Come le aziende dovranno prepararsi a questo passaggio storico e quali prevedibili impatti avrà la presenza di datori di lavoro preparati e consapevoli in materia di sicurezza sugli equilibri tra i ruoli aziendali e sulle responsabilità.
Allorché la bozza di Accordo Stato-Regioni attuativa dell’art.37 c.7 del D.Lgs.81/08 verrà approvata dalla Conferenza Stato-Regioni ed entrerà in vigore, diverranno operativi gli obblighi formativi in essa previsti, ivi compreso quello relativo alla formazione rivolta a tutti i datori di lavoro.
Il Testo Unico prevede infatti che “il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti ricevono un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, secondo quanto previsto dall’accordo di cui al comma 2, secondo periodo” (art.37 c.7 D.Lgs.81/08).
Ciò comporterà da parte delle aziende la messa in atto di azioni preparatorie e, successivamente, l’adempimento di tale obbligo di formazione – nonché di quello di aggiornamento periodico – entro i termini previsti dal provvedimento.
Dall’altra parte, accanto alle azioni concrete che tale norma imporrà, quest’ultima avrà anche delle ricadute sotto il profilo degli equilibri giuridici, da un lato dal punto di vista dei ruoli e dei rapporti tra i soggetti del sistema di prevenzione e dall’altro, più in generale, dal punto di vista dell’attribuzione delle responsabilità.
Analizziamo dunque le implicazioni di tale obbligo formativo sotto tutti questi profili, partendo anzitutto da una premessa necessaria: l’obbligo generale di formazione dei datori di lavoro,che è stato introdotto ex novo pochi anni fa (benché ancora attenda di diventare operativo), non ha precedenti nell’ordinamento giuridico di salute e sicurezza, eccezion fatta ovviamente per casi particolari quali l’obbligo specifico di formazione dei datori di lavoro dell’impresa affidataria in vigore dal 2009, l’obbligo di formazione del datore di lavoro in caso di svolgimento diretto della funzione di RSPP etc.
Ciò ricordato, la prima azione propedeutica all’effettuazione di tale formazione che dovrà essere compiuta da ogni organizzazione sarà quella di procedere all’individuazione del datore di lavoro o dei datori di lavoro della stessa (qualora in azienda non si sia ancora fatta chiarezza in merito), da intendersi quale passaggio ineludibile finalizzato all’identificazione del soggetto o dei soggetti da formare con la modalità e nei termini che saranno previsti dal provvedimento definitivo.
Va da sé che, nel caso delle datorialità plurisoggettive nelle quali le prerogative e i poteri non siano stati concentrati su un unico soggetto da identificarsi poi come datore di lavoro ai sensi del D.Lgs.81/08, tutti i datori di lavoro – in virtù di tale qualità – dovranno essere formati in materia di salute e sicurezza.
I criteri cui attenersi nell’individuazione del datore di lavoro privato sono quelli previsti nella definizione contenuta nell’art.2 c.1 lett.b) primo periodo del D.Lgs.81/08, ai sensi del quale è tale “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.”
La Suprema Corte ha costantemente chiarito che, “secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel caso di imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione.
E difatti il Presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali non può, da solo, essere considerato rappresentante della società appartenendo la rappresentanza all’intero consiglio di amministrazione, salvo delega [gestoria, n.d.r.] conferita ad un singolo consigliere, amministratore delegato, in virtù della quale l’obbligo di adottare le misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro osservanza si trasferisce dal consiglio di amministrazione al delegato, rimanendo in capo al consiglio di amministrazione residui doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega.” ( Cassazione Penale, Sez. IV, 20 maggio 2013 n.21628.)
E ancora, la Corte ricorda che “in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all’interno dell’azienda, e quindi con i vertici dell’azienda stessa, ovvero nel presidente del consiglio di amministrazione, o amministratore delegato o componente del consiglio di amministrazione cui siano state attribuite le relative funzioni” (Sez.3, Sentenza n.12370 del 09/03/2005 Rv.231076), con la conseguenza che “gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione” (Sez.4, Sentenza n.6280 del 11/12/2007 Rv.238958).”
Pertanto “ne discende la possibilità della coesistenza, all’interno della medesima impresa, di più figure aventi tutte la qualifica di datore di lavoro, cui incombe l’onere di valutare i rischi per la sicurezza, di individuare le necessarie misure di prevenzione e di controllare l’esatto adempimento degli obblighi di sicurezza” ( Cassazione Penale, Sez. IV, 9 dicembre 2013 n.49402).
Tutto ciò fermo restando che “anche in presenza di una delega di funzioni ad uno o più amministratori (con specifiche attribuzioni in materia di igiene del lavoro), la posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio non viene meno, pur in presenza di una struttura aziendale complessa ed organizzata, con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attengono direttamente alla sfera di responsabilità del datore di lavoro” (Cassazione Penale, Sez.IV, 4 novembre 2010 n.38991, caso Montefibre).
Laddove poi, all’interno delle organizzazioni complesse, ricorrano realmente le condizioni perché una struttura o uno stabilimento presente nell’ambito delle stesse possa essere rispettivamente qualificata o qualificato “unità produttiva” ai sensi della relativadefinizione di cui all’art.2 c.1 lett.t) D.Lgs.81/08, è possibile che sia identificabile anche un datore di lavoro nell’ambito dell’unità produttiva.
Secondo la Suprema Corte, infatti, “il dato normativo consente di distinguere un datore di lavoro in senso giuslavoristico da uno o più datori di lavoro (sussistendo distinte unità produttive) in senso prevenzionale.”
In tale ottica, risulta “evidente che la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell’unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali”( Cassazione Penale, Sez. IV, 3 febbraio 2011 n.4106).
Per quanto attiene al datore di lavoro pubblico, poi, la Cassazione ha chiarito che, ai sensi dell’art.2 c.1 lett.b) secondo periodo del D.Lgs.81/08, “l’individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di datore di lavoro è demandata alla pubblica amministrazione, la quale vi provvede con l’attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale, non potendo tale qualifica essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze nel settore specifico.”
Nelle pubbliche amministrazioni, infatti, “sono gli organi di direzione politica che devono procedere all’individuazione, tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici, non essendo per tale ragione possibile una scelta non espressa e non accompagnata dal conferimento di poteri di gestione alla persona fisica; di conseguenza, in mancanza di tale individuazione permane in capo a suddetti organi l’indicata qualità, anche ai fini dell’eventuale responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica” ( Cassazione Penale, Sez.III, 5 luglio 2018 n.30170).
Tutto ciò precisato, una volta identificati i datori di lavoro da parte delle organizzazioni ed erogata agli stessi la formazione prevista dall’emanando Accordo Stato-Regioni, è interessante domandarsi in quali ambiti – sotto il profilo strettamente degli equilibri giuridici, escludendo in questa sede gli altri aspetti – ciò potrà avere un impatto ed è legittimo formulare delle ipotesi sulla base dell’esperienza passata, dal momento che non sono stati pochi i datori di lavoro che, in questi decenni, pur in assenza di obblighi formativi in tal senso, hanno volontariamente partecipato a percorsi di formazione in materia di salute e sicurezza (spesso in occasione dei corsi per i dirigenti o perché interessati al tema della responsabilità della persona giuridica ai sensi del D.Lgs.231/01 o in altre circostanze più mirate).
A ciò si aggiungano coloro che hanno ricevuto tale formazione (in questo caso obbligatoriamente) quali datori di lavoro di imprese affidatarie.
Personalmente, dunque, mi rifaccio – nei ragionamenti che seguiranno – alle azioni che ho visto intraprendere in questi decenni dai datori di lavoro a seguito della formazione ricevuta, nonché agli effetti oggettivi che, sulla base della mia constatazione diretta, tali percorsi hanno prodotto nell’ambito dei sistemi aziendali di prevenzione.
Il primo effetto che ritengo di poter sottolineare in tal senso è quello di un incremento e di un utilizzo più oculato dello strumento della delega da parte dei datori di lavoro.
Un esempio per tutti: prima di ricevere una formazione specifica in materia di salute e sicurezza, per la mia esperienza è raro che un datore di lavoro sia a conoscenza della presunzione legale contenuta nell’art.16 c.3 del D.Lgs.81/08, ai sensi del quale l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro delegante sul delegato “si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4.”
Una norma complessa, questa, che collega la responsabilità del datore di lavoro delegante – quale persona fisica – al regime giuridico relativo alla responsabilità della persona giuridica.
Ebbene, ho assistito in maniera diretta alla promozione – ad opera dei datori di lavoro, a seguito della formazione ricevuta – dell’implementazione del sistema 231 da parte delle persone giuridiche cui appartenevano, ai fini della possibilità di poter beneficiare loro stessi, quali persone fisiche, di tale presunzione legale e quindi di poter rendere la delega conferita ad un altro soggetto interamente liberatoria (oltre che, ovviamente, ai fini dell’evitamento della responsabilità prevista dal D.Lgs.231/01 in capo alla persona giuridica stessa).
E ancora, sempre a titolo di esempio, va da sé che, in caso di conferimento di delega di funzioni da parte del datore di lavoro, a seguito della formazione ricevuta dallo stesso, la vigilanza che verrà effettuata da quest’ultimo in qualità di delegante sull’attività del delegato sarà svolta da un soggetto formato in materia e quindi più consapevole.
Non si dimentichi, infatti, che l’art.16 c.3 del Testo Unico prevede che “l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro” abbia ad oggetto il “corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”.
Ritengo, poi, che la formazione dei datori di lavoro potrà avere anche un impatto importante sul livello di interlocuzione dei datori di lavoro con i ruoli consulenziali dell’RSPP e del Medico Competente nonché con i ruoli di rappresentanza dei lavoratori in materia di sicurezza (RLS, RLST etc.).
Pur restando fermo, ad esempio nel caso dell’RSPP, il fatto che questi resterà il detentore di una competenza tecnico-scientifica che non potrà ovviamente essere richiesta dall’ordinamento giuridico al datore di lavoro, tuttavia non va dimenticato che, per giurisprudenza costante, se da un lato “per la redazione di tale documento [DVR, n.d.r.], fondamentale per lo svolgimento in sicurezza della vita lavorativa all’interno di ogni azienda, il datore di lavoro può avvalersi della collaborazione di un professionista, prevedendo la legge la consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione”, tuttavia l’ausilio che tale soggetto presta per la “redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 20 luglio 2018 n.34311).
Anche in questo caso, si tratta solo di un esempio (cui potrebbero aggiungersene decine di altri), che però ci conduce ad una riflessione generale e conclusiva: quando la formazione dei datori di lavoro sarà operativa e sarà scaduto il termine massimo previsto dall’Accordo per l’adempimento concreto di tale incombenza, tutti gli obblighi che la legge attribuisce al datore di lavoro saranno svolti da un soggetto formato, preparato e consapevole.
Rappresentando la formazione in materia di salute e sicurezza – in termini generali – una facoltà di fatto atta a porre un soggetto in grado di svolgere correttamente il proprio ruolo, è immaginabile che ciò avrà delle ricadute dal punto di vista dell’attribuzione delle responsabilità penali e civili secondo i principi generali che regolano il rapporto competenza-qualificazione-responsabilità.
Fonti: Puntosicuro.it, Anna Guardavilla (Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro), ambientediritto.it, olympus.uniurb.it