Perché l’RSPP non ha compiti di vigilanza sull’attuazione degli obblighi da parte del datore di lavoro e non è responsabile penalmente in caso di infortunio per non aver controllato che quello adotti le misure individuate nel DVR.
Benché il principio affermato dal titolo di questo contributo possa essere ritenuto (per fortuna) evidente e ovvio dai conoscitori della materia (o, se non proprio ovvio, quantomeno intuitivo), a volte mi capita di imbattermi, nella mia interlocuzione con i professionisti e le aziende, in qualche incertezza o confusione su questo tema. Allo stesso modo, la stessa confusione è talora rinvenibile nelle argomentazioni difensive dei datori di lavoro nell’ambito dei procedimenti penali per infortunio.
A fronte di ciò, dunque, può essere utile puntualizzare.
Procediamo per gradi.
I compiti dell’ RSPP, al cui svolgimento – secondo diligenza professionale – questo si obbliga civilisticamente nei confronti del datore di lavoro mediante un contratto di lavoro subordinato o un contratto d’opera professionale, sono quelli indicati nell’art.33 del D.Lgs.81/08.
Tra essi non compare alcun compito che preveda che tale soggetto debba garantire – attraverso una qualche vigilanza – il fatto che il datore di lavoro adotti le misure che quest’ultimo è tenuto a predisporre.
Il perimetro dell’area di competenza dell’RSPP, pertanto, lungi dall’essere particolarmente difficoltoso da ricostruire sotto il profilo giuridico, è quello tracciato dal legislatore.
Il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione – in quanto tale – non è un soggetto obbligato all’adozione delle misure di prevenzione e protezione individuate nel documento di valutazione dei rischi, dal momento che, ai sensi dell’art.18 del D.Lgs.81/08, i soggetti tenuti a ciò sono il datore di lavoro e il dirigente (laddove, ciò precisato, da qui in poi citeremo il solo datore di lavoro).
La Cassazione è infatti cristallina nel ricostruire e descrivere il ruolo dell’RSPP, allorché sottolinea – sulla base di un orientamento giurisprudenziale ormai costante e consolidato – che “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto consulente del datore di lavoro privo di potere decisionale, risponde dell’evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate”.
Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, “con riferimento agli infortuni che siano da ricollegare alla mancata valutazione del rischio ovvero alla mancata adozione delle misure previste nel documento, la responsabilità deve, dunque, essere configurata in capo al datore di lavoro”, con l’avvertenza che, per quanto riguarda gli infortuni causati dalla mancata o carente valutazione del rischio (che non è però l’oggetto di questo contributo), “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 18 maggio 2023 n.21153).
Coerentemente con tale impostazione, secondo la Suprema Corte, “nonpuò affermarsi […]che gravi sul RSPP l’obbligo di controllare e assicurarsi che il datore di lavoro adempia alle misure di precauzione indicate nel DVR” ( Cassazione Penale, Sez.III, 14 ottobre 2021 n.37383).
Analizziamo ora nel dettaglio il caso su cui si è pronunciata la Cassazione con la sentenza da ultimo citata (su cui concentriamo qui l’attenzione in via meramente esemplicativa, essendo essa tutt’altro che isolata nel panorama giurisprudenziale) per approfondire la portata e i termini applicativi di questo fondamentale principio.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello (giudicando in sede di rinvio e riformando la sentenza di assoluzione emessa in primo grado) aveva condannato A.DC. (quale datore di lavoro) ed N.T. (nella sua qualità di RSPP) per il reato di omicidio colposo in danno del lavoratore L.C.
Entrambi hanno proposto ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del datore di lavoro, confermandone la responsabilità, mentre ha annullato con rinvio la condanna dell’ RSPP.
Con particolare riferimento al ricorso dei quest’ultimo (N.T.), questi da un lato “allega che il sinistro si era verificato non già perché l’imputato non avesse adeguatamente valutato i rischi connessi all’uso della gru, ma unicamente perché il datore di lavoro non aveva attuato le misure di sicurezza (come transenne, segnali acustici e luminosi) previsti e predisposti dal RSPP nel documento di valutazione dei rischi (DVR)” e, dall’altro, sostiene che “il giudice del rinvio aveva errato nel ritenere che il RSSP – che non ha un ruolo gestionale, ma di mera consulenza – abbia l’obbligo di eseguire controlli sull’attuazione, da parte del datore di lavoro, delle misure di sicurezza diligentemente predisposte nel DVR, non essendo destinatario di doveri di vigilanza sulla corretta applicazione delle stesse.”
Secondo N.T., nella sua qualità di RSPP, non si sarebbe “il giudice del rinvio uniformato al principio di diritto stabilito dalla sentenza” di assoluzione del Tribunale, la quale “aveva unicamente prescritto di verificare se il RSPP avesse diligentemente e compiutamente valutato e segnalato i rischi connessi alla movimentazione della gru e se avesse proposto soluzioni appropriate a tal fine, non anche se avesse omesso di controllare l’attuazione da parte del datore di lavoro delle misure cautelari predisposte.”
A livello fattuale, si tenga poi conto che era stato accertato nei gradi di merito che “il lavoratore L.C. entrò nel raggio di azione della gru manovrata dal suo datore di lavoro A.DC. perché – come abitualmente faceva, in alternativa al figlio dell’imputato, in quel momento impegnato in altre mansioni – doveva salire sul cassone del camion dove la gru stava prelevando del materiale ferroso, al fine di aiutare, nella parte terminale dello scarico, il manovratore ad agganciare i più piccoli pezzi di materiale rimasto.”
Dunque, “in modo certamente imprudente, per accorciare il tragitto, il lavoratore transitò alle spalle della gru e troppo vicino alla stessa, venendo attinto – e schiacciato – dal mezzo meccanico mentre questo compiva un’improvvisa rotazione, ma […] nessuna doverosa cautela era stata adottata dal datore di lavoro per scongiurare quel prevedibile rischio, come invece prescritto nel DVR”.
Infatti – precisa la Corte – “l’area di manovra della gru non era transennata per impedire l’avvicinamento alla stessa, né era stata apposta apposita cartellonistica ed il mezzo meccanico era sprovvisto di dispositivi sonori che avvertissero del rischio di eccessivo avvicinamento, come pure di specchietto retrovisore che consentisse al manovratore di tenere sotto controllo l’area alle sue spalle, liberamente accessibile dai lavoratori”.
Ciò chiarito, nel ritenere fondati i motivi di ricorso dell’RSPP, la Cassazione sottolinea che la sentenza d’appello “ha richiamato il consolidato principio secondo cui il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non operativo ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri”.
La Suprema Corte ricorda poi che “si è conseguentemente demandato al giudice del rinvio di valutare se, violando gli obblighi imposti dalla legge, il RSPP avesse «omesso la necessaria e doverosa attività di segnalazione e stimolo ai fini della rimozione del rischio connesso alla movimentazione della gru e…proposto soluzioni appropriate a tal fine».”
Ma “ciò che va tuttavia chiarito, e che il giudice del rinvio non ha rettamente inteso, è che l’attività di segnalazione e stimolo che il RSPP è tenuto a svolgere nei confronti del datore di lavoro attiene, appunto, alla valutazione dei rischi […] sicché, in quanto consulente del datore di lavoro privo di potere decisionale, egli può rispondere dell’evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate”.
E’ importante a questo punto il passaggio della sentenza in cui la Cassazione sottolinea che “la giurisprudenza di legittimità […] è dunque orientata, per quanto qui rileva, a collocare gli obblighi della posizione di garanzia che gravano sul RSPP nella fase di individuazione e valutazione del rischio, e ciò in conformità alla disciplina normativa dettata in materia (cfr., in particolare, le previsioni di cui agli artt.28, 29 e 33, comma 1, lett.a, b, e, d, d.lgs.81/2008).”
In linea con tale presupposto, “per contro, non può affermarsi – né lo ha fatto la sentenza rescindente – che gravi sul RSPP l’obbligo di controllare e assicurarsi che il datore di lavoro adempia alle misure di precauzione indicate nel DVR e che l’omesso svolgimento di questo compito, che la legge non prevede, faccia sorgere responsabilità per eventuali eventi lesivi, ex art.40 cpv. cod. pen., essendo peraltro chiaro che il consulente non ha alcun potere di porre rimedio a consapevoli inottemperanze del datore di lavoro stesso rispetto alle misure di prevenzione specificamente indicate nel documento.”
La Suprema Corte annulla così con rinvio la sentenza della Corte d’Appello, “non potendosi affermare, alla luce dei principi di diritto più sopra esposti, un obbligo del RSPP di attuare egli stesso le misure di prevenzione correttamente segnalate al datore di lavoro e indicate nel DVR ma da questi consapevolmente disattese, né di vigilare sulla loro osservanza”.
Cosa ben diversa rispetto a tale inesistente compito, secondo la Cassazione, è invece il fatto che “tra gli obblighi previsti in capo al RSPP vi è quello di “elaborare per quanto di competenza le misure preventive e protettive di cui all’articolo 28, comma 2” del testo unico oggi vigente – vale a dire quelle richieste dalla valutazione del rischio – ma anche “i sistemi di controllo di tali misure”.”
Va da sé che “soltanto in questi limiti – che sono quelli previsti dalla legge – può dunque ipotizzarsi una condotta omissiva del RSPP rispetto all’attuazione delle misure precauzionali indicate nel DVR con riguardo alla movimentazione della gru in situazione di sicurezza per i lavoratori che potessero o dovessero transitare nell’area di manovra della stessa, e conseguentemente valutarsi se l’eventuale omissione abbia avuto efficacia causale rispetto all’evento letale verificatosi.”
Ma, nel caso di specie, “questa indagine sulla eventuale mancata predisposizione dei sistemi di controllo delle misure precauzionali indicate nel DVR, tuttavia, non risulta in alcun modo effettuata nella sentenza impugnata, sicché neppure sotto questo profilo si giustifica l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato.”
Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it, Anna Guardavilla (Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro)
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