La sentenza n. 16471 del 2 maggio 2025 si sofferma sul danneggiamento di un cronotachigrafo di una vettura e sull’articolo 437 del Codice penale sulla rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.

Cass. pen. 2 maggio 2025, n. 16471

In primo ed in secondo grado, l’imputato veniva condannato in ordine al reato ex art. 437 c.p., “Rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro”, per avere danneggiato, mediante l’applicazione di un magnete, il funzionamento del cronotachigrafo installato su di un veicolo dal medesimo condotto.

La difesa dell’imputato riteneva che erroneamente i Giudici del merito avessero ritenuto ravvisabile il ricorrere della fattispecie delittuosa ex art. 437 c.p., in luogo dell’illecito amministrativo ex art. 179, c. 2, cod. strada, posto che, a detta della difesa, il secondo si pone in rapporto di specialità rispetto al primo e deve, pertanto, trovare applicazione.

Di contro, i Giudici del merito disattendevano la tesi difensiva circa l’asserito rapporto di specialità tra le due norme, posta la diversità dei beni giuridici tutelati (la sicurezza della circolazione stradale, da un lato, e la sicurezza dei lavoratori dall’altro), nonché la diversità strutturale delle due fattispecie sui piani oggettivo e soggettivo, evidenziando:

  • che il reato ex art. 437 c.p. è punito a titolo di dolo, mentre l’illecito amministrativo indifferentemente a titolo di dolo o colpa;
  • che la condotta punita dall’art. 179 cod. strada non presuppone che l’autore della violazione coincida con il soggetto responsabile dell’alterazione, al contrario dell’art. 437 c.p.;
  • che l’art. 437 c.p. punisce l’autore della condotta a prescindere dalla messa in circolazione del mezzo.

Ricorreva in Cassazione la difesa dell’imputato, ribadendo il ritenuto rapporto di specialità tra le due norme e chiedendo che la questione fosse rimessa alle Sezioni Unite al fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale in materia.

Gli articoli in esame

L’art. 437 c.p. prevede che “Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”.

L’art. 179, c. 2, cod. strada prevede che “Chiunque circola con un autoveicolo non munito di cronotachigrafo, nei casi in cui esso è previsto, ovvero circola con autoveicolo munito di un cronotachigrafo avente caratteristiche non rispondenti a quelle fissate nel regolamento o non funzionante […] è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 866 a euro 3.464. La sanzione amministrativa pecuniaria è raddoppiata nel caso che l’infrazione riguardi la manomissione dei sigilli o l’alterazione del cronotachigrafo”.

La pronuncia della Cassazione

I Supremi Giudici ritengono il ricorso infondato, sulla base dei seguenti motivi.

Infondato è il motivo che pretenderebbe di inquadrare la condotta dell’imputato, secondo un criterio di specialità tra le due fattispecie, in quella di cui al codice della strada, avendo, invero, i Giudici del merito aderito all’orientamento giurisprudenziale ad oggi prevalente, secondo cui “Non sussiste rapporto di specialità tra la disposizione di cui all’art. 179 cod. strada – che punisce con una sanzione amministrativa colui che mette in circolazione un veicolo con cronotachigrafo manomesso – e quella di cui all’art. 437cod. pen. – che sanziona l’omessa collocazione, la rimozione o il danneggiamento di apparecchiature destinate a prevenire infortuni sul lavoro – stante la diversità non solo dei beni giuridici tutelati – rispettivamente la sicurezza della circolazione stradale e la sicurezza dei lavoratori – ma anche strutturale tra le fattispecie, sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo”.

Il ragionamento posto alla base della sentenza da parte dei Giudici del merito è riassumibile come segue.

La questione relativa all’esistenza (o meno) di un conflitto apparente di norme regolanti il medesimo fatto deve essere risolta mediante l’applicazione – in via esclusiva – del criterio di specialità previsto dall’art. 15 cod. pen., fondato sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie poste a raffronto, al fine di apprezzare l’implicita valutazione di correlazione tra le norme effettuata dal legislatore […]; il principio è stato affermato dalle Sezioni Unite anche con specifico riguardo al tema, che qui interessa, del concorso tra una disposizione penale incriminatrice e una disposizione amministrativa sanzionatoria apparentemente regolanti lo stesso fatto, nel qual caso deve trovare applicazione esclusivamente – una volta positivamente riconosciuto il conflitto – la disposizione che risulti speciale (rispetto all’altra) all’esito del confronto compiuto tra le rispettive fattispecie astratte”.

Posto quanto sopra, i Supremi Giudici ritengono che i Giudici del merito abbiano correttamente escluso un rapporto di specialità tra le due fattispecie, stanti “la diversità, non solo e non tanto, dei beni giuridici tutelati da ognuna delle due fattispecie – rispettivamente costituiti dalla sicurezza della circolazione stradale (comprensiva di quella degli utenti terzi, diversi da colui che circoli alla guida del veicolo […]) e dalla sicurezza dei lavoratori (e, dunque, in primis dello stesso autore della violazione, se conducente del veicolo) – quanto, soprattutto, della stessa natura strutturale delle fattispecie medesime, sia sotto l’aspetto soggettivo che sotto quello oggettivo”.

In particolare, i Giudici del merito hanno osservato:

  1. che il reato previsto all’ art. 437 c.p. è punito a titolo di dolo, necessitando, dunque, per la sua sussistenza, la coscienza e volontà, da parte dell’agente, di realizzazione dell’evento; di contro, ai fini della configurabilità dell’illecito ex art. 179, c. 2, cod. strada è del tutto indifferente l’elemento psicologico, potendo aver agito l’agente sia a titolo di dolo che di colpa (quest’ultima, da intendersi la condotta posta in essere con negligenza, imprudenza, imperizia, ovvero inosservanza di regole cautelari);
  2. all’art. 437 c.p. l’autore deve personalmente manomettere (nel caso di specie) lo strumento atto a garantire la tutela del conducente, a prescindere che poi si metta alla guida del mezzo; mentre, nel caso dell’art. 179 cod. strada l’agente deve mettersi alla guida del mezzo su cui sia stato manomesso lo strumento di sicurezza, a prescindere da chi abbia manomesso tale strumento; in altre parole, potrebbe verificarsi l’ipotesi in cui un soggetto manometta il cronotachigrafo, rendendosi responsabile della fattispecie ex art. 437 c.p., mentre potrebbe un altro soggetto mettersi alla guida del mezzo, rispondendo ex art. 179 cod. strada;
  3.  la fattispecie delittuosa di cui all’art. 437 c.p. è qualificabile come reato di pericolo, che non necessita della verificazione dell’evento ai fini della configurazione della responsabilità; in altre parole, è sufficiente che lo strumento atto a garantire la sicurezza venga manomesso, senza che sia necessario che il veicolo venga messo in circolazione, circostanza che ben potrebbe non verificarsi; al contrario, l’art. 179, c. 2 cod. strada tratta della condotta consistente nel far circolare il mezzo, al quale, in una fase antecedente, sia stato manomesso lo strumento di sicurezza.

Alla luce di tutto quanto sopra, i Supremi Giudici ritengono che “La conseguenza di tale condivisa impostazione non può che condurre a ritenere che, se l’imputato, come nel caso di specie, oltre a manomettere il dispositivo, abbia circolato alla guida del veicolo, debba essere chiamato a rispondere di entrambi gli illeciti fra loro indipendenti, quello penale (art. 437 cod. pen.) e quello amministrativo (art. 179, comma 2, cod. strada […])”.

Gli orientamenti contrastanti

Importante evidenziare come nella medesima sentenza in esame i Supremi Giudici diano atto, seppur non condividendoli, di orientamenti contrari rispetto a quelli posti a base della propria decisione.

E, difatti, si legge nella pronuncia in esame che “Non persuade il diverso indirizzo ermeneutico proposto da Sez. 1, n. 18221 del 09/04/2019, Sassonia, Rv. 275466 – 01 e Sez. 1, n. 2200 del 12/09/2017, dep. 2018, Gallini, Rv. 272364 – 01, secondo le quali il conducente del mezzo che circola con il cronotachigrafo manomesso o alterato è soggetto alla sola sanzione amministrativa prevista dall’art. 179 cod. strada, sussistendo un rapporto di specialità tra il predetto illecito ed il reato di cui all’art. 437 cod. pen., che punisce l’omessa collocazione, la rimozione o il danneggiamento di apparecchiature destinate a prevenire infortuni sul lavoro (nelle motivazioni, la Corte ha precisato che è, invece, configurabile il reato di cui all’art. 437cod. pen. qualora la violazione sia commessa dal datore di lavoro, o da altri su sua disposizione, per ragioni attinenti allo svolgimento dell’attività di impresa)”.

Secondo tale orientamento, sostanzialmente, la fattispecie di cui all’ art. 437 c.p. viene a configurarsi come “reato proprio”, ossia che può essere realizzato solo a specifici soggetti individuati dalla medesima norma incriminatrice.

Al fine di comprendere la differenza tra reato proprio e improprio, si prendano brevemente a riferimento, a titolo di esempio, le fattispecie dell’appropriazione indebita e del peculato.

  • Art. 646 c.p., “Appropriazione indebita”, “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro mille a euro tremila”.
  • Art. 314 c.p., “Peculato”, “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi […]”.

Appare evidente la differenza tra le due fattispecie criminose: la condotta incriminata è la medesima (appropriarsi di denaro o bene mobile altrui in possesso / nella disponibilità dell’agente), ma se, nel primo caso, chiunque può porla in essere, nel secondo caso può essere attribuita solo al pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio. [Si dica brevemente che nelle due fattispecie prese a esempio, la circostanza di prevedere per la medesima condotta due reati diversi risiede nel maggiore disvalore che il Legislatore ha inteso attribuire laddove l’appropriazione venga perpetrata da parte di un soggetto con le qualifiche di cui all’art. 314 c.p., come si evince dal più grave trattamento sanzionatorio].

Posto tutto quanto sopra, come evidenziato dai Supremi Giudici nella sentenza in esame, non può ritenersi che l’art. 437 c.p. si configuri quale reato “proprio”, posto che la stessa formulazione della fattispecie criminosa prevede che la condotta possa essere perpetrata da “chiunque”.

Nessun fondamento ha quell’orientamento giurisprudenziale ai sensi del quale, per potersi configurare, il reato ex art. 437 c.p. deve essere realizzato da parte del datore di lavoro o, comunque, su sua indicazione e nell’ambito dell’organizzazione di impresa.

“Un indirizzo siffatto, si pone oggettivamente in contrasto, in primo luogo, con la lettera della legge, atteso che il reato in questione, attraverso l’univoco utilizzo, da parte del legislatore, del pronome “chiunque”, è ascrivibile a ogni persona che “omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro ovvero li rimuove o li danneggia”, e che, quindi, con tali modalità, pregiudichi o metta in pericolo la sicurezza degli ambienti di lavoro”.

Ma ancora.

“In secondo luogo, l’orientamento de quo non si concilia neppure con la ratio legis, poiché condurrebbe irragionevolmente ad escludere, ad esempio, dal suo raggio di azione, la condotta del lavoratore, il quale ometta di registrare l’effettiva circolazione del veicolo condotto, così ponendo a repentaglio la sicurezza propria e di colleghi che eventualmente viaggino con lo stesso mezzo”.

Fermo restando tutto quanto sopra, v’è da rilevare come i Supremi Giudici diano atto che si deve, comunque, “registrare il contrasto di indirizzi interpretativi sul tema sottoposto all’odierno vaglio”, ma che, in ogni caso, mancano “le condizioni per rimettere la questione alle Sezioni Unite, tenuto conto della netta prevalenza delle decisioni che qui si condividono e della mancata emanazione di sentenze espressive dell’orientamento minoritario dal 2019 in avanti”.

Alla luce dei principi esposti, la Suprema Corte ritiene che i Giudici del merito si siano conformati all’opzione ermeneutica prevalente, ritenendo che siano integrati gli estremi ex art. 437 c.p., essendosi configurato, l’imputato, quale autore dell’alterazione de qua. Di contro, egli avrebbe potuto rispondere unicamente dell’illecito ex art. 179, c. 2, cod. strada nella sola ipotesi in cui avesse messo in circolazione il mezzo, senza operare in prima persona la manomissione.

Sulla scorta di tali considerazioni, i Supremi Giudici rigettano il ricorso.

Scarica la sentenza di riferimento:

Corte di Cassazione Penale, Sezione I – Sentenza n. 16471 del 2 maggio 2025 – Danneggiamento del cronotachigrafo. Art. 437: rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.

Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it, Avv. Carolina Valentino