
La sentenza della Corte di Cassazione penale n. 42483 del 20 novembre 2024 si sofferma sulla responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e sulla tutela del terzo in materia antinfortunistica.
Molte sentenze della Corte di Cassazione, come quella su cui ci soffermiamo oggi, forniscono indicazioni particolarmente importanti e significative con riferimento a vari aspetti e temi delicati relativamente alle tutele e alle responsabilità in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
È il caso della sentenza della Cassazione penale n. 42483 del 20 novembre 2024, che avevamo già presentato con un articolo di Gerardo Porreca, tratto da puntosicuro.it, ma di cui torniamo a parlare attraverso un contributo dell’avv. Carolina Valentino dal titolo “La responsabilità del RSPP per il reato di omicidio colposo occorso ai danni di un terzo”.
La responsabilità del RSPP per il reato di omicidio colposo occorso ai danni di un terzo
In una recente sentenza, i Supremi Giudici hanno ribadito due principi di rilevante importanza nella materia della salute e sicurezza sul lavoro, su cui, invero, l’orientamento giurisprudenziale di legittimità si presenta, ad oggi, cristallizzato.
In primis, i Supremi Giudici hanno affrontato il tema della tutela del terzo da parte della normativa antinfortunistica, nel senso che quest’ultima è finalizzata non solo a garantire la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, ma altresì di tutti coloro che siano esposti, anche senza un rapporto di lavoro con il datore di lavoro, al rischio lavorativo.
In secondo luogo, i Supremi Giudici hanno trattato il tema concernente i profili di responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale, posto il fatto che il D. Lgs. n. 81/2008 non prevede alcuna sanzione connessa allo svolgimento dei relativi compiti, potrebbe erroneamente ritenersi esonerato da qualsivoglia forma di responsabilità in relazione ad un infortunio occorso.
Interessante, infine, rilevare come, nella sentenza in commento, sono presenti entrambe le predette circostanze: in altre parole, i Supremi Giudici hanno affermato non solo la responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ma altresì in relazione all’infortunio occorso ai danni di un terzo.
Il fatto e le sentenze di merito
In primo ed in secondo grado, i Giudici del merito condannavano l’imputato nella sua qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in relazione all’omicidio colposo occorso ai danni di un terzo presente sul luogo di lavoro, reato commesso con violazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Più in dettaglio, veniva accertato che l’imputato, appunto nella sua qualità di RSPP della società [omissis] operante nel luogo dell’infortunio [di seguito, la “Società”], aveva omesso di segnalare nel DVR da lui redatto l’esistenza di un pozzo e lo stato di vetustà del medesimo e dell’inidoneità della copertura ivi posta, pozzo nel quale la vittima era caduta, cagionandosi delle lesioni che ne avevano provocato la morte.
Il ricorso dell’imputato
Ricorreva in Cassazione la difesa dell’imputato, sulla base dei seguenti motivi.
Con un primo motivo, la difesa lamentava violazione di legge per avere, i Giudici del merito, ritenuto che l’inosservanza del punto 1.5.14.1 dell’Allegato IV, D. Lgs. n. 81/2008 sia ex se sufficiente ad integrare l’aggravante antinfortunistica anche nel caso di specie, in cui l’evento lesivo aveva riguardato un terzo estraneo non identificabile come fisiologico destinatario della tutela prevenzionistica.
[Per fini di completezza, si evidenzia che il punto 1.5.14.1 dell’All. IV, D. Lgs. n. 81/08 prevede che “Le aperture esistenti nel suolo o nel pavimento dei luoghi, degli ambienti di lavoro o di passaggio, comprese le fosse ed i pozzi, devono essere provviste di solide coperture o di parapetti normali, atti ad impedire la caduta di persone. Quando dette misure non siano attuabili, le aperture devono essere munite di apposite segnalazioni di pericolo”]
In sostanza, dunque, con il primo motivo la difesa lamentava che i Giudici avessero errato nel ravvedere la sussistenza dell’aggravante consistente nella violazione della normativa antinfortunistica, laddove la vittima era un terzo rispetto all’attività lavorativa.
Con il secondo motivo, la difesa lamentava l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui i Giudici del merito avevano ravvisato, in capo all’imputato nella sua qualità di RSPP, una posizione di garanzia, per cui egli avrebbe potuto impedire, proprio in tale qualità, il verificarsi dell’evento.
In tal senso, la difesa riteneva che i Giudici del merito avessero erroneamente traslato un compito proprio del datore di lavoro – quale quello della valutazione dei rischi – sul RSPP, il quale, secondo l’assunto difensivo, ha il mero compito di coordinare il Servizio di Prevenzione e Protezione.
La pronuncia della Cassazione
I Supremi Giudici ritengono il ricorso infondato, sulla base dei seguenti motivi.
La tutela del terzo nella materia antinfortunistica
“Il primo motivo, che si limita a contestare la sussistenza dell’aggravante prevenzionistica, non si confronta con le articolate argomentazioni della sentenza impugnata, le quali hanno considerato plurimi elementi per affermare la configurabilità dell’aggravante in questione, avuto riguardo: all’analoga situazione di rischio in cui [la vittima] si è trovat[a] rispetto alla norma prevenzionistica (esposizione del terzo al medesimo rischio lavorativo); alla concretizzazione del medesimo rischio lavorativo nei confronti del terzo; a quanto previsto nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), in cui si fa cenno al fatto che i rischi ivi contemplati possono riguardare anche i visitatori […], proprio come avvenuto nel caso di specie”.
Ma ancora.
La censura proposta dalla difesa non tiene conto della giurisprudenza di legittimità, la quale ha in plurimi arresti affermato che “ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante del ‘fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro’, è necessario che venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori, e che l’evento sia concretizzazione di tale rischio ‘lavorativo’, non essendo all’uopo sufficiente che lo stesso si verifichi in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa (cfr. Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Rv. 281997 – 01). È indubbio, insomma, che le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa, di talché, ove in tali luoghi si verifichino, a danno del terzo, i reati di lesioni o di omicidio colposi, è ravvisabile la colpa per violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, purché sussista, tra siffatta violazione e l’evento dannoso, un legame causale e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi, e sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’infortunio, non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico (Sez. 4, n. 32178 del 16/09/2020, Rv. 280070 -01)”.
Il pozzo nel quale cadeva la vittima era collocato in una zona oggetto di attività lavorativa e liberamente accessibile anche a terzi.
È emerso, dal materiale probatorio, come nessun segnale o cartello sia stato apposto in prossimità di tale pozzo, al fine di segnalare il divieto di avvicinamento e accesso, nonché il pericolo di caduta, con la conseguenza che l’infortunio si è verificato in ragione di tale grave e colposa omissione.
La responsabilità del RSPP
Il secondo motivo è parimenti del tutto infondato, alla luce del fatto che, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione può essere ritenuto responsabile, anche in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione (cfr. Sez. 4, n. 24822 del 10/03/2021, Rv. 281433 -01; fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del RSPP per non avere segnalato nell’ultimo DVR il rischio di caduta nel vuoto per il cattivo stato di manutenzione dei parapetti di un balcone, in concorso con quella ascritta al datore di lavoro per non avere sollecitato la società proprietaria dell’immobile ad eseguire i necessari lavori di manutenzione, ritenendo irrilevante, ai fini dell’esclusione della responsabilità del primo, la circostanza che il rischio non segnalato fosse noto al datore di lavoro). Del resto, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (cfr. Sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018 -dep. 2019, Rv. 275279 – 01)”.
Sulla base di tali argomentazioni, i Supremi Giudici rigettano il ricorso.
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Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it, Avv. Carolina Valentino