Il comportamento avventato del lavoratore tenuto mentre svolge il proprio lavoro può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto a tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro.
È la violazione dell’art. 138, comma 4, del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 che vieta di salire e scendere dai ponteggi lungo i montanti e impone la predisposizione di idonei sistemi di accesso ai vari piani, quella posta all’attenzione in questa circostanza della suprema Corte di Cassazione, chiamata a decidere su di un ricorso presentato dall’amministratrice unica di una società, con funzione di datore di lavoro, che era stata condannata nei due primi gradi di giudizio per le lesioni subite da un lavoratore dipendente della società stessa con mansione di carpentiere il quale, in un cantiere edile realizzato per la costruzione di alcune villette, si era infortunato per essere caduto nel mentre si arrampicava sui montanti di un ponteggio e ciò a causa della mancanza di idonei sistemi di accesso ai piani del ponteggio stesso.
Avendo la difesa fondato il suo ricorso principalmente sul fatto che il lavoratore aveva tenuta una condotta imprudente, la suprema Corte ha ricordato come, per giurisprudenza costante, un comportamento anche avventato di un lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto a tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro e ha opportunamente sottolineato altresì che in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Il ricorso è stato pertanto dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni
La Corte di Appello ha parzialmente riformata la sentenza emessa dal Tribunale nei confronti dell’amministratrice unica di una società, contro la quale avevano proposto appello sia l’imputata che il Pubblico Ministero, e ha invece confermata la sentenza di primo grado quanto all’affermazione della sua penale responsabilità per avere causato delle lesioni personali a un dipendente della società con mansioni di carpentiere. In particolare l’imputata, secondo i giudici di merito, non aveva predisposto idonei sistemi di accesso ai piani di lavoro di un ponteggio apprestato in cantiere sicché, per salirvi, il lavoratore aveva dovuto arrampicarsi sui montanti; nel fare ciò era scivolato ed era caduto all’indietro procurandosi un trauma distorsivo al piede sinistro e una contusione all’arcata dentaria, dalle quali era derivata una malattia e l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni. Secondo i giudici di merito, altresì, l’infortunio era stato reso possibile dalla violazione dell’art. 138, comma 4, del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 che vieta di salire e scendere dai ponteggi lungo i montanti e impone la predisposizione di idonei sistemi di accesso ai piani.
L’imputata ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte di appello per mezzo del proprio difensore, affidando la difesa ad alcune motivazioni. La stessa ha innanzitutto dedotto violazione di legge e vizi di motivazione quanto all’affermazione della sua responsabilità penale sottolineando che l’infortunio si era verificato nelle prime ore del mattino, che il lavoratore si era presentato in cantiere fuori dell’orario di lavoro e senza autorizzazione. che per entrare aveva tagliata la catena con la quale era stato chiuso il cancello e che era salito su un ponteggio in fase di smontaggio il cui uso era interdetto. L’imputata ha altresì fatto presente che il lavoratore aveva sostenuto di essere salito sul ponte per recuperare una tenaglia, mentre gli Ufficiali di Polizia giudiziaria intervenuti sul posto avevano riferito di non aver rinvenuto sul ponte attrezzi di lavoro sicché le dichiarazioni dell’infortunato avrebbero dovuto essere sottoposte ad un vaglio di attendibilità particolarmente approfondito. Quindi, in sintesi, ha sostenuto che le concrete modalità dell’infortunio non erano state accertate al di là di ogni ragionevole dubbio e che, in ogni caso, la decisione di salire su un ponte dismesso e in fase di smontaggio arrampicandosi lungo i montanti era stata adottata dall’infortunato in autonomia, senza che la stessa potesse prevederla ed evitarla.
La difesa si è lamentata altresì per il fatto che la Corte territoriale avrebbe ignorato che il lavoratore aveva sostenuto di essere andato a recuperare una tenaglia, ma che questo attrezzo non era stato trovato sul ponteggio dalla Polizia giudiziaria intervenuta a seguito dell’infortunio e che la catena con la quale era stato chiuso il cancello di accesso al cantiere era stata tagliata, circostanze queste idonee a confermare che l’ingresso era avvenuto abusivamente, per ragioni che non riguardavano l’attività lavorativa e che avevano indotto l’infortunato ad arrampicarsi su un ponteggio dismesso.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e il difensore dell’imputata ha depositato memorie di replica insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
I motivi di ricorso non hanno superato, secondo la Corte di Cassazione, il vaglio di ammissibilità. La stessa ha osservato che la Corte territoriale ha ritenute decisive ai fini dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputata, le dichiarazioni rese dall’infortunato e dagli ufficiali di Polizia giudiziaria intervenuti in cantiere poco dopo l’incidente e lo ha fatto con argomentazioni complete e scevre da profili di contraddittorietà o manifesta illogicità.
Dalle sentenze di primo e secondo grado, ha evidenziato la suprema Corte, è emerso infatti:
- che il lavoratore era dipendente della società con mansioni di carpentiere sicché la sua presenza in cantiere in un normale giorno di lavoro non era certamente imprevedibile;
- che egli ha riferito di essere caduto mentre si arrampicava sul ponte e di aver utilizzato i montanti perché non erano stati previsti sistemi di accesso alternativi;
- che nelle immediate vicinanze del ponteggio era stata rinvenuta una delle scarpe indossate dal lavoratore e sul pianale della sega circolare posta e lato del ponteggio erano state rinvenute le piume costituenti l’imbottitura del giubbotto che l’infortunato indossava e che si era strappato nella caduta;
- che, come i giudici di merito avevano sottolineato, ciò aveva costituito significativo riscontro al racconto dell’infortunato;
- che le dichiarazioni della persona offesa (neppure costituitasi parte civile in giudizio) erano attendibili e coerenti;
- che, secondo quanto riferito dai tecnici della prevenzione intervenuti sul posto, nessun segnale impediva l’accesso al ponteggio e indicava che si trattasse di una struttura in fase di dismissione;
- che l’accertata presenza di una sega circolare coperta e non collegata alla rete elettrica provava soltanto il mancato utilizzo di quella sega e non il mancato utilizzo del ponteggio.
La tesi difensiva secondo la quale il lavoratore si era introdotto in cantiere tagliando la catena che chiudeva il cancello d’ingresso quindi, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, non era stata ignorata dai giudici di merito che l’avevano invece motivatamente disattesa sottolineando che, secondo quanto riferito dagli operanti, nessun anello della catena risultava spezzato sicché non vi era alcuna prova della asserita forzatura del cancello; neppure era stata trascurata la circostanza che sul ponteggio non erano stati rinvenuti attrezzi di lavoro. I giudici di merito infatti, con motivazione non illogica, avevano sottolineato che si era trattato di un dettaglio non decisivo ai fini della ricostruzione della vicenda, atteso che l’infortunato lavorava alle dipendenze della società con funzioni di carpentiere, non era controverso che fosse tra i lavoratori operanti nel cantiere, l’accesso al ponteggio non era stato impedito e non v’era altro modo per salirvi che quello di arrampicarsi lungo i montanti.
Così argomentando, ha sottolineato la Sezione IV, i giudici di merito avevano coerentemente escluso che il comportamento dell’infortunato potesse essere considerato abnorme. Come noto, infatti, per giurisprudenza costante, “un comportamento, anche avventato, del lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro”. Ha evidenziato ancora la suprema Corte, a questo proposito, che la giurisprudenza più recente ha opportunamente sottolineato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, citando in merito, fra le altre, la sentenza n. 33976 del 17/3/2021, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Un caso di colpa esclusiva del lavoratore infortunato”.
Ponendosi in questa prospettiva, ha così proseguito la suprema Corte, è stato affermato che il comportamento negligente, imprudente e imperito tenuto dal lavoratore nello svolgimento delle mansioni a lui affidate può costituire concretizzazione di un “rischio eccentrico“, con esclusione della responsabilità del garante, solo se questi “ha posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, cosi che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante”. Nel caso in esame, non avendo inibito in alcun modo l’uso di un ponteggio sul quale era possibile salire solo utilizzando i montanti, l’imputata datrice di lavoro aveva omesso di adottare le cautele necessarie a evitare che ciò potesse avvenire.
Per quanto esposto, ha sottolineato ancora la Sezione IV, le sentenze di primo e secondo grado hanno fornito, nell’affermare la penale responsabilità dell’imputata, una motivazione completa, non contraddittoria e non manifestamente illogica e hanno fatto, inoltre, corretta applicazione del D. Lgs. n. 81/2008 che, all’art. 138, comma 4, vieta di tenere in uso ponteggi per salire sui quali sia necessario arrampicarsi lungo i montanti come, in concreto, il lavoratore infortunato era stato costretto a fare. Ne è quindi conseguito che la decisione assunta non è da censurare né sotto il profilo dell’identificazione del rischio concretizzatosi, esattamente quello che la norma cautelare violata mirava ad evitare (l’infortunato scivolò mentre saliva sul ponte usando i montanti) né per quanto riguarda le regole cautelari applicabili. Né è da censurare l’identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata dalle sentenze di merito nella realizzazione di un ponteggio munito di regolari scale di accesso o, in alternativa, nella predisposizione di apposta segnaletica volta ad inibirne l’uso.
Ritenendo in conclusione infondate anche le altre motivazioni addotte, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannata la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto inoltre della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevata la non sussistenza di elementi per ritenere che la ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la Corte di Cassazione ha disposto a carico della stessa, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, determinata nella misura di 3.000 euro.
Gerardo Porreca
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Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it