In tema di infortuni sul lavoro il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori.

Anche nella lettura di questa sentenza lo scrivente riscontra un chiarimento che lo stesso ha dato più volte nel rispondere ai quesiti formulati dai lettori e nei suoi approfondimenti e che avuto anche modo di inserire nelle sue relazioni di consulenza tecnica depositate nei Tribunali nel corso di procedimenti penali relativi a eventi infortunistici. Il chiarimento a cui si fa riferimento è quello relativo alla distinzione esistente fra la figura del committente di un’opera edile come definito nell’art. 89 del D. Lgs. n. 81/2008 e il committente cosiddetto degli appalti interni e cioè quello indicato nell’art. 26 dello stesso D. Lgs. e cioè il committente datore di lavoro che riceve nella propria azienda o nell’ambito del suo ciclo produttivo un’impresa o un lavoratore autonomo ai quali ha affidato lavori, servizi o forniture.

L’imputato di cui alla sentenza in commento è appunto un committente datore di lavoro condannato per omicidio colposo perché ritenuto responsabile di quanto accaduto in cantiere durante la costruzione di un prefabbricato allorquando durante la gettata del calcestruzzo mediante un autobetonpompa il tratto finale del suo braccio è venuto a contatto con una linea elettrica a 20.000 volt a seguito del quale il lavoratore che manovrava lo stesso è rimasto mortalmente folgorato.

E’ chiara la distinzione che la suprema Corte ha fatto fra il committente privato, definito un “quivis de populo” al quale si richiede un controllo più amministrativo che tecnico e il committente professionale, definito anche degli appalti interni, al quale si richiede invece un intervento più pregnante, nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, quali la verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi, lo scambio di informazioni, la cooperazione e il coordinamento con le stesse, la valutazione di rischi interferenziali e l’elaborazione di un documento unico di valutazione degli stessi rischi interferenziali (Duvri). Tale distinzione lo scrivente ha avuto già modo di evidenziare nel commentare un’altra analoga sentenza della IV Sezione penale della Corte di Cassazione a carico di un committente,  la n. 23109 del 14 giugno 2022.

Il committente ha sostenuto, a propria difesa, di avere rispettato gli adempimenti dell’art. 26 e che l’evento era accaduto per il mancato rispetto delle prescrizioni di sicurezza, da mettere in atto quando si opera vicino a linee elettriche in tensione, da parte del lavoratore infortunato che nell’occasione era anche il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) dell’azienda.

La Corte di Cassazione, ritenute fondate le motivazioni del ricorrente, ha annullata la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte territoriale di provenienza.

Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni

Il committente e responsabile dei lavori in un cantiere installato per realizzare un prefabbricato destinato ad uffici a servizio di un deposito di oli minerali per uso commerciale è stato rinviato a giudizio assieme al manovratore di una autobetonpompa per rispondere del delitto p. e p. dagli artt. 113 e 589 comma 1 e comma 2 cod. pen., perché, in cooperazione colposa tra loro, per negligenza, imprudenza ed imperizia, avevano cagionato il decesso di uno dei soci della società appaltatrice dei lavori che era rimasto folgorato da una scarica elettrica proveniente da alcuni cavi a 20.000 volt disposti su pali in legno ad una altezza di circa 9 metri. Al committente erta stata addebitata la colpa di non avere richiesto all’Enel il distacco della corrente elettrica in transito sui cavi in tensione nell’arco temporale interessato alla posa in opera del calcestruzzo tramite il braccio snodabile dell’attrezzatura.  Al manovratore del mezzo invece era stata addebitata la colpa di avere fatto avvicinare il terminale oscillante dell’autobetonpompa a distanza inferiore ai 5 metri dai cavi stessi dell’alta tensione in violazione dell’art. 83 del D. Lgs. 81/2008 ragion per cui, a seguito del naturale movimento oscillante del terminale, si era determinato il contatto tra questo ed i cavi dell’alta tensione, con conseguente folgorazione del lavoratore addetto alla materiale posa in opera del calcestruzzo.

Il Gup del Tribunale dichiarava entrambi gli imputati colpevoli del reato loro ascritto, e, concesse le circostanze attenuanti generiche, operata la riduzione per il rito, li condannava alla pena di dieci mesi e venti giorni di reclusione ciascuno nonché al pagamento delle spese processuali. Condannava, inoltre, gli imputati al risarcimento del danno cagionato alla parte civile costituita nonché alla rifusione delle spese processuali dalla stessa sostenute. La Corte di Appello successivamente, in riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena agli stessi inflitta in sei mesi di reclusione, confermandone, quindi, l’affermazione di responsabilità e ha condannato gli imputati alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile costituita nel grado.

Avverso la pronuncia della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione solo il committente, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo, quale unico motivo, una violazione di legge penale e l’illogicità della motivazione. Il ricorrente ha evidenziato che dall’esame del Documento di Valutazione dei Rischi e del Piano Operativo di Sicurezza era emerso che il rischio da elettrocuzione era stato ampiamente scandagliato, prescrivendosi che non potessero essere eseguiti lavori non elettrici in vicinanza di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, e comunque a distanze inferiori ai limiti di cui alla tabella 1 dell’allegato IX, salvo che venissero adottate disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi. Il ricorrente ha evidenziato altresì che nello stesso era stato anche indicato che durante l’uso dell’autopompa per il getto del calcestruzzo doveva essere rispettata la distanza di 5 metri da linee aree elettriche non protette, tant’è che il consulente del P.M. aveva concluso che le cause che avevano generato il sinistro erano da addebitare al mancato rispetto delle procedure di sicurezza per il rischio di elettrocuzione, sia da parte dell’impresa appaltatrice, sia da parte della ditta fornitrice del calcestruzzo previste tra l’altro nei loro rispettivi documenti di sicurezza.

Il ricorrente ha posto inoltre l’accento sul fatto che l’infortunato era un socio della società appaltatrice dei lavori, con specifiche competenze in materia di sicurezza sul lavoro, al punto da essere il RSPP della propria azienda, e che il sinistro si era verificato per il mancato rispetto, da parte sua, delle specifiche procedure previste per cautelarsi dal rischio di elettrocuzione; chi avrebbe risposto dell’infortunio si è chiesto il committente, nel caso in cui il deceduto fosse stato altro operaio alle dipendenze della ditta appaltatrice se non lo stesso RSPP per non avere vigilato sul rispetto delle procedure? Preso atto altresì che nella sentenza era stato addebitato al committente di non avere provveduto a sollecitare il distacco della rete elettrica e che l’evento si era verificato perché si era concretizzato un rischio la cui gestione e prevenzione spettava essenzialmente al committente stesso, il difensore ha evidenziato che il sinistro non sarebbe accaduto se chi doveva operare a una distanza di cinque metri avesse rispettato le prescrizioni che gli erano ben note. Il sinistro mortale, in conclusione, si era verificato per una condotta commissiva della stessa vittima; se la stessa avesse rispettato la distanza di 5 metri, l’incidente non si sarebbe verificato. Il difensore ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, ritenute fondate le motivazioni contenute nel ricorso, ha annullata la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di provenienza alla quale ha anche demandata la regolamentazione delle spese sostenute dalle parti nel giudizio di legittimità.

Premesso che non sono in discussione i fatti ricostruiti fin dal giudizio di primo grado, la Corte suprema ha fatto presente che era stato accertato che l’imputato, nella sua qualità di committente e responsabile dei lavori, aveva, in ogni caso trasmesso al Comune la dichiarazione di verifica della documentazione dell’impresa esecutrice come previsto dall’articolo 90, comma 9, lettere a) e b) de D. Lgs. n. 81/08 e aveva predisposto il documento di valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI). La ditta appaltatrice dei lavori, dal suo canto, aveva predisposto lo specifico POS, in conformità all’articolo 96, comma 1 lettera g) dello stesso D. Lgs. n. 81/2008 nel quale erano state indicate le misure di sicurezza relative alla elettrocuzione e era stato ribadito che durante l’uso dell’autopompa per il getto doveva essere rispettata la distanza di 5 metri dalle linee aeree non protette.

Per ciò che concerneva la ditta fornitrice del calcestruzzo la stessa, non partecipando attivamente ai lavori di cantiere, non era soggetta all’obbligo del POS, ma non di meno, in conformità al disposto di cui all’articolo 26, comma 3-bis, e dall’articolo 96, comma 1, lettera g) del citato D. Lgs., era dotata di documento indicante la procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere, avente lo scopo di indicare alle imprese esecutrici le procedure di sicurezza a cui avrebbero dovuto attenersi i lavoratori coinvolti nelle diverse fasi in cui si articola il rapporto tra il fornitore e l’impresa cliente.

In merito al ruolo del committente dei lavori dati in appalto la suprema Corte ha richiamata la giurisprudenza consolidata in materia di responsabilità colposa, secondo cui lo stesso debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza nello scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto al quale affidare l’incarico, accertando che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa e abbia inoltre l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati.

La giurisprudenza della Corte, ha sottolineato la Sez. IV, distingue tuttavia ormai da anni il committente professionale da quello privato. Si ritiene infatti che il committente privato, in quanto tale non professionale, che affidi in appalto lavori di manutenzione domestica, non sia tenuto a conoscere, alla pari di quello professionale, le singole disposizioni tecniche previste dalla normativa prevenzionale. Gli si chiede tuttavia, se non vuole assumere su di sé tutti gli obblighi in materia di sicurezza e rispondere penalmente degli eventuali infortuni dei lavoratori, di scegliere adeguatamente l’impresa, verificando che essa sia regolarmente iscritta alla C.C.I.A., che sia dotata del documento di valutazione dei rischi e che non sia destinataria di provvedimenti di sospensione o interdittivi ai sensi dell’art. 14, del D. Lgs. n. 81/2008. Si profila invece una sua responsabilità penale quando vi sia prova che si sia ingerito nell’organizzazione o nell’esecuzione del lavoro o in presenza di un’agevole ed immediata percepibilità delle situazioni di pericolo.

Diversa e più pregnante è invece la posizione di garanzia del committente-imprenditore a carico del quale il decreto legislativo n. 81/2008 ha posto con l’art. 26 la valutazione del cosiddetto rischio da interferenze, l’elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure da adottare per eliminare o, comunque, ridurre al minimo i rischi da interferenze. Il committente professionale ha inoltre l’obbligo di fornire dettagliate informazioni sui rischi esistenti nell’ambiente in cui i lavoratori dell’appaltatore sono destinati ad operare.

Nel caso in esame, ha precisato la Sez. IV, è pacifico che nel cantiere incombeva il rischio derivante dalla presenza di una linea elettrica che sovrastava il deposito di oli minerali ad uso commerciale gestito dall’imputato e che tale rischio non ineriva ad un’attività specialistica dell’impresa appaltatrice, giacché proveniva dalla conformazione stessa dell’ambiente di lavoro. E rimane consolidato e pienamente condivisibile il principio che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il rischio derivante dalla conformazione dell’ambiente di lavoro grava sul committente, perché, inerendo all’ambiente di lavoro, non è riconducibile alla natura specialistica dei lavori commissionati all’impresa appaltatrice

Il ricorrente, ha sottolineato la suprema Corte, si è difeso nel corso di tutto il processo asserendo di avere assolto ogni onere prodromico a governare quel rischio previsto dalla normativa di riferimento. In particolare, in primis, si era accertato dell’idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice ed aveva fornito alla stessa dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui questa era destinata ad operare. Aveva inoltre promosso la cooperazione ed il coordinamento ai fini dell’attuazione delle misure precauzionali, attraverso l’elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi indicante le misure adottate per eliminare o ridurre al minimo le interferenze.

E’ risultato pacificamente acclarato, ha così proseguito la Sez. IV, che la morte del lavoratore fosse avvenuta per cause addebitabili al mancato rispetto delle procedure di sicurezza per il rischio di elettrocuzione che, come visto, erano state chiaramente indicate. Chi eseguiva i lavori, non attenendosi alla normativa di riferimento, conduceva i bracci metallici dell’autobetonpompa ad una distanza inferiore ai 5 metri previsti dall’art. 83 del D. Lgs. n. 81/2008, consentendo, a causa delle oscillazioni provocate dal passaggio del calcestruzzo o per uno spostamento del terminale gommato manovrato dall’infortunato il contatto con i fili della linea elettrica e la conseguente scarica che ha determinato il suo decesso. Altrettanto pacifico è risultato che, se fosse stato operato il distacco della corrente elettrica l’evento mortale non si sarebbe verificato.

Come detto in precedenza, la giurisprudenza della Corte di legittimità pone a carico del committente imprenditore oneri più pregnanti rispetto al privato, in ragione della sua maggiore professionalità. Quest’ultima, tuttavia, va valutata in relazione al caso concreto. Il committente nel caso in esame era un imprenditore del settore idrocarburi e non gli si poteva riconoscere una particolare competenza in relazione a lavorazioni di tipo edilizio. Egli aveva commissionato alla società di cui l’infortunato era contitolare l’infortunato la realizzazione di una piattaforma di calcestruzzo e la posa in opera sulla stessa di un prefabbricato da adibire ad ufficio e aveva constatato che la documentazione a tutela dei lavoratori, conforme alle prescrizioni di cui al D. Lgs. n. 81/08, aveva preso in considerazione il rischio che ha poi determinato l’evento, predisponendo le cautele a protezione del lavoratore.

Le sentenze impugnate avevano dato atto che dall’esame del Documento di Valutazione dei Rischi e del Piano Operativo di Sicurezza era emerso che il rischio da elettrocuzione era stato ampiamento scandagliato, prescrivendosi che non potessero essere eseguiti lavori non elettrici in vicinanza di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, e comunque a distanze inferiori ai limiti di cui alla tabella 1 dell’allegato IX, salvo che venissero adottate disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi e nello stesso era stato specificato che durante l’uso dell’autopompa per getto doveva essere rispettata la distanza dì 5 metri da linee aree elettriche non protette.

Ebbene, il tema che si pone per il Collegio è quello di valutare se il committente, nel caso concreto, potesse fare affidamento sul rispetto della prescrizione di non lavorare a meno di 5 metri dal visibilissimo elettrodotto, soprattutto da parte del RSPP, la cui funzione principale è quella di elaborare e mettere in atto tutte le procedure necessarie a proteggere i lavoratori, analizzando gli ambienti e cercando di prevenire eventuali condizioni di rischio che possano minare la sicurezza e la salute dei dipendenti.

Il Testo Unico relativo alla Salute e Sicurezza sul Lavoro del 2008, ha ricordato la suprema Corte, ha indicato i compiti del RSPP il quale deve in particolare occuparsi della gestione delle persone, dei sistemi e dei mezzi esterni o interni all’azienda utili a svolgere le attività di prevenzione e protezione dai rischi. Il RSPP ha l’obbligo di redigere il Documento delle Valutazione dei Rischi, in collaborazione con il datore di lavoro, il medico competente e il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. DVR che, come visto, c’era e contemplava specificamente il rischio da elettrocuzione.

In materia di responsabilità colposa per infortuni sul lavoro, ha aggiunto la Sezione IV, laddove il garante abbia preso in considerazione uno specifico rischio e abbia, al fine di gestirlo, introdotto e rese conoscibili delle adeguate prescrizioni, egli deve poter fare affidamento, fino a prova contraria, che quelle prescrizioni siano rispettate, soprattutto quando ha a che fare con soggetti qualificati ed essi stessi garanti rispetto a quel rischio¸ e tale è il RSPP, ausiliare del datore di lavoro e firmatario del POS, che aveva egli stesso l’obbligo di fermare il lavoratore che, manovrando l’autobetonpompa, stava palesemente violando la prescrizione di lavorare ad una distanza non inferire ai 5 metri dal visibilissimo elettrodotto e eventualmente di informare il committente affinché provvedesse ad intervenire presso l’ente erogatore della energia elettrica per sollecitare la temporanea disattivazione in quanto quel particolare tipo di attività non poteva garantire il rispetto del limite dei 5 metri, e come riferimento ha citato citando in particolare le indicazioni fornite dalla stessa Corte di Cassazione nella sentenza n. 15226 del 17/04/2007.

La suprema Corte ha ritenuto fondato infine il rilievo difensivo secondo cui, se al committente dovesse ritenersi ascrivibile una penale responsabilità per non avere vigilato durante lo svolgimento dei lavori, occorre confrontarsi con la giurisprudenza consolidata della Corte di legittimità secondo cui l’obbligo di vigilanza da parte del committente dei lavori non può condurre ad esigere da quest’ultimo un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori. È stato, infatti, condivisibilmente affermato, in più decisioni della Corte di Cassazione, che, in tema di infortuni sul lavoro “il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori” e in merito ha citato, fra le altre, la sentenza n. 44131 del 02/11/2015.

La suprema Corte ha quindi in conclusione annullata la sentenza impugnata disponendo il suo rinvio per un nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di provenienza alla quale ha anche demandata la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al giudizio di legittimità.

Gerardo Porreca

Scarica la sentenza di riferimento:

Cassazione Sezione IV penale – Sentenza n. 33705 del 5 settembre 2024 (u. p. 11 luglio 2024) – Pres. Di Salvo – Est. Pezzella – Ric. omissis – In tema di infortuni sul lavoro il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori.

Fonti: Olympus.uniurb.it, Puntosicuro.it