Quali sono i disturbi muscoloscheletrici più diffusi tra le lavoratrici? Quali sono le mansioni più a rischio? Ci sono problemi di sottodenuncia e disomogeneità nei territori? Ne parliamo con Gabriele Norcia, Sovraintendenza Sanitaria Centrale dell’Inail.
L’ottica di genere è sicuramente uno dei parametri di cui tener conto nello studio del fenomeno tecnopatico, delle malattie professionali.
E’ infatti possibile “mappare il fenomeno della specificità di genere, per ogni tecnopatia” e, con riferimento all’anno 2019, le differenze di genere appaiono ben evidenti.
Tra tutte le malattie professionali denunciate nei maschi, “le muscoloscheletriche (MSK) rappresentano il 62,9%. Nelle femmine il 72,1%. Le patologie a carico del rachide, della spalla, degli arti inferiori, sono più frequenti nei maschi, quelle dell’arto superiore, spalla esclusa, nelle femmine”. E le patologie accertate a carico del distretto polso-mano “sono state, nel 2019, 4 volte più frequenti nelle femmine, 712, pari al 7,9% delle denunce di MSK”.
A ricordare, in questi termini, queste differenze nelle malattie professionali è il seminario Inail che si è tenuto il 10 ottobre 2023 ad Ambiente Lavoro 2023 a Bologna, dal titolo “L’ottica di genere nelle tecnopatie. Uno studio delle denunce di malattie muscoloscheletriche nel 2019”.
E proprio in relazione alla necessità, per migliorare le strategie di prevenzione delle malattie professionali che i dati ci mostrano in continua crescita, di approfondire il tema delle differenze di genere nelle malattie professionali, abbiamo intervistato a Bologna, poco dopo il seminario, Gabriele Norcia (Inail, Sovrintendenza Sanitaria Centrale, Settore III) che dell’incontro era responsabile scientifico e che aveva presentato una relazione dal titolo “Presentazione dello studio: L’ottica di genere nelle tecnopatie. Uno studio delle denunce di malattie muscoloscheletriche nel 2019”.
Riguardo allo studio l’intervista pone a Gabriele Norcia diverse domande:
Cosa è in Inail la Sovrintendenza Sanitaria Centrale?
Di quale studio stiamo parlando? Perché si è soffermato sui dati del 2019?
Avete parlato molto di disturbi muscoloscheletrici, che sono le tecnopatie preponderanti in Italia e hanno una incidenza maggiore nel genere femminile. Cosa indicano i dati?
Tra questi disturbi muscolo-scheletrici ci sono alcune patologie che sono particolarmente legate al genere femminile?
Sono emerse anche delle mansioni che sono più a rischio riguardo alle malattie professionali?
Lei ha parlato anche dei problemi connessi all’invecchiamento o della tendenza a denunciare le tecnopatie solo in prossimità della pensione o dopo. Perché e con quali conseguenze?
Cosa si dovrebbe fare in Italia per affrontare meglio questi fenomeni, per ridurre le disomogeneità, le sottodenunce e l’incidenza, in ambito femminile, di alcune patologie?
L’intervista si sofferma su vari argomenti:
- Lo studio e i disturbi muscoloscheletrici in ottica di genere
- Le criticità, le differenze territoriali, le mansioni e l’invecchiamento
- Le criticità e il futuro: il problema delle sottodenunce e delle disomogeneità
Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di visualizzare integralmente l’intervista, realizzata il 10 ottobre 2023 o di leggerne una parziale trascrizione.
L’intervista di PuntoSicuro ad Gabriele Norcia
Lo studio e i disturbi muscoloscheletrici in ottica di genere
Veniamo allo studio e approfondiamo i dati in ottica di genere. Intanto mi pare che abbiate parlato molto di disturbi muscoloscheletrici, che sono le tecnopatie preponderanti in Italia e hanno una incidenza maggiore nel genere femminile… Cosa indicano i dati?
Gabriele Norcia: Intanto vorrei fare una minuscola premessa.
L’Inail è dotato di una struttura ad alta specializzazione che si occupa specificamente di gestione del dato statistico. I medici non fanno questo di lavoro, noi non facciamo questo di lavoro. Tuttavia, disponiamo di una cartella clinica, di uno strumento unico al quale unicamente hanno accesso i medici e cioè una cartella clinica informatizzata nazionale nella quale vengono registrati tutti i fatti, gli infortuni e le malattie professionali che occorrono ai nostri assicurati.
Quindi la ricognizione delle informazioni contenute in questa cartella clinica nazionale per noi è utile per calibrare meglio gli interventi di tutela – cioè per migliorare la nostra capacità di accogliere questi cittadini ammalati o infortunati e di tutelarli – e di prevenzione, magari suggerendo interventi perché il fatto dannoso non accada.
Fatta questa premessa, le informazioni, di cui oggi disponiamo, ci dicono che alcune patologie, in particolare, hanno una polarizzazione di genere. Le malattie muscoloscheletriche sono le malattie di gran lunga più denunciate, più riconosciute in Italia – oltre i due terzi di tutte le malattie denunciate sono malattie muscolo-scheletriche, ma in particolare nelle donne sono ancora di più. Sono circa i tre quarti. E questo è un dato che ci stimola ad una riflessione, che poi è quello che ha condotto allo studio più analitico.
Tra questi disturbi muscolo-scheletrici ci sono alcuni disturbi particolari, alcune patologie che sono particolarmente legate al genere femminile?
G.N.: Sì. In realtà andare a curiosare in questa grande quantità di informazioni, ci ha permesso di estrarre degli spunti interessanti.
Abbiamo detto che le malattie muscoloscheletriche sono le più denunciate e le più riconosciute. Nelle donne sembrerebbe ancor di più che negli uomini.
Quando però si va a sgranare questo dato macro, questo dato generale, nelle singole patologie, prevalentemente denunciate e riconosciute nei due generi, ci si accorge che c’è una effettiva differenza.
Nei maschi prevalgono i disturbi a carico del rachide, quindi soprattutto le discopatie e agli arti inferiori. Nelle femmine prevalgono i disturbi a carico della spalla e soprattutto le patologie del distretto polso-mano che nelle donne sono quattro volte in percentuale rispetto a quelle degli uomini.
Le criticità, le differenze territoriali, le mansioni e l’invecchiamento
In alcune anticipazioni di questo studio, mi pare di aver letto di grandi differenze in Italia tra Regioni, tra Distretti…
G.N.: Ecco, questo è un altro spunto molto interessante di questo lavoro.
La mappatura del rischio sul territorio si può fare con parametri diversi. Cioè, questo macrodato, che dice poco, può essere esplorato con lenti di colore diverso. Allora possiamo, come abbiamo fatto un istante fa, Interrogarlo in base al tipo di malattia o al genere, ma possiamo anche interrogarlo in base alla geografia della patologia professionale, cioè alla collocazione geografica della patologia professionale. E questo ci dà delle informazioni interessantissime.
È importante farlo utilizzando degli strumenti, diciamo, di studio che relativizzano il dato delle malattie professionali rispetto al numero degli occupati, perché è evidente che nelle Regioni, nelle Province, nelle città in cui è maggiore il numero delle persone che lavorano sarà più alto il numero assoluto dei fenomeni. Ma questo non ci dice granché.
Quello che ci dice tanto è il rapporto tra malattie denunciate e numero di occupati. Per cui può accadere, per esempio, che in Regioni meno popolate e meno occupate, tuttavia, ci sia una frequenza maggiore di denuncia di una data patologia.
E applicare questo metodo ci ha consentito, per esempio, di scoprire che le malattie a carico del distretto polso-mano in Italia sono molto rappresentate in alcuni specifici distretti. Nelle Marche, per esempio, e in Toscana; soprattutto in alcune zone come nel distretto Fermo, Macerata, Ascoli Piceno nelle Marche o nel distretto Lucca, Pontedera, Viareggio, Carrara in Toscana. E questo dà da riflettere.
Mi pare poi che abbiate parlato anche delle mansioni che sono più a rischio.
G.N.: Infatti, perché da questa riflessione ne scaturiscono immediatamente altre. Perché in queste zone questo tipo di disturbo è più rappresentato in proporzione rispetto al numero degli occupati?
Apro una parentesi: nelle donne, ripeto e sottolineo, il tasso di denuncia di questo tipo di disturbo è sempre superiore a quello che si registra tra i maschi.
Perché in queste Province? E allora siamo andati a vedere quali attività produttive fossero maggiormente rappresentate e quali mansioni.
Le attività produttive sono quelle descritte dalla classificazione Ateco 2007 e sono nei maschi soprattutto le attività correlate alla siderurgia, alla metallurgia e l’edilizia, che sono delle attività classicamente interessate da disturbi a carico dell’apparato osteomuscolare. Non ci stupisce questo fenomeno e non è specifico.
Quello che invece ci ha colpito è la caratterizzazione nel genere femminile.
Nel genere femminile sono responsabili della maggior parte delle patologie i settori del calzaturiero e del parrucchiere per signora.
Nella sua relazione lei si sofferma poi su alcuni aspetti importanti che incidono nel fenomeno tecnopatico, ad esempio l’invecchiamento o la tendenza a denunciare la tecnopatia solo in prossimità della pensione o dopo.
G.N.: Anche questo è un aspetto molto interessante che ci viene da dall’osservazione, dal nostro punto di vista, di medici operanti sui territori.
Abbiamo notato che, negli anni, la fascia di denuncianti tra i 40 e i 60 anni andava lentamente riducendosi, a vantaggio invece della fascia over sessant’anni. Quindi ancora prevale di gran lunga la fascia 40-60 anni – come è normale che sia, essendo la fascia nella quale si concentra la massima numerosità della popolazione lavorativa.
Tuttavia, il gradiente, la distanza tra le due fasce, si sta riducendo. Gli over 60 aumentano, i 40-60 diminuiscono. E questo si può spiegare in due modi. (…)
Naturalmente c’è un invecchiamento generale della popolazione in Italia, e un invecchiamento generale della popolazione lavorativa. Questo primo punto è molto importante per un Istituto come il nostro che si occupa di infortuni e malattie professionali e, oltre che di tutela, di prevenzione. La salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro non possono non tener conto del fatto che la popolazione generale lavorativa invecchia e, quindi, bisogna immaginare un lavoratore medio più grande, con problemi di salute diversi da quelli che aveva, magari, un lavoratore cinquant’anni fa. E questo è un primo aspetto.
Il secondo aspetto riguarda la tutela, perché tutelare un danno alla salute in un lavoratore di età avanzata è un problema tecnico non indifferente, è un problema tecnico in ordine al nesso di causa, cioè, è difficile capire cosa derivi da un’usura fisiologica e cosa derivi invece da una specifica attività lavorativa. Benché sappiamo che la nostra attività di tutela è privilegiata. Tutela privilegiata vuol dire che rispetto al tutelato, al lavoratore, c’è un’attenzione specifica e maggiore del legislatore, quindi si tutela anche l’aspetto concausale: anche se il lavoro è solo un fattore concausale, il danno è tutelato.
Ma un altro aspetto, quello a cui accennava lei, è che questo dato si può spiegare con il fatto che non solo il lavoratore medio è più anziano, ma tende a denunciare la malattia in tarda età. Cioè quando è alla soglia della pensione o addirittura dopo. (…)
E quindi ci interroghiamo sul perché. Perché i lavoratori denunciano solo tardivamente o dopo la pensione?
Le risposte sono tante. Molto probabilmente perché oggi ancora denunciare una malattia professionale al lavoratore non sempre conviene, perché lo esclude, può rischiare di escluderlo dal mondo del lavoro.
Basti pensare a quanto impatti sulla capacità lavorativa, sulla mansione specifica, per esempio una sindrome del tunnel carpale, in una lavoratrice del calzaturiero, che deve operare con le mani e che invece, se soffre di sindrome del tunnel carpale, non può farlo e che viene tutelata dall’assicurazione pubblica, purtroppo con indennizzi molto ridotti che non compensano la perdita di capacità lavorativa. O basti pensare al muratore che ha un problema alla spalla o all’ernia del disco che è chiaramente impossibilitato a svolgere la sua mansione di muratore. Quindi è normale che il lavoratore medio tenda a evidenziare il problema quando è sulla soglia dell’età pensionabile.
Le criticità e il futuro: il problema delle sottodenunce e delle disomogeneità
Lei parla anche di sottodenuncia e della grande disomogeneità delle denunce delle malattie professionali…
G.N.: Per il sistema italiano la denuncia è un atto volontario; quindi, necessita una attivazione dell’avente diritto che spesso però si tratta di un lavoratore con pochi strumenti autonomi e che quindi, può, deve avvantaggiarsi del contesto socioeconomico, culturale del territorio nel quale vive. Laddove questo contesto è presente, vivo e attivo, c’è verso che la malattia professionale venga intercettata dagli operatori adibiti e venga denunciata e quindi pervenga alla nostra attenzione. Laddove però questa cultura nel mondo del lavoro, questa tendenza, questo tessuto, substrato socioeconomico- penso ad esempio alla capillare presenza degli enti di patronato o alla sensibilità dei medici di medicina generale o dei medici competenti, consulenti dei datori di lavoro o dei servizi delle Asl sul territorio – laddove questa cultura e questa capillarità, questa sensibilità capillare non è presente, il fenomeno non giunge alla nostra attenzione.
Quello che abbiamo osservato e che osserviamo quotidianamente dal nostro osservatorio è che la stragrande maggioranza delle denunce pervengono all’attenzione dell’Istituto per fonte di enti di patronato e quindi sindacati e patronati sul territorio, laddove ci sono – per esempio, molto rappresentati Toscana, Emilia Romagna, Marche, l’Italia centrale. E invece non vengono da alcuni operatori molto specialistici, come i medici competenti che hanno una quota di denuncia ancora molto bassa, inferiore al 10%, addirittura tra l’uno e il 10%. Così come il medico di medicina generale tendenzialmente non denuncia la malattia professionale.
E questo è naturalmente un punto di caduta di un sistema che, come diceva l’Indovino Tiresia, in Sofocle: chi non sa, non vede. (…)
Su cosa si dovrebbe puntare in Italia per affrontare meglio questi fenomeni tecnopatici?
G.N.: Al fronte di intervento, contribuiscono innumerevoli fattori e innumerevoli soggetti. Inail è impegnato, in prima fila, su due fondamentali fronti, quello della tutela e quello della prevenzione. Le due gambe non possono agire separatamente. Perché è di tutta evidenza che la tutela, cioè l’individuazione dei fenomeni e l’erogazione di prestazioni relative, definisce qual è la cornice e la prevenzione dovrebbe intervenire su questa cornice per impedire in futuro che il fenomeno avvenga. Quindi Inail è impegnato da anni con investimenti mostruosi in queste due direzioni.
Per quanto riguarda il nostro apporto, i medici Inail possono continuare a studiare e a lavorare in ricognizione di queste informazioni che continuamente pervengono sulle nostre attività quotidiane, negli ambulatori. Sulla base di questi spunti è facile poi individuare dei target specifici di intervento. Una volta che si individua il territorio o, ancora più focalmente, l’attività produttiva, l’azienda, il luogo di lavoro che genera il danno, si può immediatamente immaginare un intervento diretto prevenzionale, informativo, di comunicazione, di formazione, anche di investimento, sulla prevenzione primaria, secondaria e terziaria rispetto ai lavoratori. Ma per farlo, per evitare di disperdere le energie in un quadro troppo aspecifico, è necessario avere queste informazioni così minute, proprio per sapere il gruppo specifico omogeneo di lavoratori e lavoratrici sui quali intervenire.
Per un approfondimento sul tema:
Fonti: Puntosicuro.it, Tiziano Menduto