La mancata garanzia della presenza fisica degli addetti alle emergenze nei vari turni diurni e notturni, l’omessa comunicazione degli incarichi e la mancata formazione pur a fronte di designazione formale: sentenze di Cassazione Penale.
Come noto, il datore di lavoro e i dirigenti devono “designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza” (art.18 c.1 lett.b) D.Lgs.81/08).
Purtroppo, dall’analisi della giurisprudenza emerge che, a volte, pur in presenza di tale designazione e quindi di una formale costituzione della squadra di gestione delle emergenze, nell’effettività non vi siano le condizioni per una reale e adeguata operatività della stessa e, a monte, non vi sia un pieno e adeguato adempimento dell’obbligo normativo.
Con questa breve disamina che segue e che – come sempre – non si propone di essere esaustiva sull’argomento, analizziamo questo tema partendo anzitutto dalla questione relativa all’organizzazione della squadra di gestione delle emergenze sotto il profilo – eminentemente sostanzialistico – della garanzia della presenza in loco dei componenti della squadra nei vari turni e orari.
Morte di tre persone a causa di un incendio divampato in un hotel con 350 posti letto che al momento dei fatti non era presidiato da alcun componente della squadra di emergenza (pur costituita formalmente) ma solo dal portiere e dal facchino, completamente inesperti.
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 6 giugno 2011 n.22334 la Corte si è pronunciata sulle responsabilità penali legate alla morte di tre persone nell’ambito di un incendio divampato in un hotel.
Questi i fatti.
Era accaduto che “nel corso della notte due giovani donne ospiti dell’hotel P. inavvertitamente svuotavano nel cestino dei rifiuti un portacenere con alcuni mozziconi accesi, generando fiamme che innescarono l’incendio dell’edificio. Mentre la maggior parte degli ospiti riuscirono a salvarsi attraverso le uscite di sicurezza, un uomo perse la vita nel tentativo di calarsi a terra dal balcone della sua stanza facendo uso di lenzuola annodate; ed altre due persone vennero meno all’interno del bagno nel quale si erano rifugiate.”
Era stato accertato che “il fuoco sviluppatosi dalla stanza delle ragazze era stato alimentato dall’apertura delle porte delle stanze e dalle correnti d’aria; e si era propagato in modo diffusivo.”
Inoltre “l’incendio aveva altresì dato luogo alla propagazione di fumo attraverso i cavedi destinati al passaggio dell’impiantistica.”
La Cassazione ha confermato la condanna di A.B. “quale amministratrice e legale rappresentante della società per azioni proprietaria dell’albergo” e di G.M. “quale direttore dell’albergo e capo della squadra di emergenza aziendale.”
Sul piando fattuale, andando più nel dettaglio, era accaduto che “dopo l’attivazione dell’impianto di allarme un facchino dell’hotel si recò all’ingresso della stanza in questione, ridiscese nella reception e subito dopo risalì al piano. Tale condotta venne tenuta circa nove minuti dopo l’inserimento dell’allarme.”
Dall’analisi della documentazione aziendale era emerso cheil “3 giugno 2003 era stato redatto un documento denominato piano di emergenza del grande hotel P. sottoscritto dall’amministratore unico e legale rappresentante B. nonché dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione P. in attuazione di quanto previsto dalla normativa ministeriale in ordine alla sicurezza antincendio delle strutture ricettive.”
In particolare, “detto piano prevedeva la costituzione di una squadra di emergenza antincendio composta da 24 persone munite di apposito patentino, rilasciato dopo la frequentazione di corso di addestramento antincendio. Caposquadra era il direttore dell’albergo M.C. e, in sua assenza, un vice caposquadra.”
Nonostante ciò, “si è appurato che la notte in cui accaddero i fatti non era in servizio alcuno dei componenti della squadra di emergenza, bensì solo il portiere ed un facchino. Dunque, il piano era stato sostanzialmente disatteso.”
Sul piano della causalità, la sentenza specifica che “ciò ha impedito di fronteggiare adeguatamente e tempestivamente il focolaio di incendio; cosa che avrebbe potuto essere fatta ad esempio attraverso la chiusura della porta della stanza lasciata aperta dalle due ospiti dopo la loro fuga, nonché di quelle delle altre stanze.
D’altra parte, sia il portiere che il facchino erano privi delle cognizioni e dell’addestramento posseduti dai componenti della squadra di emergenza: ciò spiega perché da parte di costoro non fu adottata alcuna idonea iniziativa.”
Inoltre, “la presenza di personale qualificato avrebbe anche consentito di utilizzare tempestivamente gli strumenti in dotazione dell’albergo cioè gli idranti e gli estintori, tanto più che l’albergo era conforme ai requisiti di sicurezza previsti dalla legge.”
Infatti “la struttura stessa era inoltre, nel complesso, conforme ai requisiti di sicurezza antincendio; e munita di valide strutture come una rete di idranti antincendio e di estintori ritenuti idonei, efficienti e conformi alla normativa.”
In tale contesto, “l’unico profilo di colpa rilevante viene ritenuto invece la mancanza di componenti della squadra di emergenza antincendio il cui coordinamento era stato affidato all’imputata M. L’assenza di personale qualificato ha impedito che venissero tempestivamente adottate le già indicate misure per lo spegnimento delle fiamme.”
Viene osservato dunque dalla pronuncia che “la notte in cui accaddero i fatti un grande albergo con circa 350 posti letto e con centinaia di clienti ospitati non era presidiato da alcun componente della squadra di emergenza, ma solo da due dipendenti completamente inesperti.”
Per quanto riguarda il comportamento delle vittime, la sentenza osserva che “è normalmente prevedibile che persone colte di sorpresa nel sonno da un incendio e da imponente e denso fumo possano essere sopraffatte dal panico tentando di sottrarsi al rischio ponendo in essere manovre disperate. A tali considerazioni la stessa Corte aggiunge che proprio l’assenza di componenti della squadra di emergenza impedì che venissero adottate iniziative efficaci per la evacuazione degli ospiti come del resto previsto dal piano di sicurezza.
E’ infatti emerso che uno dei due già indicati dipendenti si limitò a salire due volte al terzo piano ma neppure ai piani superiori.”
Pertanto “gli ospiti di tali piani furono perciò abbandonati a loro stessi e le vittime, senza adeguate istruzioni per scampare al pericolo, tentarono di sottrarvisi con comportamenti loro suggeriti dalla situazione di pericolo generalizzato.”
In conclusione, risulta dimostrato “senza possibilità di dubbio che un intervento tempestivo ed appropriato di personale qualificato avrebbe condotto alla tempestiva chiusura delle porte e delle imposte, così evitando il propagarsi delle fiamme; ed avrebbe altresì consentito da un lato l’attivazione dei presidi antincendio e dall’altro l’avvio di un’ordinata evacuazione dell’edificio.”
Quanto alla M.,è stato ritenuto che “la donna, nella duplice veste di direttrice dell’hotel e di responsabile del coordinamento della squadra di emergenza, avrebbe dovuto assicurare la vigilanza antincendi nell’arco dell’intera giornata mediante la predisposizione dei relativi turni diurni e notturni.”
In relazione al suo ruolo, “si rimarca che il direttore di una struttura ricettiva è tenuto a garantire l’incolumità fisica degli utenti mediante idonea organizzazione dell’attività di vigilanza rispettando così oltre alle regole legali anche quelle imposte dalla comune prudenza.”
Condannato un datore di lavoro per aver designato solo formalmente i componenti della squadra antincendio senza aver specificato i loro compiti, comunicato loro di farne parte e senza averli formati.
Con Cassazione Penale, Sez.III, 13 settembre 2005 n.33288, la Corte si è pronunciata sulla responsabilità dell’amministratore delegato di una S.p.A. il quale “non aveva provveduto a nominare la squadra antincendio.”
In particolare, ciò che veniva contestato a tale soggetto era il fatto che l’obbligo di designazione dei componenti della squadra antincendio fosse stato adempiuto in termini solo formali e non sostanziali, in quanto nel documento contenente i nominativi della squadra antincendio non erano indicati i compiti dei componenti della stessa in caso di incendio e in generale di emergenza né risultava alcuna prova che ad essi fosse stata data comunicazione della loro designazione a tale ruolo. A ciò va aggiunto che ai componenti della squadra antincendio non era stata erogata alcuna formazione e preparazione specifica.
Il passaggio della sentenza maggiormente interessante ai fini che qui interessano è quello in cui la Cassazione chiarisce che “per adempiere all’obbligo di designazione in questione, non può certamente ritenersi sufficiente una indicazione meramente formale, ma occorre anche, quanto meno, che i lavoratori indicati come componenti di tale squadra abbiano avuto notizia di farne parte, ossia siano stati innanzitutto informati di essere componenti della squadra antincendi e di avere quindi il compito di svolgere determinate attività in caso di pericolo, e che occorra altresì che siano stati individuati e precisati i compiti assegnati ai soggetti nominati e che gli stessi siano adeguatamente preparati all’incarico loro affidato”.
Nella fattispecie invece – ha precisato la Corte – i soggetti incaricati “non erano a conoscenza di far parte della squadra antincendi, con la conseguenza che, in caso di pericolo, non si sarebbe potuto presumere che essi si attivassero per assolvere ai compiti che da tale nomina derivavano”, considerato che “il datore di lavoro si era limitato esclusivamente ad inserire nella scheda relativa al gruppo di primo intervento i nomi del direttore tecnico, del capo manutenzione e del magazziniere, senza appunto nemmeno informare i detti soggetti, specificare i loro compiti in caso di pericolo e fornire loro una adeguata preparazione, sicché, se pure di nomina di una squadra antincendi si potesse parlare, si sarebbe comunque trattato di una nomina puramente formale e fittizia, e la semplice predisposizione della scheda non poteva certamente costituire adempimento dell’obbligo in questione”.
Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it, Anna Guardavilla (Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro)