Una recente sentenza di Cassazione Penale si sofferma sulle finalità e i contenuti dell’obbligo di segnalazione del preposto ai suoi superiori quale presupposto per la rielaborazione del DVR e delle misure, prima e dopo la Legge 215/2021.

Come noto, il Testo Unico prevede che il preposto debba obbligatoriamente “segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta” (art.19 c.1 lett.f) D.Lgs.81/08).

Inoltre, l’introduzione all’interno dell’articolo 19 del Testo Unico – ad opera della Legge 215/2021 – della “lettera f-bis), aggiunta ex novo, richiede al preposto da un lato un comportamento proattivo e se necessario interruttivo con riferimento alle «deficienze dei mezzi e delle attrezzature e di ogni condizione di pericolo», e dall’altro di adempiere all’obbligo aggiuntivo di «segnalare tempestivamente al datore di lavoro e dirigente le non conformità rilevate» ai fini di un loro intervento risolutivo.

Ovviamente, sia le non conformità comportamentali rilevate, sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature devono essere state oggetto della formazione specifica ricevuta dal preposto (articolo 1, lettera g)).” (Relazione finale della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati, approvata in via conclusiva il 26 luglio 2022 e comunicata alla Presidenza il 7 ottobre 2022, p.79).

Il tema relativo all’obbligo di segnalazione del preposto è stato recentemente oggetto di una interessante sentenza di legittimità ( Cassazione Penale, Sez.IV, 14 aprile 2025 n.14443),con la quale, circa un mese fa, la Corte ha confermato la condanna del preposto A. per il reato di omicidio colposo in danno del lavoratore B., dipendente quest’ultimo della S. S.p.a., il quale veniva travolto da un automezzo (guidato da C.) utilizzato per il trasporto di materiale all’interno del cantiere di G.

In questo caso, il profilo di colpa specifica contestato ad A. è stato proprio rappresentato dalla violazione della lettera f) dell’art.19 D.Lgs.81/08 (obbligo di segnalazione del preposto), definito dalla Corte “il cardine normativo su cui poggia l’imputazione di responsabilità nei confronti del preposto A.”

Vediamo anzitutto i fatti.

Si era verificato che “il capo della squadra che trasportava il materiale da altro cantiere a quello di G, C., conduceva l’autocarro Iveco Magirus con rimorchio, parcheggiandolo al centro del piazzale, dove la sua squadra composta da B. e H. scaricava il materiale trasportato.”

Pertanto, “al termine di tali operazioni, il C. risaliva sull’automezzo e, nel riprendere la marcia, non accorgendosi della presenza di B. nella zona corrispondente alla fiancata destra del veicolo, lo travolgeva, schiacciandolo mortalmente con le ruote anteriori del rimorchio.”

Secondo il Tribunale e la Corte d’Appello, “l’incidente avrebbe potuto essere evitato con l’attuazione di sistemi di sicurezza per l’utilizzo dell’area in contestuale presenza di mezzi pesanti e pedoni, e con il posizionamento di un uomo a terra nel momento della manovra dell’automezzo; precauzioni prive di costi aggiuntivi per la società.”

Per quanto riguarda, poi, “la posizione del A., dipendente della S. con funzioni di preposto, è emerso che costui, nel mese di luglio 2013, aveva contattato telefonicamente G. per chiedere la disponibilità dell’area di proprietà dello stesso come deposito temporaneo di materiali di proprietà della S.”

A fronte di tale quadro, la contestazione che è stata mossa ad A. è relativa al fatto che questi, “pur a conoscenza della circostanza che l’area … fosse inidonea ad ospitare un deposito, non ha informato di ciò i dirigenti, non segnalando la condizione di pericolo che ha inciso causalmente nella produzione del sinistro.”

Dai motivi di ricorso di A., inoltre, si deduce che ai dirigenti e al datore di lavoro non erano state attribuite responsabilità penali in relazione a tale evento infortunistico.

L’imputato lamenta infatti in Cassazione il fatto che “risulta palese la contraddizione in cui è incorsa la Corte territoriale, laddove ha ritenuto di condannare il A. al quale era stato conferito un ruolo subordinato, assolvendo invece coloro che ricoprivano posizioni apicali nell’ambito della società.”

Inoltre, tra le argomentazioni difensive di A, spiccano quelle secondo cui da un lato “il deposito di G. non era stato oggetto di valutazione dei rischi” e, dall’altro, il “modello di organizzazione e gestione, come precisato dallo stesso consulente del Pubblico ministero”, quale “documento adottato dalla società non conteneva alcun riferimento alla gestione e alle procedure da adottare, in caso di scelta di un nuovo sito quale luogo di lavoro, in ordine alla valutazione dei rischi e alla rispondenza delle misure di sicurezza alle prescrizioni normative.”

Secondo la difesa del ricorrente, in sostanza, “il A., al quale era stato assegnato, in quanto preposto, il dovere di vigilare sullo stato dei luoghi di lavoro, nonché sull’attività svolta dai dipendenti non avrebbe potuto ricoprire competenze e svolgere funzioni che non rientravano in quelle connesse alla sua nomina”, anche in considerazione del fatto che a lui “era stata demandata la sola verifica della disponibilità dell’area, sulla base di una indicazione del superiore gerarchico”.

La Cassazione ha rigettato il ricorso di A., confermandone la condanna per il reato di omicidio colposo.

Dopo aver richiamato la definizione di “preposto” contenuta nell’art.2, c.1, lett.e) del D.Lgs.81/08, la Corte ricorda che “il successivo art.19 ne tratteggia gli obblighi che sono essenzialmente la vigilanza sulla osservanza della normativa e delle prescrizioni aziendali nonché sull’uso dei mezzi e dei dispositivi di protezione e il governo di situazioni rischiose, tramite la loro segnalazione ai lavoratori, al datore di lavoro ed al dirigente.”

Calando tali norme nel concreto, la Cassazione precisa che “il nucleo centrale dell’addebito di responsabilità, nel caso di specie, risiede nell’inosservanza dell’art.19, comma 1, lettera f) del D.Lgs.81/2008, che impone al preposto l’obbligo specifico di “segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta”.”

A questo punto la Suprema Corte sottolinea che “il preposto, pertanto, non ha soltanto il compito di vigilare sull’osservanza delle disposte misure antinfortunistiche, ma anche l’incombenza di rendere edotto delle deficienze delle misure protettive colui che ha l’obbligo di provvedere alla relativa adozione.”

In tal senso, la Relazione del Senato citata sopra specifica che “alla figura del preposto corrispondono le responsabilità derivanti dall’attività di vigilanza rispetto alla corretta esecuzione, o meno, delle prestazioni lavorative e rispetto al controllo del mantenimento della regolarità e non pericolosità di ambienti di lavoro, macchine e attrezzature” (p.74).

Tornando alla sentenza in commento, secondo la Cassazione ha dunque agito correttamente la Corte d’Appello nell’affermare che “il preposto A., pur essendo sicuramente consapevole della situazione di pericolo esistente nell’area dove avvenne il sinistro, non lo aveva comunicato ai vertici societari, di fatto impedendo ai soggetti che avrebbero dovuto adeguare il documento di valutazione dei rischi di procedere in tal senso.”

Con riferimento alle argomentazioni difensive di A. su richiamate, inoltre, la Suprema Corte fa la seguente distinzione: nel caso di specie “non assume principale rilevanza la fase di mera individuazione dell’area per conto del datore di lavoro, momento in cui non era ancora scattato l’obbligo di vigilanza proprio del preposto”, laddove “l’addebito di responsabilità si concentra, invece, sul periodo successivo, quando l’area è stata effettivamente destinata all’utilizzo quale deposito e sono iniziate le operazioni lavorative, in assenza delle necessarie misure di sicurezza.”

A parere della Cassazione, infatti, “è in questa fase che il preposto, nella piena consapevolezza dei rischi, ha omesso di effettuare le dovute segnalazioni in violazione del disposto dell’art.19, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 81/2008.”

Di ciò, peraltro, si è trovato concreto riscontro nel fatto che “la prima mail avente ad oggetto l’area… era quella inviata al E. in data 1/08/2013, in seguito all’infortunio mortale, mentre nelle date precedenti non vi è alcuna traccia di comunicazioni dell’utilizzo dell’area di Gravina in Puglia ai vertici della società.”

In ogni caso, “risulta rilevante, in maniera assorbente, la mancata comunicazione, non tanto della collocazione geografica della nuova area, quanto piuttosto delle situazioni di pericolo che la stessa avrebbe potuto presentare.”

Sotto tale profilo, di particolare rilevanza probatoria è risultata essere la testimonianza dell’operaio H., secondo il quale “A. era pienamente a conoscenza dell’utilizzo dell’area e dell’avvio dei lavori, essendo stato presente in loco nei giorni immediatamente precedenti all’incidente mortale”.

Inoltre, secondo la testimonianza di H., non solo A. “aveva piena contezza dell’avvio delle operazioni di trasferimento dei materiali, ma forniva precise disposizioni operative circa le modalità di sistemazione degli stessi, dimostrando così di essere perfettamente consapevole dell’inadeguatezza dell’area rispetto alle normative di sicurezza e di aver omesso deliberatamente di segnalare tale pericolosa situazione ai dirigenti e al datore di lavoro.”

Di conseguenza, “è proprio in tale condotta omissiva che si sostanzia la violazione dell’obbligo previsto dall’art.19, comma 1, lettera f) del D.Lgs.81/2008, disposizione che […] impone un preciso e inderogabile dovere di segnalazione tempestiva che, nel caso di specie, è stato colpevolmente disatteso, impedendo l’attivazione delle necessarie misure preventive”; pertanto il ricorso di A. deve essere rigettato.

A questo punto la Cassazione sottolinea il fatto che l’obbligo del preposto di segnalare ai suoi superiori le condizioni di pericolo era presente all’interno dell’art.19 del D.Lgs.81/08 anche prima che la Legge 215 del 2021 modificasse e integrasse tale disposizione.

Infatti – ricorda la Corte – tale Legge, “intervenendo in maniera significativa sulla figura del preposto, ha ulteriormente valorizzato e specificato le funzioni di vigilanza e intervento di tale figura, rafforzandone il ruolo nell’ambito del sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.”

In particolare,secondo la Suprema Corte “la novella legislativa ha introdotto, tra l’altro, l’obbligo di individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza (art.18, comma 1, lett.b-bis) e ha precisato i poteri di intervento del preposto in caso di non ottemperanza alle disposizioni impartite, giungendo ad attribuirgli il potere interrompere l’attività e informare i superiori diretti, in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza, (art.19, comma 1, lett.a).”

Le modifiche apportate dalla Legge 215/2021, dunque, “pur non applicabili ratione temporis al caso di specie, si pongono in linea di continuità con l’interpretazione giurisprudenziale consolidata circa il ruolo e le responsabilità del preposto, confermando la centralità della funzione di vigilanza e segnalazione già sussistente nell’assetto normativo vigente all’epoca dei fatti, su cui si fonda la pronuncia di condanna nei confronti del A.”.

In tal senso, la Cassazione chiarisce che, “in linea generale, la giurisprudenza del giudice di legittimità attribuisce al soggetto preposto alla vigilanza sui lavori, anche se sprovvisto di poteri decisionali, una funzione integrativa in chiave di segnalazione ai superiori degli eventuali profili di criticità delle misure di prevenzione e protezione dei lavoratori, e di sollecitazione nella predisposizione degli accorgimenti tecnici più idonei in relazione alla specificità della lavorazione, posizione di garanzia che non esclude ma integra quella dei superiori gerarchici dotati di autonomia e capacità decisionale”.

In definitiva, secondo la giurisprudenza di legittimità “gli obblighi di vigilanza e di segnalazione gravanti sul preposto costituiscono elementi essenziali della sua posizione di garanzia, senza la cui osservanza verrebbe meno la stessa ragion d’essere di tale figura nel sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.”

A conferma di tale orientamento, ritengo utile citare qui (uno per tutti) un interessante precedente giurisprudenziale in tema di obbligo di segnalazione delle condizioni di pericolo gravante sul preposto.

Con Cassazione Penale, Sez.IV, 2 febbraio 2016 n.4340, la Suprema Corte ha confermato le responsabilità di un RSPP e di un preposto alla direzione esecutiva e capocantiere, quest’ultimo “per non avere informato i lavoratori dello specifico rischio da sprofondamento e seppellimento e sulle precauzioni da prendere e per non avere segnalato al datore di lavoro o al dirigente la situazione di pericolo presente nel cantiere – art.119, d.lgs.n.81/2008”.

Con riferimento alla posizione del preposto, la Cassazione ha ritenuto che dovesse “respingersi la pur suggestiva tesi che vorrebbe il preposto esonerato, in questo caso, dagli obblighi di garanzia, non trattandosi di situazione di rischio accidentalmente sopravvenuta, da segnalare alla dirigenza e al datore di lavoro.”

A parere della Corte, nel caso di specie “non si è in presenza di un’inadeguatezza attinente al corredo strumentale d’azienda, già preventivamente nota al datore di lavoro, ma di una modalità di lavorazione, manifestamente in dispregio delle norme cautelari minime, che si rinnovava quotidianamente con la scelta di non proteggere le pareti degli scavi, via via aperti.”

Di conseguenza, “non si tratta, in definitiva, della decisione, presa una volta per tutte dal datore di lavoro o dalla dirigenza di impiegare un certo macchinario, ma del rinnovare ogni giorno una prassi lavorativa altamente rischiosa.

Situazione, questa, che avrebbe imposto di segnalare ogni giorno (ammesso che la prassi lavorativa non dipenda dallo stesso preposto) la condizione di pericolo elettivo.” 

In questo caso, dunque, il preposto non avrebbe dovuto avallare “condizioni […] di altissimo rischio che, in ogni caso, al momento del suo allontanamento dal cantiere avrebbero dovuto consigliargli di ordinare l’integrale sospensione dei lavori.”

Corte di Cassazione Penale, Sez.IV – Sentenza n.14443 del 14 aprile 2025 – Lavoratore travolto e ucciso da un autocarro. Responsabilità del preposto che, pur consapevole del pericolo, non si attiva per segnalare le carenze di sicurezza ai vertici societari.

Corte di Cassazione – Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 4340 del 02 febbraio 2016- Scavo privo dell’armatura di sostegno: infortunio mortale. Responsabilità di un preposto e del RSPP

Fonti: Puntosicuro.it, Olympus.uniurb.it, Anna Guardavilla(Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro)