omesso di considerare gli esiti probatori sia con riguardo alla questione della mancata adozione di un nodo o dispositivo di fine corsa, sia con riguardo alla questione della corda troppo corta: su ambedue i punti era stata richiamata la deposizione di un teste, collega della vittima, che era con lui al momento dell’incidente, che aveva spiegato le ragioni per le quali non era stato applicato un nodo di fine corsa e perché era stata scelta una corda corta. Era stato citato anche un ampio stralcio della deposizione resa dal consulente a discarico, di professione formatore, che aveva confermata la fondatezza e correttezza di quanto asserito dal teste. Quanto all’obbligo formativo il ricorrente ha rilevato che di conseguenza, quand’anche fosse stata impartita al lavoratore la formazione necessaria, nulla sarebbe cambiato, avuto riguardo all’accertata correttezza della scelta operativa adottata nell’occasione.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha sottolineato che sia sulla base della motivazione della sentenza impugnata, che su quella delle stesse deposizioni del teste collega dell’infortunato e del consulente di parte, era risultato evidente che l’infortunio era stato causato congiuntamente dalla insufficiente lunghezza della corda e dall’assenza di un sistema di blocco di fine corsa (un nodo o altro apposito dispositivo), atteso che, ove la corda fosse stata di lunghezza adeguata e fosse stato soprattutto presente il dispositivo di fine corsa, l’incidente non si sarebbe verificato. Era risultato inoltre, e soprattutto, che, sebbene la lunghezza delle corde fosse stata calibrata in modo da evitare gli inconvenienti di una corda troppo lunga con un tratto di strada sottostante, nondimeno un teste aveva ammesso che forse le corde erano un po’ troppo alte e, quanto al nodo di fine corsa, la ragione principale addotta dal teste per la mancata adozione di tale soluzione era quella di evitare incagli, salvo poi precisare che la presenza di un nodo poteva rappresentare un pericolo nel caso di lavori eseguiti con corde lunghe 60-70 metri, ma non con corde di 15-20 metri di lunghezza, come nel caso in esame.
In proposito, fornendo risposta alle censure difensive riproposte nel ricorso la Sezione V ha evidenziato che correttamente la Corte di merito aveva osservato che «in un giudizio di valore la maggiore agilità o speditezza del lavoro non può superare la necessaria adozione dei presidi di sicurezza» e che proprio l’assenza del nodo di fine corsa (o di altro dispositivo avente analoghe funzioni) non poteva consentire di lavorare in piena sicurezza, avendo a disposizione una corda troppo corta. Fondato inoltre ha ritenuto la suprema Corte l’assunto recepito dai giudici di merito in base al quale aveva avuto un rilievo causale nel prodursi dell’evento la carenza di un’adeguata formazione del lavoratore, imputabile al datore di lavoro.
La stessa Corte di Cassazione ha ribadito al riguardo il principio affermato in materia dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell’espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, citando esplicitamente quanto dalla stessa Cassazione sostenuto nella sentenza n. 39765 del 19/05/2015 della IV Sezione, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Infortunio per comportamento abnorme e mancata formazione: le responsabilità”. La stessa ha ribadito altresì che l’adempimento di tali obblighi non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro, citando le conclusioni alle quali era pervenuta la stessa Sez. IV nella sentenza n. 21242 del 12/02/2014, pubblicata e commentata dallo scrivente sul quotidiano nell’articolo “ Formazione ed esperienza del lavoratore nell’uso di una attrezzatura”.
In conclusione la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it